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Intervista a Renato Mattioni della Camera di Monza e Brianza: «L’obiettivo è di ricomporre il legame tra Milano e Monza nel campo del design. Noi abbiamo pensato al Belvedere, sarebbe un servizio pubblico, gratuito, legato al territorio, a differenza delle altre parti centrali della Villa, date in concessione, che verranno gestite in modo privatistico»

Recentemente è apparsa la notizia dell'entrata della Camera di Commercio di Monza e Brianza nel CdA della Triennale di Milano, e di un progetto di un Museo del Design nella Villa Reale di Monza. Approfittando dell’intervista che ho rivolto al Segretario Generale dell’Ente Renato Mattioni per il dossier di Vorrei sulle Start Up, gli ho chiesto informazioni più approfondite sull’argomento. 

Quello della Brianza è un distretto storico che per numero, densità imprenditoriale e apertura internazionale costituisce uno dei più importanti asset produttivi del Paese.

Quale potrà essere la strategia e l’incidenza della Camera di Commercio di Monza e Brianza all’interno della Triennale di Milano, specialmente nel settore del design, di cui Monza e la Brianza sono stati la culla, vantando ancora oggi alcuni dei marchi più prestigiosi?
L’obiettivo è di ricomporre il legame tra Milano e Monza nel campo del design, su una dimensione anche simbolica: le attività manifatturiere rimangono in Brianza, i grandi studi del design sono prevalentemente a Milano, pur conservando ancora le loro radici nella Brianza. Noi cerchiamo di “ricomporre la mela”, dando agli imprenditori brianzoli un apporto "reputazionale", di consapevolezza dell’importanza e insostituibilità del loro contributo al design. Comprendendo anche Cantù, nella provincia di Como, e il Lecchese, abbiamo seimila imprese del mobile (che ovviamente non esaurisce il settore del design), di cui 4 mila nella nostra provincia. E’ un distretto storico che per numero, densità imprenditoriale e apertura internazionale costituisce uno dei più importanti asset produttivi del Paese. In seguito alla crisi le imprese del nostro territorio hanno fatto moltissime razionalizzazioni, hanno creato una rete territoriale, con rapporti di subfornitura variabile. Non c’è una cinesizzazione, cioè una industria grande con le altre che la copiano. Ogni piccola impresa da noi ha registrato brevetti. Certamente la maggioranza di esse lavora per i grandi marchi, ma ognuna ha il suo marchio, una propria storia. Rispetto al passato, nel quale tutti i piccoli imprenditori appartenevano più o meno al ceto medio, in una realtà stabile, egualitaria, la crisi ha polarizzato il sistema produttivo e sociale: quelli che riescono ad esportare il 70% della produzione prosperano, quelli che lavorano solo per il mercato interno, come semplici subfornitori, soffrono quando non chiudono.
La nostra entrata nella Triennale è legata a un progetto specifico basato sulla identità di Monza e della Brianza. Non duplicare nulla rispetto a Milano, fare tutto in estrema sinergia, ma in una logica di autonomia e distinzione.

La nostra entrata nella Triennale è legata a un progetto specifico basato sulla identità di Monza e della Brianza. Non duplicare nulla rispetto a Milano, fare tutto in estrema sinergia, ma in una logica di autonomia e distinzione.

Il Corriere del 18 gennaio ha riferito che la Triennale ha un progetto, in vista dell’Expo 2015 e della XXI Esposizione Internazionale delle Arti, di “allestire nella Villa Reale di Monza uno spazio permanente dedicato al disegno industriale”, attività d’informazione e di formazione, mostre temporanee, un incubatore di nuove imprese. Si è accennato al Belvedere della Villa che, per dimensioni e ruolo architettonico e paesaggistico sembra inadatto a una funzione di questo tipo. Cosa c’è di vero in queste notizie?
La logica è quella di riportare a Monza una storia che è nata qui con la Biennale delle Arti Decorative. Il contesto è costituito da due binari: uno è il contesto pubblico, quello del Consorzio; l’altro ha una logica privatistica, quella del concessionario della parte centrale della Villa. La nostra intenzione è duplice: 1. Realizzare un museo del design, poi vedremo dove, su Monza, per raccontare le icone del design, sulla base di un’idea progettuale proposta dalla Triennale; 2. Dare reputazione alle attività imprenditoriali del nostro territorio. Qui c’è la manifattura, l’imprenditore, e anche i grandi designer sanno che le imprese capaci di fare un prototipo le trovano solo in Brianza. La separazione del momento, diciamo così, immaginativo da quello prasseologico è sbagliata, e costituisce per noi un fattore di debolezza. Ricollegare i due momenti risponde sia alla realtà che alla dignità dei costruttori, i piccoli imprenditori, gli artigiani.
Il grande designer Magistretti, per realizzare i suoi progetti, mandava un semplice fax. Ma ancora è così. Il designer manda un disegno, poi chiede all’artigiano specializzato di renderlo credibile, fattibile, equilibrato. Vogliamo mettere in discussione la falsa idea che a Milano si pensa e in Brianza si fa. I piccoli imprenditori, i giovani artigiani, il mondo dei cosiddetti maker, dell’autoproduzione esigono un supplemento reputazionale, la consapevolezza che non sono legnamèe anonimi. 

Nella Triennale di Milano esiste già un Museo del Design, molto attivo. Non c’è il rischio di una duplicazione, o di un ruolo subalterno del progettato museo di Monza?
Tornando alla collaborazione con la Triennale, possiamo anche dire che la proposta per Monza si basa su due elementi: un elemento identificativo, iconografico di come un prodotto fatto da un grande maestro del design è strettamente collegato con l’attività d’impresa. E’ il museo. Il secondo elemento è formativo: corsi di formazione e di sperimentazione su come avviare una nuova impresa nel campo del design. I giovani interessati al design industriale non trovano oggi una offerta di formazione continua, contatti con grandi imprenditori e designer del settore che gli spiegano i nuovi percorsi produttivi di una impresa ripensata anche in una logica di autoproduzione, meno taylorista di una volta, mirata alla qualità, alla fattibilità, motivata perché si sente compartecipe del prodotto. Con queste finalità il museo di Monza sarebbe ben diverso da quello di Milano, ma in un contesto di continuità, di rimandi tra l’uno e l’altro. Quindi non sarà una sede decentrata. Dove farla? Stiamo ancora valutando. Non intendiamo procedere finché non sappiamo bene cosa c’è da fare, quanto può costare, anche l’eventuale importo della locazione pretesa dal concessionario.

Il nostro progetto sarebbe un servizio pubblico, gratuito, legato al territorio, a differenza delle altre parti centrali della Villa, date in concessione, che verranno gestite in modo privatistico.

La Villa dispone di circa 600 stanze. In particolare nella zona sud della Villa, adiacente agli spazi occupati dall’Istituto d’Arte, sopra gli Appartamenti Reali, vi sono ampi spazi già restaurati che potrebbero accogliere il museo e le sue attività. Oltre tutto, il museo potrebbe e dovrebbe essere sinergico con le attività dell’ISA, erede dello storico ISIA (Istituto Superiore per l’Industria Artistica) dove hanno insegnato grandi maestri del design e dell’arte moderna, e per il quale sono in corso di elaborazione progetti di sviluppo, di corsi serali, di programmi di formazione post diploma e parauniversitari. La permanenza dell’ISA nella Villa è stata confermata nel programma del Sindaco di Monza Roberto Scanagatti.
Noi abbiamo pensato al Belvedere perché il nostro progetto sarebbe un servizio pubblico, gratuito, legato al territorio, a differenza delle altre parti centrali della Villa, date in concessione, che verranno gestite in modo privatistico. Altrimenti anche il Belvedere sarà utilizzato a fini commerciali. Collocare il museo in un’area diversa significherebbe doverla ristrutturare, con tempi e costi ingenti. Con il rischio di non fare nulla, come nel passato.

Un Museo del design nella Villa Reale, con iniziative di grande respiro e coerenti con l’ambiente, sarebbe, più che opportuno, auspicabile. E’ chiaro però che un museo di rilievo internazionale non si improvvisa, e non è solo questione di spazi. Ci sono problemi di direzione scientifico-culturale, di programmi, di gestione...
La Camera ha stanziato 350 mila euro per l’attuazione di una operazione condivisa, su cui potrebbero confluire altre risorse. Un investimento importante. L’iniziativa è sostenuta anche dal Comune di Monza, e punta a coinvolgere altre realtà istituzionali e imprenditoriali del territorio. 

 

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La proposta di un Museo Nazionale del Design era già contenuta in una importante relazione del 2003 sulle possibili destinazioni della Villa Reale, firmata da Ezio Rovida a nome dell'Istituto Statale d'Arte. Pensate di collaborare con l’ISA, che nonostante le difficoltà e il disinteresse delle istituzioni ha resistito sino ad oggi e ha continuato a sfornare professionisti del design e della comunicazione?
Per sua tradizione la Camera di Commercio non ha mai fatto né farà mai nulla da sola. Ho letto e apprezzato il progetto di un Museo Nazionale del Design dell’ISA. Se faremo qualcosa, lo faremo con tutti, e quindi anche con l’ISA. Dove farla, come farla, lo stiamo valutando. Ripeto, il nostro obiettivo è quello di realizzare nella Villa un percorso che recuperi la storia imprenditoriale del design in Brianza. E‘ utile anche ricordare che la Villa è stata una delle grandi factory, dei grandi laboratori del territorio, che coinvolgeva artisti come i Maggiolini, grazie alle commesse delle famiglie regnanti, dagli Asburgo al periodo napoleonico ai Savoia.

Considerato che, purtroppo, il capitolato della concessione della parte centrale della Villa prevede una destinazione ad eventi commerciali piuttosto che culturali, grande è il timore di molti che nella Villa venga risuscitata la MIA, una mostra poco selettiva, di scarso livello culturale, che è stata causa tra l’altro di molti danni alle tappezzerie, agli infissi e ai preziosi pavimenti lignei del al monumento. Quanto è motivato questo timore?
Le finalità che ti ho illustrato dell’ingresso nella Triennale sono completamente diverse, all’insegna dell’innovazione e dell’alta qualità. Quel timore quindi è del tutto immotivato.

 

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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