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Giuseppe Astori, presidente di CATA: la nascita, l'evoluzione dell'associazione monzese e gli ultimi progetti avviati con Slow Food di Monza e Brianza

 

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bbiamo incontrato Giuseppe Astori presso l'Osteria del Dosso, l'ex canile del Parco di Monza a ridosso di una entrata secondaria di Villasanta. Già nel Consiglio Direttivo del CATA fin dall'inizio, dopo 17 anni il suo interesse per il tema della gastronomia non solo è ancora vivo, ma trova nuovi stimoli nella possibilità di poter contribuire a dare risposte alla interminabile crisi economica e produttiva, mondiale ma anche locale, iniziata nel 2008. Con lui abbiamo conversato sui concetti fondanti della gastronomia e del legame di essa con il territorio, in particolare con quello brianzolo e dei progetti, avviati e da avviare, finalizzati a creare una economia locale agroalimentare di rilievo.

Giuseppe Astori, da dove nasce il tuo interesse e la passione per l'arte gastronomica?
La mia famiglia ha origini antiche a Bergamo dal 1100. Nella seconda metà del XIX° secolo il mio bisnonno interrompe la lunga tradizione trasferendosi a Venezia e sposandosi con una austriaca di Linz. Lavorare all'arsenale della Marina Militare porta la discendenza a divenire cosmopolita: mio nonno nasce a Venezia ed ha una moglie di Napoli; mio padre nasce a Taranto e sposa una moglie di Taranto; io sono nato in Grecia, un fratello in Toscana, un altro in Liguria e gli altri, in totale siamo in cinque figli, sono nati a Taranto. Attualmente i miei fratelli vivono tutti in posti diversi: in Piemonte, a Roma, a Taranto e a Milano. Io stesso prima di venire a vivere a Milano e poi a Monza sono stato 25 anni a Roma. Infine le mie due figlie abitano una a Roma e l'altra a Copenaghen. Evidentemente il contesto famigliare ha contribuito a stimolare la curiosità e l'interesse verso le culture locali: viaggiare e spostarsi di frequente favorisce il contatto con gusti e sapori particolari tipici dei diversi territori, delle diverse culture, dei diversi contesti ambientali e anche religiosi.

Scoprire perché in un contesto si privilegia il mais, il grano duro o il farro e in altri il riso.

L'approccio alla gastronomia è dunque innanzi tutto di relazione fisica: il contatto con la territorialità e la percezione di essa attraverso i sapori e le sensazioni. Quindi scoprire perché in un determinato contesto si privilegia il mais, in un altro il grano duro o il farro, in altri ancora il riso e così via.

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Confronto fra i rappresentanti di Slow Food Monza Brianza, CATA e Club degli Zucconi, che hanno patrocinato la realizzazione dell'Orto Osteria del Dosso

 

Ho assistito ad alcune tue conferenze di gastronomia. Il tuo livello di conoscenza è decisamente alto. Il semplice contesto famigliare è stato evidentemente determinante a suscitare l'interesse. Ha influito anche il contesto sociale e amicale che hai frequentato in Italia, in Grecia e negli altri Paesi?
Durante la mia permanenza a Roma, dove ho studiato ingegneria e dove successivamente sono diventato dirigente per il centro sud della Schindler (multinazionale svizzera di ascensori), già dall'università ho avuto l'opportunità di conoscere amici di grande cultura, di cui alcuni erano di origine ebraica. E' fondamentale nelle comunità ebraiche seguire regole precise dettate dalla religione. Nell'arte gastronomica le osservanze si sono dovute sviluppare in modo creativo, utilizzando i prodotti locali disponibili. Così in Europa si tramandano due grandi culture: la cucina Sefardita, in uso nei paesi del sud e la Ashkenazita, diffusa nei paesi del nord Europa (qui un testo storico di Giuseppe Veltri). Nei miei amici erano, per caso, rappresentate le due culture gastronomiche e questo ha contribuito a stimolare la mia curiosità verso l'apporto della componente culturale sul trattamento dei prodotti alimentari del territorio. Componente culturale che poi ho ritrovato nelle cucine locali influenzate nei secoli dalle diverse dominazioni e dalle diverse religioni man mano succedutesi.

Poi sei venuto a vivere a Monza. E' stata casualità o scelta consapevole?
Alla fine degli anni '80 la Schindler mi chiede di trasferirmi a Milano per assumere il ruolo di dirigente per il centro nord dell'organizzazione esterna. Trasferirsi a Milano da Roma per me non è stato semplice. Non per il lavoro. A Roma si vive in una dimensione metropolitana, invece per me Milano si è rivelata una città dispersiva: non ho decifrato collegamenti forti tra le sue parti. Sembra che ogni settore viva per conto suo e manchi una percezione unitaria della città. Appena ho potuto mi sono trasferito a Monza. E' stato abbastanza semplice: ho dato incarico all'agenzia di trovarmi un appartamento vicino al Parco e così dagli inizi degli anni 90 sono monzese.

A Monza hai contribuito a sviluppare il CATA, associazione monzese molto particolare a cominciare dal nome. Ce ne puoi parlare brevemente, descrivercene il senso e il suo percorso evolutivo?
L'associazione è nata nel 1997 da un nucleo di vecchi amici monzesi e cultori non professionisti dell'arte gastronomica. Abbiamo riscontrato l'esigenza di trovarci in un luogo dove poter discutere e approfondire gli argomenti della gastronomia come interesse squisitamente culturale. La finalità è legata al desiderio di approfondire e soddisfare le curiosità sul nuovo emergente e contemporaneamente prodigarci nelle ricerche e nei temi della tradizione gastronomica. Ovviamente a partire dalla tradizione Lombarda e Monzese in particolare. CATA è l'acronimo di Conservatorio di Arti e Tradizioni Alimentari. Abbiamo utilizzato il termine Conservatorio, derivato dal latino conservare, perché è significante e corredato da sinonimi come custodire, mantenere, proteggere e salvare. A questo significato profondo si associa l'idea di saper cogliere il nuovo affrontandolo con un portato di conoscenza. E' l'approccio della antica Universitas, dove le comunità studiavano e progredivano sapendo discernere la vera innovazione dalla moda effimera.

Inizialmente CATA è stata poco pubblicizzata. Avete fatto fatica a trovare associati?
Non direi; abbiamo raggiunto fin dall'inizio un buon numero di adesioni. CATA si è sviluppata per scelta seguendo i canali del passaparola, in quanto per sua natura necessita di associati ben motivati sui temi specifici dell'Associazione. E' stato sufficiente proporre l'adesione mirata a persone di cui era noto l'interesse per la cultura gastronomica. Con questo criterio abbiamo potuto costituire una buona omogeneità nel gruppo, che è la sua cifra caratteristica.

E però, non assomiglia un pochino a una modalità “massonica”
Provocazione divertente! Se vogliamo far passare i cultori della Gastronomia come “iniziati” ci potrebbe anche stare. In effetti questa modalità di associazione è stata funzionale a farla attivare a dovere e ci ha permesso di accogliere molti aderenti di diversa provenienza, ma tutti motivati sulla finalità culturale del CATA. Nel tempo però ci siamo accorti che questo è stato un limite allo sviluppo perché ha ostacolato il ricambio generazionale. Per questo abbiamo deciso di stimolare l'interesse all'ingresso di nuovi associati e abbiamo aperto l'Associazione al pubblico di internet. Il nostro sito mette a disposizione tutte le informazioni sull'attività passata, presente e futura e dà la possibilità di contattarci con estrema facilità.

Il nostro sito mette a disposizione tutte le informazioni sull'attività dà la possibilità di contattarci.

Che attività avete svolto?
Sintetizzando al massimo: le gite per la potatura delle viti, per la coltivazione e la raccolta delle patate e degli asparagi, per la piscicoltura in acque correnti, per la produzione dello strachitunt e tante altre. Gli associati si incontrano da sempre almeno due volte all'anno in convivi dedicati al territorio. Abbiamo declinato la gastronomia esplorando la storia antica, quella rinascimentale e quella moderna e abbiamo esplorato l'interazione dei principi vegani e vegetariani con la cucina tradizionale regionale italiana. Naturalmente siamo sempre molto attenti alle origini, però non trascuriamo le interazioni con le culture gastronomiche una volta estranee al territorio ma spesso felicemente cooptate dagli usi emergenti. Un esempio può essere rappresentato dal nostro ciclo di incontri sulla Cucina Povera nelle quattro stagioni, dove i piatti poveri del nostro territorio si incontravano felicemente con altri provenienti da altre regioni del Bel Paese.

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Banchetto nuziale - Pieter Bruegel detto il Vecchio o dei Contadini - olio su tavola 1568 - Vienna, Kunsthistorisches Museum

 

Che differenza c'è tra cucina e gastronomia?
In generale i termini vengono interpretati come coincidenti, ma non lo sono affatto. La cucina si origina nella preistoria con la scoperta del fuoco. Nasce la stanzialità, l'uomo inventa strumenti per manipolare e trasformare gli alimenti con il calore. Nasce così la cucina con le sue ricette. Gastronomia è un termine coniato duemila anni fa in Sicilia da Archistrato di Gela. Si tratta di una serie di regole tecniche e di ricette che strutturano la cucina. I due termini restano sinonimi fino al XIX° secolo, quando un francese, Joseph de Berchoux, introdusse in una sua opera la nuova accezione del termine come tutto quel complesso di discipline che vanno dalla conoscenza dei prodotti agroalimentari, vino compreso, alla loro produzione, preparazione, trasformazione, degustazione, ma anche alla raffinata arte della descrizione e giudizio del cibo. Da allora la Gastronomia acquista un significato più complesso, andando a ordinare tutte le discipline della conoscenza agroalimentare. Si forma la cultura gastronomica, ben identificata dall'opera del grande maestro e gastronomo Brillat-Savarin.

Nello stesso periodo nasce la moderna distinzione tra cucina borghese e alta cucina. La rivoluzione francese è appena trascorsa, si forma il ceto medio. Con la decadenza della aristocrazia molti cuochi al suo servizio, divenuti disoccupati, danno vita ai ristoranti, dove è possibile scegliere i piatti “alla carta” e dove i cuochi possono creare e sviluppare nuove linee di cucina. Siamo all'alta cucina. Al tempo stesso, siamo nell'Ottocento, l'inurbazione della popolazione delle campagne e l'industrializzazione crescente contribuiscono alla formazione della cucina borghese, di diretta derivazione campagnola e strettamente legata ai prodotti del territorio. In Italia Pellegrino Artusi scrive il suo famoso “la scienza in cucina e l'arte di mangiar bene” dove si fa l'unità d'Italia con le ricette regionali. L'alta cucina segue invece il suo percorso creativo identificando nuovi percorsi e nuove tecniche.

L'antico concetto del Piatto Unico è scomparso, a favore di una articolazione del pasto.

Ai giorni nostri la frontiera della cucina molecolare di Ferran Adrià, possibile solo con materie prime particolari, attrezzature sofisticate, processi fisici innovativi, rappresenta per la gastronomia un punto di arrivo certamente per pochi. Lo stesso Adrià ha momentaneamente chiuso il suo ristorante in Costa Brava, prendendosi un periodo sabbatico per ripensare al rinnovamento da dare al suo percorso gastronomico. Ne sentiremo parlare. Anche la cucina borghese comunque ha subito l'effetto destrutturante dovuto alla globalizzazione. Disponiamo tutto l'anno di prodotti esotici, in gran parte fuori stagione o non appartenenti al territorio, che consentono accostamenti innaturali di alimenti invernali ed estivi. Il contatto con popoli di altre culture porta altri usi e concetti. Nascono nuovi piatti e la ricerca del nuovo allontana dal patrimonio offerto dalle cucine locali. L'antico concetto del Piatto Unico è scomparso, a favore di una articolazione del pasto diversa da quella tipica della tradizione. Materia interessante e affascinante per il nostro CATA.

Il territorio è importante per la gastronomia?
Molto. Quando mi sono sposato abbiamo deciso di festeggiare il matrimonio portando in pullman gli invitati sul lago di Como dove ci siamo imbarcati per una crociera sul lago durata un giorno. Amici e invitati sono rimasti entusiasti e ancora dopo anni ricordano l'avvenimento. Invece di rinchiuderci in un ristorante, abbiamo preferito “cibarci” con il territorio. Questo è lo spirito di CATA. Il nostro agire consiste nella ricerca filologica attenta al recupero di versioni autentiche. Andiamo più vicino possibile all'uso del luogo, cercando di cogliere al meglio l'essenza di un piatto. Pensiamo che vada collegato con il territorio, perché è questo legame che conferisce il buon gusto agli alimenti. Tuttavia siamo semplici dilettanti e non pretendiamo di fare da maestri a nessuno.

Esiste una gastronomia della Brianza?
È esistita e ancora esiste, anche se si fa fatica a rintracciarne l'esistenza quando si esce fuori dall'ovvio della cassoeula o del risotto alla monzese, che pure sono piatti interessanti e di antica storia. Cucina contadina, quindi strettamente legata al territorio. Ma quale territorio? Se si guarda all'attuale Brianza, fortemente antropizzata e popolata da una miriade di piccole e medie realtà artigianali e industriali, si fa fatica a pensare come nei secoli passati questo territorio avesse potuto esprimere una varietà così importante di colture agricole e di allevamenti.

C'è un libro per i cultori della gastronomia brianzola: Vecchia Brianza in cucina di Ottorina Perna Bozzi.

La Brianza era un tempo ricca di boschi, di cascine, di grandi estensioni coltivate a grano, a orzo, a segale, a granturco. La vite era presente quasi dappertutto e la produzione del vino, pur non essendo quantitativamente così rilevante, soddisfaceva ampiamente il fabbisogno locale e offriva una grande varietà di scelta perché ogni comunità – Lesmo, Montevecchia, Merate, Osnago, Pusiano, tanto per citarne qualcuna – aveva la sua specificità. Da questa grande ricchezza avevano tratto la materia le ricette della campagna, poi diventate le ricette dei mille paesi di pianura e di collina che costituiscono la Brianza. C'è un libro fondamentale per i cultori della gastronomia brianzola: Vecchia Brianza in cucina di Ottorina Perna Bozzi. E' stata nostra associata e nel 2003 abbiamo curato la riedizione del testo che era da tempo esaurito. La ricordo con grande affetto, perché si è prodigata a suscitare interesse e passione verso una cultura che da tempo si è dimenticata.

Qual'è la cucina che preferisci?
Confesso un interesse particolare per le cucine delle quattro sponde del Mediterraneo, molto diverse e molto simili per la lunga presenza di arabi e ottomani, con tutte le varianti legate alle tre grandi religioni del Libro. In realtà non ho una cucina preferita, sono molto curioso e aperto a ogni esperienza gastronomica perché ritengo che l'uomo, a qualunque latitudine, cerchi di utilizzare nel modo più gradevole quanto la natura gli offre per celebrare degnamente un rito che si ripete tre volte al giorno. Per motivi “sentimentali” sono affezionato alla Grecia e alla sua cucina, molto influenzata da secoli di dominazione turca. La cucina Greca si basa su una importante varietà di prodotti vegetali e animali ed è molto vicina alla dieta mediterranea.

CATA figura come partner di alcuni nuovi e interessanti progetti recentemente partiti nei territori delle Brianze. Come questo sugli orti di cui abbiamo recentemente trattato nella Rivista Vorrei. Vi siete aperti anche alle altre associazioni territoriali?
A dire il vero abbiamo più volte tentato di avviare un dialogo con le altre associazioni che si occupano del cibo nelle varie declinazioni, ma non abbiamo ancora trovato i giusti riscontri. Forse non erano ancora maturi i tempi per pensare a lavorare insieme su temi comuni, che pure sono sempre esistiti. Credo che ora la situazione stia cambiando, anche sulla spinta del sentire di chi guarda con interesse alle esperienze che le associazioni vanno facendo. Per questo abbiamo aderito convintamente al progetto di Comunità Agricola del Cibo, da pochissimo avviato con la costruzione di un grosso orto ad Agrate Brianza. Insieme alla Condotta Slow Food, al Desbri e all'Associazione Amici della Storia della Brianza stiamo lanciando alcuni progetti finalizzati al recupero agricolo di parte del territorio non urbanizzato e alla riscoperta del valore della produzione agroalimentare locale.

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Presentazione del progetto Comunità Agricola del Cibo - Agrate Brianza

Sono convinto che in questo sodalizio si produrranno ottime sinergie, perché le associazioni sono complementari. Ognuna di esse ha un ruolo specialistico in temi e settori diversi e questo non può che generare arricchimento per ogni singola associazione e per l'intero settore, in particolare se la lettura è fatta in chiave locale dove più importanti sono i temi del dibattito sul territorio. Per quanto riguarda il CATA, noi appoggiamo con convinto interesse questa iniziativa perché un gastronomo consapevole e avveduto deve guardare non solo alla tavola, ma anche alla conoscenza di tutto quanto precede il momento della confezione di un piatto, inclusi gli aspetti negativi della globalizzazione quando questa non arricchisce la produzione di nuovi alimenti sul piano locale, come avvenne a suo tempo con il pomodoro, la patata, il riso, il mais.
In questo esperimento dell'orto di Agrate chi meglio dei nostri agricoltori saprà aiutare il consumatore a conoscere e ad apprezzare la conoscenza e il consumo del prodotto locale? Il contributo che il CATA intende fornire a supporto riguarderà la conoscenza dei prodotti nelle diverse stagioni e il loro utilizzo, tradizionale ma anche innovativo quando questo è interessante. Fare cultura attraverso la gastronomia, come è nei nostri obiettivi istituzionali. 

Qui il comunicato della serata di presentazione del progetto.

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Giancarlo Colombo de "I Giardinè" di Missaglia insegna ai bambini come piantare l'insalata sul costone - Osteria del Dosso, Parco di Monza

Gli autori di Vorrei
Pino Timpani

"Scrivere non ha niente a che vedere con significare, ma con misurare territori, cartografare contrade a venire." (Gilles Deleuze & Felix Guattari: Rizoma, Mille piani - 1980)
Pur essendo nato in Calabria, fui trapiantato a Monza nel 1968 e qui brianzolato nel corso di molti anni. Sono impegnato in politica e nell'associazionismo ambientalista brianzolo, presidente dell'Associazione per i Parchi del Vimercatese e dell' Associazione Culturale Vorrei. Ho lavorato dal 1979 fino al 2014 alla Delchi di Villasanta, industria manifatturiera fondata nel 1908 e acquistata dalla multinazionale Carrier nel 1984 (Orwell qui non c'entra nulla). Nell'adolescenza, in gioventù e poi nell'età adulta, sono stato appassionato cultore della letteratura di Italo Calvino e di James Ballard.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.