20190705 fabrizio barca

Un impegno  motivante e conveniente. Il Forum Disuguaglianze e Diversità ha presentato “15 Proposte per la giustizia sociale”,  ispirate a Anthony Atkinson

Due grandi problemi si delineano sempre più come determinanti a tutti i livelli per il futuro dell’umanità: la riduzione delle disuguaglianze e della povertà, e la conservazione dell’ambiente.

Il Forum Disuguaglianze e Diversità, di cui ho parlato in un precedente articolo, ha presentato recentemente un documento dal titolo “15 Proposte per la giustizia sociale”,  esplicitamente ispirate a quelle formulate da Anthony Atkinson per il Regno Unito, che ho anche avuto occasione di commentare.

L’insieme delle proposte costituisce un sistema organico e pervasivo finalizzato alla giustizia sociale, a favore degli ”ultimi, penultimi e vulnerabili”. Un sistema che prevede interventi non solo redistributivi, ex post, sugli effetti dei processi che determinano le disuguaglianze, ma soprattutto ex ante, sui processi stessi, per prevenirli.

Secondo gli autori, per ridurre le disuguaglianze occorre puntare su tre  “obiettivi generali”, corrispondenti alle tre grandi cause dell’aumento delle disuguaglianze: A. Orientare verso la giustizia sociale il cambiamento tecnologico; B. Rafforzare il potere dei lavoratori; C. Redistribuire il  trasferimento di ricchezze conseguente al passaggio generazionale.

Delle 15 proposte, ben 11 puntano sul primo obiettivo generale, e sono:

  1. Modificare gli accordi internazionali sulla ricerca, orientandola alla giustizia sociale, con particolare riguardo all’obiettivo di rendere i farmaci più accessibili;
  2. Estendere il “Modello Ginevra”, l’organizzazione multinazionale del Consiglio Europeo per la Ricerca Nucleare (CERN) che coinvolge un gran numero di imprese pubbliche, a quelle operanti in altri settori;
  3. Attribuire “Missioni di medio-lungo termine” orientate alla giustizia sociale per le imprese pubbliche italiane;
  4. Indirizzare le missioni delle università italiane verso obiettivi di giustizia sociale;
  5. Promuovere la giustizia sociale nella ricerca privata;
  6. Promuovere la collaborazione tra università e piccole-medie imprese;
  7. Costruire una sovranità collettiva su dati personali e algoritmi;
  8. Adottare strategie di sviluppo rivolte ai luoghi, cioè alle periferie e alle aree remote;
  9. Promuovere “appalti innovativi” di servizi sociali per renderli a misura delle persone;
  10. Collegare le politiche per la sostenibilità ambientale con quelle rivolte alla riduzione delle disuguaglianze;
  11. Riformare la Pubblica Amministrazione, con riferimento al reclutamento, cura e discrezionalità dei pubblici dipendenti.

Tre proposte rientrano nell’area “Rafforzamento del potere dei lavoratori”, e cioè:

  1. Minimi contrattuali;
  2. Consigli del lavoro e di cittadinanza nell’impresa;
  3. Sostegno ai Workers Buy-out (acquisto delle imprese da parte dei lavoratori);

Una sola con riferimento al “Passaggio generazionale”:

  1. Una imposta “sui vantaggi ricevuti” (sostanzialmente sulle successioni e donazioni) e l’istituzione di una “eredità universale” di 15 mila euro per tutti i giovani al compimento dei 18 anni.

Rispetto alle proposte di Atkinson, riportate nel mio precedente articolo, quelle del Forum mi sembrano meno specifiche, più orientate a proporre una strategia pervasiva orientata alla giustizia sociale. Peraltro ogni proposta è frutto di studi molto approfonditi degli argomenti trattati, condotti da parte di gruppi di lavoro  di alto livello. Il Rapporto compie inoltre un notevole sforzo per spiegare le premesse e le motivazioni delle singole proposte, riuscendoci però solo in parte, data la complessità degli argomenti trattati.

Pur condividendo l’insieme delle proposte, vi sono tuttavia alcuni punti che mi suscitano  qualche perplessità. Sono considerazioni di un cittadino comune, che si confronta con un lavoro condotto da esperti dei diversi argomenti. Provo comunque a esprimerle con riferimento ai tre insiemi di proposte finalizzati al conseguimento  dei tre obiettivi generali.

  1. Con riferimento al primo obiettivo generale (“Orientare il cambiamento tecnologico verso la giustizia sociale”), un aspetto che mi sembra di notevole importanza è quello dell’intervento dello stato nell’economia, e del rapporto tra pubblico e privato.

Come è noto e documentato nel Rapporto, l’Italia è un paese caratterizzato da una forte presenza dello stato nel sistema economico. Tra le società quotate in borsa, le imprese pubbliche contano per il 46% del fatturato e  il 32% dell’occupazione. A queste si aggiungono società non quotate di notevole peso (in primo luogo la Cassa Depositi e Prestiti, le Ferrovie dello Stato,  la RAI, la Stmicroelectronics al 50% con i francesi).

Non è più il “carrozzone” dei salvataggi aziendali, compresi i panettoni, e degli investimenti disastrosi nel Mezzogiorno (testimoniati tuttora dalle vicende dell’ILVA) , né il ricettacolo di dirigenti incapaci (i cosiddetti “boiardi”) a cui si era ridotta l’IRI negli ultimi anni di vita (che i governi di allora decisero opportunamente di liquidare, affidandone il compito a Romano Prodi,  con esiti anche discutibili). E’ un insieme di aziende di rilevanza strategica per le quali è giusto proporre, come fa il Forum  «una missione strategica di medio-lungo periodo sui terreni della competitività, dell’impatto ambientale e della giustizia sociale».

Non credo tuttavia che l’Italia abbia bisogno di aumentare il già rilevante peso del pubblico nell’economia. In particolare ho dubbi sulla idea di «estendere il modello di responsabilità pubblica delle infrastrutture di ricerca «dalla fase a monte della catena di creazione di valore allo stadio successivo, quello in cui si formano le grandi imprese basate sulla conoscenza, per evitare che il frutto delle ricerche finanziate dal pubblico venga poi incamerato da grandi gruppi monopolistici privati».

Sono consapevole e condivido le motivazioni che portano a questa proposta ma ritengo che per contrastare queste involuzioni sia meglio rafforzare l’intervento conoscitivo, regolatore e sanzionatore da parte delle istituzioni pubbliche, del resto previsto anche nel Rapporto. Sono poi particolarmente contrario alle «alleanze fra privato e pubblico», commistioni già troppo presenti nel nostro Paese, che eredita, purtroppo, una struttura corporativa per sua natura destinata e conservare i privilegi e quindi le disuguaglianze. Ritengo anzi che per molti  aspetti la separazione tra privato e pubblico dovrebbe essere aggiunta a quella classica tra i poteri (legislativo, esecutivo, giudizirio), propri de sistemi democratici. Forse il Rapporto avrebbe dovuto proporre anche un’azione di contrasto al corporativismo imperante nel nostro Paese.

Considero la proposte n.10 (Collegare le politiche per la sostenibilità ambientale con quelle rivolte alla riduzione delle disuguaglianze) della massima importanza. Così come la finalità della riduzione delle disuguaglianze e della povertà, quella della tutela dell’ambiente è trasversale rispetto a tutte le proposte, e tocca tutti i livelli sociali e istituzionali, dal quartiere di una città alla convivenza globale. Forse il Rapporto avrebbe dovuto mettere in maggior rilievo questo aspetto, ma  è comunque Importante che abbia messo in evidenza la stretta  interconnessione tra i due problemi.

Una particolare riflessione mi ha suscitato anche l’ultima proposta rientrante nel primo obiettivo (Proposta n. 11: Reclutamento, cura e discrezionalità del personale delle PA).

Tutto il disegno  strategico che sottende obiettivi e proposte del Rapporto richiede un riorientamento culturale e comportamentale diffuso, coinvolgente le istituzioni, le attività produttive, le associazioni volontarie a cui il Forum attribuisce giustamente un ruolo decisivo, la cultura e i comportamenti individuali. Si tratta di un risultato conseguibile nel lungo termine grazie a un massiccio investimento nella comunicazione da parte delle istituzioni stesse. Perché è evidente che i rapporti di  potere si stabiliscono ormai soprattutto al livello della comunicazione.

La comunicazione dovrebbe puntare soprattuto a far comprendere al 100% delle persone, di qualsiasi ceto ed età, che la riduzione delle disuguaglianze e della povertà è un fattore di sviluppo sociale ed economico, di benessere e sicurezza per tutti (salvo eccezioni).

  1. Anche le proposte finalizzate al conseguimento del secondo obiettivo generale (“Un lavoro con più forza per contare”), se da una parte ne condivido sostanzialmente le premesse su cui si basano e le finalità, dall’altra mi sollevano qualche interrogativo.

Il salario minimo legale va sicuramente introdotto, nelle forme più opportune e coinvolgendo i sindacati, secondo quanto proposto dal Rapporto. Ma mi sembra particolarmente importante l’aggancio dei salari agli aumenti di produttività consentiti dal progresso tecnologico. E stabilire norme che riducano il divario tra i salari dei lavoratori di ultimo livello e i compensi dei manager.

Anche sugli orari di lavoro occorrerebbe adottare regole che evitino lo sfruttamento e  la sottrazione di spazi di libertà che dovrebbero invece essere allargati grazie al progresso tecnologico. John M. Keynes, in una conferenza del 1930, riteneva possibile per i suoi nipoti una settimana lavorativa di 15 ore!

Ha particolarmente attratto il mio interesse l’argomento della responsabilità sociale dell’impresa. Essendomene occupato professionalmente oltre venti anni fa, mi sorprende la lentezza con cui le imprese ne hanno capito i vantaggi economici: in una visione strategica, l’attenzione rivolta agli stakeholder, cioè ai clienti, ai dipendenti, all’ambiente (si pensi alla riduzione dei costi energetici), prima che agli shareholder, gli azionisti, è alla base del “vantaggio sostenibile”, cioè al successo duraturo dell’impresa. Questa consapevolezza è oggi più diffusa, ma evidentemente non abbastanza. Occorrerebbe premiare le imprese che lo capiscono e lo praticano!

Non so se la proposta n. 13  del Forum (“Consigli del Lavoro e di cittadinanza nell’impresa”), e la costituzione di un «Comitato nazionale di rappresentanti delle parti sociali (imprenditori e sindacati) e delle organizzazioni più rappresentative dei consumatori/trici» potrebbero veramente contribuire al rafforzamento del potere di lavoratori, consumatori, cittadini. Ho molto timore di una burocratizzazione, oltre che di una involuzione corporativa dei rapporti tra le tre categorie. Penso al’CNEL, la cui eliminazione era prevista, a mio parere opportunamente, dall’ultima proposta di riforma costituzionale, come un residuo del sistema corporativo di cui l’Italia è purtroppo portatrice ed esportatrice. Il fatto che Atkinson preveda qualcosa di simile per  il Regno Unito non diminuisce la mia perplessità. Mi sembrerebbero più efficaci provvedimenti delle istituzioni a favore del  cosiddetto “enpowerment”, potenziamento del ruolo di sindacati, associazioni dei consumatori, volontariato.

Fondamentale è comunque la trasparenza dell’informazione sulle strategie e sui comportamenti delle imprese.

Mi sorprende un poco che non venga inclusa tra le proposte per l’Italia quella che Atkinson ha avanzato per la Gran Bretagna, secondo cui «La politica contro la  disoccupazione  deve includere l’offerta di un impiego pubblico garantito a salario minimo per chi vuole lavorare, ponendo lo stato come  ultima istanza occupazionale”. E’ un obiettivo a cui ci si potrebbe avvicinare con un servizio civile che impegnasse tutti i disoccupati a una attività di volontariato e di istruzione-formazione.

  1. La proposta n. 15, finalizzata al conseguimento del terzo obiettivo generale, consistente in “Un passaggio generazione più giusto”, si articola in due sottoproposte: una “imposta sui vantaggi ricevuti” e una “eredità universale nel passaggio all’età adulta”.

La prima, assolutamente condivisibile, consiste in una profonda revisione del sistema italiano di imposizione sulle successioni e le eredità. Che è a dir poco indecente: Basti dire che l’aliquota marginale massima è da noi intorno al 4%, contro una media OCSE del 15%, e livelli che in paesi come il Regno Unito, La Germania  e gli USA arrivano fino al 40%.

La riforma punta a limitare l’imposizione solo sui successioni e donazioni molto alte (superiori a 500 mila euro), esentando la grande maggioranza della popolazione. Sorprende il fatto che le forze politiche progressiste rimuovano l’argomento, che potrebbe riscuotere un vastissimo consenso. Evidentemente il potere dei privilegiati riesce a manipolare l’opinione pubblica a proprio vantaggio, attraverso la disinformazione. Di qui, ancora, l’importanza della comunicazione, arma principale del terzo millennio.

Qualche perplessità mi suscita invece la proposta di una “eredità universale”  di 15 mila euro per tutti i giovani al compimento dei 18 anni. Condivido che, se adottata, questa erogazione dovrebbe essere “priva di condizioni”.  Ma in tal caso è probabile che queste somme, se percepite da un giovane facente parte di una famiglia povera, verrebbero dirottate per la soddisfazione delle necessità primarie (cosa peraltro non censurabile). La proposta che la mancanza di condizioni sia bilanciata da un “tutoraggio” , e dalla richiesta «di presentare e discutere un piano di utilizzo provvisorio della dotazione di capitale», offerti dalla scuola stessa, mi sembra irrealistica e capace di burocratizzare l’operazione (penso ai “Navigator”). Forse sarebbe opportuno vincolare la dote ad attività di istruzione e formazione certificate.

Quanto a possibili agevolazioni per l’avvio di  un’impresa (start-up), di cui  mi sono occupato a lungo a suo tempo, consideratane l’alta rischiosità, mi sembrerebbe preferibile indirizzare gli aspiranti imprenditori a specialisti di venture capital, senza contribuzioni a fondo perduto, ma solo con premi a risultati conseguiti.

In complesso, per quanto riguarda questo obiettivo generale, che sostanzialmente consiste nella politica fiscale, le proposte di Atkinson mi sembrano più organiche, includendo anche la progressività delle imposte sui redditi. Una rivisitazione della “Tobin Tax” contro le rendite finanziarie mi sembrerebbe anche opportuna.

Il Forum ha in programma di dedicare il prossimo Rapporto ai problemi dell’istruzione. Non dubito che l’indagine si estenderà a tutto il campo della cultura e della ricerca scientifica e umanistica, all’istruzione dagli asili nido all’Università (i cui metodi d’insegnamento, forse, non dovrebbero essere molto diversi), alla formazione permanente, all’educazione civica. Le recenti notizie sulle carenze quantitative e qualitative dei corpi docenti e delle strutture universitarie, che impediscono di dare risposta alla domanda di formazione universitaria, sono veramente drammatiche.

livingstrat libroL’apporto del Forum su questo argomento decisivo per il futuro del Paese potrebbe essere rilevante.

 

Giacomo Correale, Carlo Penco: Livingstrat, Guerini e Ass., 2001.

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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