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Ci voleva il libro scandalo di Donna Brazile Hacks: The Inside Story of the Break-ins and Breakdowns that Put Donald Trump in the White House per portare sulla stampa mainstram la storia delle primarie democratiche truccate da Hillary Clinton a spese di Bernie Sanders. Gli estratti pubblicati in anteprima su  Politico.com anticipano quella "sconvolgente verità" che la ex-presidente  del Partito Democratico ed ex-analista politica della CNN ha raccontato nel libro in uscita, togliendosi sassolini e sassoloni dalle scarpe. 

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onna Brazile, figura di spicco del Partito Democratico Americano ed ex-analista politica della CCN, non ci è proprio stata a passare per una dei pochi cattivi a cui sono stati attribuiti tutti gli intrighi che hanno determinato la vittoria di Hillary Clinton su Bernie Sanders nelle primarie 2016.

Vice-presidente del DNC, il Comitato Nazionale Democratico che è l'organo più importante del partito, ne aveva assunto la direzione ad interim nel luglio 2016 a due giorni dalla Convention per la designazione del candidato presidenziale, quando Debbie Wasserman Schultz, grande amica di Hillary Clinton  e presidente in carica,  era stata costretta a dimettersi per le email di Wikileaks che rivelavano i suoi favoritismi nei confronti di Hillary. 

Di Donna Brazile e di Debbie wassermann Schultz e delle Email di Wikileaks mi sono occupata su queste pagine fin dallo scoppio dello scandalo. Se ora ci ritorniamo è perché è la stessa Donna Brazile che racconta il suo punto di vista della faccenda in un libro scandalo che sta per essere pubblicato e di cui Politico ha dato qualche stralcio.  

 

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Una foto che ho scattato  a Filadelfia  nei giorni immediatamente precedenti l'inizio della convention democratica per la scelta del candidato presidenziale, quando la città era già invasa dai sandersiani  perfettamente consapevoli della frode elettorale. Le altre foto sono state prese o in quei giorni o in quelli successivi, durante le numerose manifestazioni che si protraevano fino a notte inoltrata.

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 Donna Brazile non vuole fare da capro espiatorio

Nonostante anche il nome di Donna Brazile fosse emerso in quelle email, il Partito aveva fatto finto di niente, mentre la CNN non aveva potuto esimersi dal sospenderle il contratto, seppur liquidando la faccenda con un brevissimo servizio televisivo.

Se quella sospensione non era piaciuta alla signora Brazile, ancor meno devono esserle andate giù la definitiva interruzione del rapporto di lavoro con la rete, a seguito di successive e-mail che la compromettevano ulteriormente, e la parte di capro espiatorio per la corruzione del partito piombatale addosso .

20170411 politico libro di donna brazile hacksPer un po’ comunque Donna Brazile, che ha mantenuto la carica di presidente del DNC  fino alla elezione di Tom Perez il 25 febbraio 2017, ha taciuto ed ingoiato.  Almeno apparentemente,  perché nel frattempo ha scritto un libro, che uscirà il 7 novembre prossimo, dal titolo Hacks: The Inside Story of the Break-ins and Breakdowns that Put Donald Trump in the White House. (letteralmente Attacchi informatici: la storia interna delle irruzioni e dei guasti che hanno messo Donald Trump alla Casa Bianca)

Giovedì 2 novembre il giornale americano Politico nella rubrica Book Club ha pubblicato alcuni estratti di quel libro in un pezzo intitolato Inside Hillary Clinton’s Secret Takeover of the DNC (più o meno Dentro la segreta presa di controllo del Comitato Democratico Nazionale da parte di Hillary Clinton), con il seguente occhiello:

"Quando mi è stato chiesto di dirigere il Partito Democratico dopo che i Russi avevano violato le nostre e-mail, sono incappata in una verità scioccante sulla campagna elettorale Clinton."

Gli estratti pubblicati si aprono e si chiudono in maniera piuttosto plateale con una telefonata fatta a Bernie Sanders il 7 settembre 2016, quasi un mese e mezzo dopo aver assunto la presidenza del DNC ed avere  "promesso a Bernie" che avrebbe fatto luce sulla verità. Una telefonata difficile ed emotiva, prima della quale la signora Brazile aveva "acceso delle candele nel suo salotto e aveva messo della musica gospel", e dopo la quale è "scoppiata in lacrime, non per la vergogna, ma per la rabbia."

Tra le due registrazioni del suo stato emotivo, gli estratti scelti da Donna Brazile per Politico fanno emergere chiarissime  le accuse ad Hillary di essersi presa il controllo del Partito, complice Debbie Wasserman Schultz,  fin dal 2015 in un modo alquanto ricattatorio. 

I debiti di Obama e la presa di potere di Hillary secondo Brazile

Avendo avuto la possibilità di curiosare nei conti del partito, Hillary aveva scoperto che Obama aveva lasciato  circa 24 milioni di dollari di debiti. Per prima cosa Hillary ha provveduto ad estinguerne  una gran parte. Poi ha ne ha preteso il controllo attraverso un patto per la raccolta fondi stipulato tra la sua campagna elettorale e il DNC. Fatto ciò ha cominciato a finanziare mensilmente il partito in maniera tale che potesse sopravvivere, ma con pochissima liquidità (Brazile parla di "starvation diet", una dieta da fame). 

Con questo accordo, fatto secondo Brazile da Debbie Wasserman Schultz all'insaputa sua e degli altri  dirigenti del Partito,  in pratica Hillary aggiungeva ai fondi raccolti dalla sua campagna elettorale personale Hillary for America (che  per legge aveva il limite di 2.700 dollari per donatore)  quelli assai più cospicui che ogni individuo può devolvere ai comitati di partito statali e al DNC. Soldi incamerati da Hillary, che sarebbero invece dovuti andare a beneficio di tutti i concorrenti delle primarie, per esempio organizzando dibattiti e confronti statali e nazionali. Il grande danneggiato in questo senso fu Bernie Sanders che dopo il repentino ritiro degli altri tre candidati iscritti alla corsa era rimasto l'unico e, a ragione, assai preoccupante competitor di Hillary. 

 Il controllo del partito da parte del candidato nominato è prassi consolidata, ma ciò avviene solo quando la nomina è ufficiale. Hillary invece ha goduto di questo enorme privilegio un anno prima della sua  candidatura presidenziale ottenuta, secondo le parole della signora Brasile, in modo "non illegale" ma  "contrario ad ogni etica".

La verità e la sua convenienza ai fini della vendetta

Se  Donna Brazile sia sincera nell’affermare la sua ignoranza in merito alla "verità sconvolgente" nella quale dichiara di essere "inciampata" non è dato sapere, soprattutto alla luce di alcuni sospetti determinati da suoi precedenti comportamenti difficili da giustificare. Uno è ad esempio relativo ad alcune e-mail   spedite da lei allo staff Clinton con le domande che il pubblico della CNN avrebbe rivolto ad Hillary durante un confronto televisivo con Bernie Sanders e di cui abbiamo parlato su Vorrei a tempo debito. Quelle e-mail che attesterebbero  una gravissima violazione del codice professionale, e che sono state rilasciate da Wikileaks circa un mese dopo la telefonata di Donna Brazile a Bernie Sanders, le  sono costate il licenziamento dalla rete, sebbene sotto la forma più soft di dimissioni rese spontaneamente. 

Per il momento  è  certo che nel pentolone che la signora Brazile ha scoperchiato di cose che scottano ce ne sono parecchie. Quel che in effetti sorprende di questa "verità sconvolgente", di cui l'informazione indipendente ed investigativa era già consapevole da prima delle email di Wikileaks avendo  condotto accurate ricerche e realizzando servizi e documentari, è che Donna Brazile ne fosse ignara. Mentre ciò che lascia perplessi e demoralizza  è  il fatto che per fare arrivare la notizia delle primarie truccate alla ribalta della stampa mainstream  ci sia voluto un "libro scandalo", dove, in nome della vendetta, è difficile credere che alcune verità, rivelate per convenienza,  non siano mescolate ad altre menzogne.  

 

 

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 Traduzione di estratti dal libro di Donna Brazile 

Di seguito la traduzione degli estratti del libro di Donna Brazile pubblicati su Politico.com il 2 novembre 2017.

 Inside Hillary Clinton’s Secret Takeover of the DNC

"Quando mi è stato chiesto di dirigere il Partito Democratico dopo che i Russi avevano violato le nostre e-mail, sono incappata in una verità scioccante sulla campagna elettorale Clinton."

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La foto della convention democratica di Filadelfia che accompagna il pezzo di Politico

"Prima di chiamare Bernie Sanders, ho acceso una candela in salotto e ho messo della musica gospel. Volevo concentrarmi per quella che sapevo sarebbe stata una telefonata emotiva.

Quando ho preso la guida del Comitato Nazionale Democratico dopo la convention, avevo promesso a Bernie che sarei arrivata fino in fondo per scoprire se il team di Hillary Clinton avesse truccato il processo della nomination, secondo quanto una serie di email segrete rubate da hackers russi e pubblicate online avevano ipotizzato. Avevo avuto dei sospetti fin dal momento in cui avevo varcato la soglia del DNC più o meno un mese prima, in conseguenza del rilascio di quelle email. Ma chi sapeva se alcune di esse fossero state falsificate? Dovevo avere delle prove solide e lo stesso valeva per Bernie.

Così ho seguito i soldi. Colei che mi aveva preceduto, la deputata della Florida Debbie Wassermann Schultz, non era stata una presidente particolarmente attiva nel raccogliere fondi quando la negligenza del Presidente Barack Obama aveva lasciato il partito con grossi debiti. Nel momento in cui la campagna di Hillary prese slancio, lei (Hillary) sistemò il debito del partito e lo mise a dieta ferrea. Per sopravvivere il partito dipendeva dalla campagna elettorale di Hillary, cosa per la quale lei si aspettava in cambio di avere il controllo del suo funzionamento.

Debbie non è stata una brava manager. Non aveva mai mostrato un gran interesse nel controllare il partito - lasciava che il quartier generale di Hillary a Brooklyn facesse quello che voleva, così non doveva informare i dirigenti del partito di quanto fosse brutta la situazione. Che tipo controllo e da quanto tempo Brooklyn lo esercitasse era una cosa che stavo ancora cercando di scoprire nelle ultime settimane.

Per il 7 di settembre, il giorno in cui ho chiamato Bernie, avevo trovato la mia prova e la cosa mi aveva spezzato il cuore.

***

Il sabato mattina successivo alla convention di luglio, ho chiamato Gary Gensler, il responsabile finanziario della campagna elettorale di Hillary. Non ha sprecato parole. Mi ha detto che il Partito Democratico era al verde e che aveva due milioni di dollari di debito.

“Cosa?” ho urlato. “Sono una dirigente del partito e ci hanno detto che andava tutto bene e che stavano raccogliendo soldi senza problemi.”

No era vero, ha detto. I dirigenti della campagna elettorale di Hillary avevano dato un’occhiata ai libri del Comitato Nazionale Democratico. Obama lasciava il partito con 24 milioni di dollari di debito - 15 milioni in debiti bancari e più di 8 milioni di dollari dovuti ai fornitori della campagna elettorale del 2012 - e stava restituendo quei soldi molto lentamente.
La campagna elettorale di Obama aveva aveva programmato di non estinguere il debito fino al 2016. Hillary for America (la campagna elettorale) e Hillary Victory Fund (il suo strumento per la raccolta fondi congiunta con il DNC) si erano preso carico dell’80% del debito rimanente, circa 10 milioni di dollari, e avevano messo il partito sul loro libro paga.

Dato che io non ne sapevo niente, ho desunto che nessun altro dirigente lo sapesse. Quella era proprio la strategia di Debbie. In base alla mia esperienza lei non andava dai dirigenti del DNC per chiedere consigli o consulenze. Sembrava prendere le decisioni per conto suo e ci faceva sapere all’ultimo momento quello che aveva deciso, come aveva fatto quando ci comunicò dell’hackeraggio solo pochi minuti prima che il Washington Post uscisse con quella notizia.

Al telefono Gary mi ha detto che il DNC aveva bisogno di un prestito di 2 milioni di dollari, e che la campagna [di Hillary] aveva provveduto.

“No! Non può essere vero!” ho detto. “Il partito non può stipulare un prestito senza lil consenso unanime di tutti i dirigenti.”
“Gary, come hanno potuto farlo senza che io lo sapessi?” ho chiesto. “Non so come Debbie si relazioni con i dirigenti,“ ha detto Gary. Lui ha descritto il partito come completamente sotto il controllo della campagna di Hillary, cosa che sembrava confermare i sospetti della campagna di Bernie. La campagna teneva in vita il DNC, fornendogli mensilmente i soldi necessari per le spese basilari, e contemporaneamente usava il partito come camera di compensazione per la raccolta fondi. Secondo la legge stabilita dalla Commissione per le Elezioni Federali un individuo può contribuire per un massimo di 2.700 dollari elargiti direttamente ad una campagna elettorale. Ma i limiti sono molto più alti per contributi a partiti politici e ai loro comitati nazionali.

Le persone che avevano raggiunto il limite massimo del contributo di 2.700 dollari potevano staccare un ulteriore assegno di 353.400 dollari a favore del Hillary Victory Fund - quella somma rappresentava 10.000 dollari a ciascuno dei partiti dei 32 stati che facevano parte dell’accordo del Victory Fund- 320.000 dollari - e 33.400 dollari al DNC. Il denaro veniva depositato prima negli stati e trasferito poco tempo dopo al DNC. I soldi degli stati dove si stava svolgendo la competizione elettorale di solito restavano in quello stato, ma tutti gli altri stati convogliavano il denaro direttamente al DNC, che velocemente trasferiva quel denaro a Brooklyn.

“Aspetta,” ho detto “Quel Victory Fund sarebbe dovuto essere a disposizione di chiunque fosse il nominato, e destinato alle competizioni tra i candidati del partito nei singoli stati. Mi stai dicendo che Hillary lo ha controllato fin da prima di ottenere la nomination?”

Gary ha detto che la campagna elettorale doveva fare così o il partito sarebbe collassato.

“Quello era il patto che che Robby aveva fatto con Debbie,“ ha spiegato, riferendosi al capo della campagna Robby Mook. “Era per sostenere il DNC. Abbiamo mandato al partito quasi 20 milioni di dollari da settembre fino alla convention, e dell’altro ancora per preparare le elezioni.”

“Qual è il tasso di spesa, Gary?” ho chiesto. “Di quanti soldi al mese abbiamo bisogno per finanziare il partito?”

Il tasso di spesa andava dai tre milioni e mezzo ai quattro milioni al mese, ha detto.

Ho sussultato. Avevo un’idea abbastanza precisa di come funzionasse il DNC dopo esserne stata presidente ad interim cinque anni prima. Allora le spese mensili ammontavano alla metà. Che cosa era successo? Il presidente del partito di solito ridimensiona lo staff tra le campagne elettorali presidenziali, ma Debbie aveva scelto di non farlo. Aveva messo molti consulenti sul libro paga del DNC, e anche i consulenti di Obama erano finanziati dalla DNC.

Quando abbiamo finito la telefonata, ero furente. Non con Gary, ma con questo disastro che avevo ereditato. Sapevo che Debbie aveva esternalizzato buona parte della direzione del partito e che non era stata particolarmente brava nella raccolta fondi. Io non sarei stata quel tipo di presidente, anche se avevo solo una carica ad interim. Pensavano che sarei stata solo un surrogato a loro disposizione, che mi sarei messa in moto per incitare le folle? Avrei cercato di dirigere questo partito nel miglior modo possibile e avrei cercato di renderlo migliore, anche se a Brooklyn non fosse piaciuto. Ci sono volute settimane prima di capire tutte le manovre sporche che tenevano in vita il partito.

Più o meno intorno al periodo della convention, le email rilasciate rivelarono che la campagna di Hillary stava prendendo soldi dai partiti dei singoli stati per i suoi scopi privati, lasciando gli stati con pochissimo denaro per sostenere gli altri candidati. Una storia pubblicata da Politico il 2 maggio 2016 descriveva il grande meccanismo di raccolta fondi cui Hillary aveva dato inizio negli stati l’estate prima, citando una promessa che aveva fatto secondo cui lei avrebbe ricostruito “il partito da zero… quando i partiti del nostro stato sono forti, noi vinciamo. Questo è quello che accadrà.”

Tuttavia gli stati si sono tenuti meno della metà dell’uno per cento degli 82 milioni di dollari che avevano accumulato dalle esagerate raccolte fondi che la campagna elettorale di Hillary stava conducendo, secondo quanto Gary mi aveva descritto quando io e lui ne parlammo in agosto. Quando la storia di Politico definì questo modo di fare come “essenzialmente… riciclaggio di denaro” per la campagna Clinton, il popolo di Hillary si sentì oltraggiato nell’essere accusato di fare qualcosa di poco chiaro. il popolo di Bernie era arrabbiato per li suoi motivi, e affermava che tutto questo faceva parte di una strategia studiata per consegnare a Hilary la nomina.

Io volevo credere a Hillary, anche poiché aveva messo nella sua piattaforma la riforma finanziaria delle campagne elettorali, ma avevo fatto una promessa a Bernie e non volevo deluderlo. Ho continuato a chiedere agli avvocati del partito e allo staff del DNC di farmi vedere gli accordi che il partito aveva fatto per la suddivisione del denaro che raccoglieva, ma ci fu un gran imbarazzo e un gran voltare la testa dall’altra parte.

Quando sono tornata dalla mia vacanza a Martha’s Vineyard, alla fine ho trovato i documenti che descrivevano tutto quanto: l’accordo di raccolta fondi tra il Dnc, il Hillary Victory Fund e Hillary for America.

L’accordo - firmato da Amy Dacey, il precedente CEO del DNC, e Robby Mook, con una copia per Marc Elias - specificava che in cambio della della raccolta di denaro e delle sovvenzioni al DNC, Hillary avrebbe avuto il controllo delle finanze e delle strategie del partito e di tutti i soldi raccolti. La sua campagna elettorale aveva il diritto di veto su chi sarebbe stato il il direttore delle comunicazioni del partito e avrebbe preso le decisioni finali su chiunque altri dello staff. Al DNC veniva anche richiesto di consultarsi con la campagna elettorale su qualsiasi altra cosa inerente lo staff, il budget, i dati, le analisi e la posta.

Io Mim chiedevo come mai non potessi scrivere un comunicato stampa senza doverlo far passare da Brooklyn. Ecco, la risposta era qui.

Quando il partito sceglie il nominato presidenziale, è abitudine che il team del candidato cominci ad esercitare un maggior controllo sul partito. Se il partito ha un candidato in carica, come fu nei casi di Clinton nel 1996 e di Obama nel 2012, questo tipo di disposizione è continuativa perché il partito è già sotto il controllo del presidente. Quando c’è una gara aperta senza un candidato in carica e quindi primarie competitive, il partito passa sotto il controllo del candidato soltanto dopo che la nomina è sicura. Quando ero direttrice della campagna di Al Gore nel 2000, abbiamo cominciato ad inserire la nostra gente nel DNC in giugno. Questo accordo con il Victory Fund, però, è stato firmato nell’agosto 2015, solo quattro mesi dopo che Hilary aveva annunciato la sua candidatura e quasi un anno prima che ottenesse la candidatura ufficiale.

Avevo cercato di scoprire qualche altra prova di corruzione interna che dimostrasse che il DNC stava truccando il sistema per per assegnare le primarie a Hilary, ma non sono riuscita a trovarne né negli affari del partito né tra lo staff. Ero passata di dipartimento in dipartimento, indagando i comportamenti individuali che comprovassero decisioni illegali, ed ero felice di non averne trovate. Poi ho trovato questo accordo.

L’accordo finanziario con Hillary for America e il Victory Fund non era illegale, ma sicuramente appariva contrario all’etica. Se la lotta fosse stata leale, una campagna elettorale non avrebbe avuto il controllo del partito prima che gli elettori decidessero chi volevano che vincesse. Questo non è stato un atto criminale, ma per come la vedo io, ha compromesso l’integrità del partito.

***

Dovevo mantenere la promessa fatta a Bernie. Ero in ansia e gli ho telefonato. Tenere questo segreto andava contro tutto quello per cui mi sono battuta, tutto quello che per me era importante come donna e come funzionario statale.

“Salve, senatore. Ho completato la mia revisione del partito e ho trovato il cancro,“ gli ho detto. “Ma non ucciderò il paziente.”

Ho parlato dell’accordo per la raccolta fondi che ciascun candidato aveva firmato. Bernie sapeva di cosa si trattasse, ma lui e il suo staff non ci avevano badato. Loro avevano il loro modo di raccogliere soldi attraverso piccole donazioni . Gli ho descritto come la campagna di Hillary avesse preso un’altra piega.

Ho detto a Bernie che avevo trovato il patto congiunto di raccolta fondi. Ho spiegato che il cancro consisteva nel fatto che Hillary avesse esercitato il controllo del partito molto prima di essere la nominata. Se l’avessi saputo non avrei mai accettato quella posizione di presidente ad interim, ma ormai eravamo a poche settimane dalle elezioni.

Bernie l’ha presa stoicamente. Non si è messo ad urlare né ha espresso sdegno. Piuttosto mi ha chiesto quali pensavo fossero le possibilità di Hillary. I sondaggi la davano unanimemente vincente ma quale, voleva sapere, era la mia personale valutazione?

Ho dovuto essere franca con lui. Gli ho detto che non mi fidavo dei sondaggi. Avevo visitato stati in tutto il paese e ovunque avevo riscontrato mancanza di entusiasmo per lei. Ero preoccupata per la coalizione di Obama e per i millenials.

Ho spinto Bernie a lavorare quanto più potesse per portare i suoi sostenitori verso Hillary, e di condurre la campagna elettorale per lei con tutta la passione e la speranza che poteva metterci. Bernie poteva ritenere troppo di centro alcune delle posizioni di Hillary, e disgustosa la sua vicinanza con le elite finanziarie, ma sapeva come lo sapevo io che l’alternativa era una persona che avrebbe messo in pericolo il futuro imminente della nazione. Io lo sapevo e lui mi dato retta. Sapevo che era d’accordo con me, ma io non mi sono mai sentita così piccola e impotente come mi sono sentita durante quella telefonata.

Terminata quella telefonata con Bernie, ho cominciato a piangere, non per la vergogna , ma per la rabbia. Saremmo andati avanti. Dovevamo farlo.

Gli autori di Vorrei
Elisabetta Raimondi
Elisabetta Raimondi
Disegnatrice, decoratrice di mobili e tessuti, pittrice, newdada-collagista, scrittrice e drammaturga, attrice e regista teatrale, ufficio stampa e fotografa di scena nei primi anni del Teatro Binario 7 e, da un anno, redattrice di Vorrei.
Ma soprattutto insegnante. Da quasi quarant’anni docente di inglese nella scuola pubblica. Ho fondato insieme ad ex-alunni di diverse età l’Associazione Culturale Senzaspazio.

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