28-07-2014 apertura

Seconda puntata sui miti che dovrebbero spiegare le ragioni della crisi italiana. Numeri e grafici che smontano le affermazioni che vanno per la maggiore. Siamo proprio sicuri che è come ce la raccontano?

Passa il tempo ma la complessiva situazione economica italiana non migliora. Come già accaduto con Tremonti, Monti e Letta, anche con il duo Renzi-Padoan ci avviamo a veder fallire qualunque previsione sulla crescita del Paese... e a subire l’ennesima manovra correttiva (le definizioni degli interventi cambiano ma la sostanza è quella) di fine anno. Se il Governo aveva infatti previsto un aumento del PIL del +0,8%, secondo le fonti internazionali più accreditate chiuderemo al +0,2%. Vuol dire dover reperire 9 miliardi di euro solo per rimanere in scia a quanto inserito nei documenti ufficiali di bilancio. Ma questa è un’altra storia. Riprendiamo invece la nostra.

In un articolo di qualche tempo fa su Vorrei avevamo provato ad analizzare i principali ritornelli sulle ragioni della crisi italiana (debito pubblico, scarsa produttività, corruzione) e alcuni mantra economici che vanno per la maggiore (la svalutazione che comporta inflazione, la presunta uscita dalla crisi di alcuni paesi). Finalità: dimostrare che certe logiche di causa-effetto non reggono affatto alla prova dei numeri, ergo si dicono una montagna di fesserie quando si analizza la situazione economica nazionale. E dire fesserie comporta perdite di tempo e, in ultima e più grave istanza, sofferenze (persone che perdono il lavoro, emigrano, si tolgono la vita). 

Riprendiamo il filo per esaminare altre leggende popolari del mainstream informativo che toccano l’economia (meglio dire: la vita) italiana.

LA SPESA PUBBLICA ITALIANA È ECCESSIVA

Da quanto ci ripetono che lo stato italiano spende troppo? Che ci sono spazi ampi per la riduzione della spesa (la mitica spending review)? A guardare i numeri vien da ridire: la spesa pubblica italiana è perfettamente allineata alla media europea (l’elaborazione è di Alberto Bagnai, professore associato di Politica Economica all’Università di Pescara):

28-07-2014 figura1

Ma andiamo a vedere nello specifico la spesa sanitaria, il mostro divora risorse di cui tanto si favoleggia.

28-07-2014 figura2

Se pensate che i dati siano errati, calma. Provengono dal World Health Organization. L’Italia spende ben meno di Gran Bretagna, Francia e Germania in termini procapite e meno di Francia e Germania in percentuale sul PIL. Addirittura la quota italiana di spesa sanitaria pubblica sul totale è inferiore ai livelli della Gran Bretagna (e domandate a qualcuno quale sia il livello medio dell’assistenza medica pubblica inglese...).

SE SOLO SPENDESSIMO TUTTI I FONDI EUROPEI...

A leggere le oggettivamente basse percentuali della capacità italiana di spesa dei fondi strutturali europei, ad ascoltare i peana che si levano dagli studi televisivi e gli ammonimenti severi che si alzano dagli editoriali di questo e quello, si potrebbe pensare che esistano paesi così virtuosi che i fondi strutturali li spendono tutti. Mica vero. Questo il grafico delle percentuali di spesa che viene dalla Commissione Europea:

28-07-2014 figura3

Il paese più virtuoso, l’Irlanda, si ferma al 60%, la Germania al 50%. L’Italia si colloca una decina di punti sotto la media europea (che è il 40%). Insomma, il campione nazionale dal 100% di spesa, capace anche di assorbire ciò che non viene speso altrove, non esiste. Motivo: ogni euro speso di fondi strutturali ne costa due. Come due? Facile: un euro sono le risorse che l’Italia trasmette al bilancio europeo (risorse maggiori di quelle che riceve: 17 miliardi versati contro 11 incamerati: leggere qui e qui), il secondo euro è rappresentato dal cofinanziamento nazionale/regionale/locale che tali fondi prevedono. In tempi di patto di stabilità e politiche di coesione, ritenete probabile che le amministrazioni, a tutti i livelli, possono cofinanziare fin dove vorrebbero?

LE PENSIONI ITALIANE SONO INSOSTENIBILI

Anche in questo caso, se solo si leggessero le relazioni disponibili, si scoprirebbero elementi molto interessanti. Secondo Itinerari Previdenziali (associazione indipendente di analisi dei sistemi pensionistici e di welfare; sono coloro che organizzano la Giornata Nazionale della Previdenza, per intenderci), si scopre che da tempo il sistema pensionistico italiano è in largo attivo. Prendiamo le cifre ufficiali riportate nel “Bilancio del Sistema Previdenziale Italiano, rapporto n.1 anno 2014”. Si scopre che (pagina 56) nel 2012 la spesa pensionistica ha raggiunto 211.103 milioni di euro e le entrate contributive 190.404 milioni di euro. Il disavanzo, sulla carta, è di 20.700 milioni. Ma proseguire la lettura fino a pagina 58 è istruttivo. Citiamo testualmente: “nella valutazione dei risultati, bisogna fare attenzione poichè la spesa per pensioni è al lordo del carico fiscale che per il 2012 è ammontato a 42,9 miliardi di Irpef e 3 miliardi di addizionali Irpef. I 45,9 miliardi di entrate fiscali per lo Stato sono una partita di giro per cui la spesa di 211,103 miliardi in realtà si riduce a 165 miliardi di €”. Facciamo due conti:

190,4 miliardi di entrate – 165,2 miliardi di spesa = +25,2 miliardi di attivo per lo Stato.

LA DISOCCUPAZIONE È LA PIÚ ALTA DAL 1977

Quando sugli organi di informazione (non tutti) si sintetizza in questo modo, si fa intendere che prima del 1977 la situazione fosse peggiore. Fesserie. Il record di tutti i tempi di disoccupazione è quello odierno. Semplicemente, è dal 1977 che l’Istat misura e consolida i dati della disoccupazione con una metodologia coerente e quindi strettamente confrontabile. Se però ci si prende la briga di andare a spulciare le serie storiche di più fonti per ricostruire il trend di lunghissimo periodo, si ottiene questo (fonte: elaborazioni di Alberto Bagnai, pubblicate sul suo blog goofynomics): 

    28-07-2014 figura4 

Pertanto, siamo al massimo storico. E notiamo quanto è stata rapida la salita della disoccupazione oggi rispetto a quanto lo fu nell’87. Allora, per passare dal 6% al 12% di disoccupazione, ci vollero 17 anni (dal 1972 al 1988). Oggi ce ne sono voluti 7 (dal 2007 al 2013). Per quanto riguarda la previsione in discesa da qui al 2017, alla luce dei precedenti conviene dubitare.

PERLE FINALI

Come già avevamo fatto qui a proposito di Monti, ci lasciamo con un’altra perla, questa volta del governatore della BCE Mario Draghi. Dichiarazione di Draghi del 21/11/2013 riportata dall’Ansa: «Non c’è un rischio di deflazione e con la ripresa ci attendiamo che l’inflazione torni vicino al 2%». Dichiarazione dello stesso Draghi del 27/05/2014, sempre all’Ansa: «Siamo consapevoli dei rischi di un periodo lungo di bassa inflazione». Voi, uno che cambia posizione in questa maniera nell’arco di sei mesi, come lo definite? 

 

Gli autori di Vorrei
Ivan Commisso
Ivan Commisso

Vado per i quaranta, mi occupo di soluzioni pubblicitarie online in una grande concessionaria. La mia formazione universitaria è economica. Sono giornalista pubblicista e su Vorrei scrivo per lo più di economia perchè da lì verranno (ulteriori) problemi e su quel tema si dicono un sacco di fesserie. Nota Bene: mi piacciono le metafore, i dolci e la Calabria.

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