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Il Centro Aiuto Donne Maltrattate avrà a Monza una sede completamente rinnovata dove meglio accogliere e ascoltare le donne che subiscono violenza. Sabato 24 novembre, in vista della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, l’inaugurazione.

La violenza sulle donne è un triste fenomeno della nostra società. Gli ultimi dati (Istat 2014) disponibili sulla “sicurezza delle donne” sono impressionanti: “Il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila)

Da molti anni le volontarie del C.A.DO.M. si occupano di aiutare le numerose donne della Brianza che hanno subito maltrattamenti e violenze. Adesso la loro azione quotidiana potrà avvalersi di un ambiente più confortevole e funzionale. La vecchia sede è stata completamente rinnovata grazie a finanziamenti ricevuti in seguito alla partecipazione ad un bando della Regione Lombardia finalizzato proprio al miglioramento dei locali dei centri antiviolenza.

In occasione della presentazione alla stampa dei nuovi locali, circondati da una atmosfera di entusiasmo (i locali sono veramente belli, accoglienti e funzionali, grazie all’architetto Gloria Crovi) ne parliamo con la Presidente Anna Levrero e la psicoterapeuta Claudia Gazzaniga. Di entrambe colpiscono i dolci sorrisi che non celano però determinazione e competenza.

 

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Dottoressa Levrero, innanzitutto cos’è il Cadom?

Levrero- Il Cadom è un gruppo di donne che ha l’aspirazione, l’ambizione o presunzione di poter essere di appoggio e aiuto ad altre donne che vivono momenti di difficoltà e di provare a riuscire ad incidere sulla Società per cambiare la visione maschilista, prepotente e prevaricante così di moda in questo momento. Noi abbiamo come focus quello di essere a fianco di donne in difficoltà e contemporaneamente facciamo molto lavoro nelle scuole e di informazione nella Società.

I dati nazionali sono allarmanti, com’è la situazione locale?

Levrero-  Quest’anno, da gennaio ad ottobre, già 246 donne si sono rivolte al Cadom che però in quest’ultimo anno ha operato a Monza e solo da aprile ha reso operativi gli sportelli di Brugherio, Lissone e Seregno. In circa 3 casi su 4 la persona è di nazionalità italiana e nel restante dei casi straniera. Soprattutto proveniente dal Perù, Albania ed Ecuador.

Dottoressa Cazzaniga, chi sono le donne che si rivolgono a voi.

Cazzaniga - Donne come noi, sempre più giovani ed acculturate, che chiedono soprattutto la possibilità di essere ascoltate e credute. In un luogo dove poter pensare insieme a noi ad una prospettiva di vita relazionale diversa, dentro la quale sentirsi bene e non annientate, svalutate, maltrattate.

Levrero, il Cadom con quali altre istituzioni ufficiali interagisce?

Levrero -  Interagiamo con tutte le istituzioni del territorio, all’interno del progetto Artemide (nato con l’obiettivo di costruire un modello territoriale condiviso, per definire le modalità di collaborazione tra tutti gli enti che si occupano del fenomeno “violenza di genere in ambito familiare”,n.d.r.). Con i servizi sociali, le forze dell’Ordine, i pronto soccorsi degli ospedali e con i consultori. Anche con la Magistratura, in alcuni casi. In sostanza noi interagiamo con tutte le istituzioni competenti e dedicate.

 

Locandina Rete Artemide

 

Voi siete delle volontarie, ci può spiegare esattamente il ruolo della volontaria e come lo si diventa?

Levrero -Si diventa volontarie facendo un corso di formazione severo, impegnativo e strutturato che dura sei mesi. Segue un periodo di tirocinio che le aspiranti volontarie attuano all’interno del Cadom a fianco delle operatrici più esperte. Solo alla fine di questo periodo si entra a contatto con le donne. Il percorso è condotto da noi, dalle nostre professioniste, psicologhe e legali, e mira a trasferire una visione del fenomeno del maltrattamento: quali sono le sue caratteristiche principali, come si struttura il percorso della violenza e del maltrattamento e così via. Un percorso che quindi fornisce delle basi teoriche abbastanza consistenti. Poi è chiaro che ognuna di noi si costruisce una esperienza sul campo e chi ha voglia approfondisce anche per conto proprio perché di materiale da studiare ce n’è tantissimo. Formazione continua è comunque prevista per l’intero gruppo di volontarie perché al di là della supervisione che facciamo mensilmente con le nostre psicologhe per affrontare i casi più difficili che ci creano difficoltà, ci teniamo sempre a fare incontri formativi che ci permettano di crescere, individualmente e come gruppo, affinché quest’ultimo, più strutturato ed omogeneo, porti fuori una voce abbastanza uniforme che possa incidere sulla Società.

Insomma donne che aiutano le donne (parafrasando un noto romanzo). Dottoressa Cazzaniga immagino come tutto questo comporti una partecipazione emotiva molto forte. Il vostro ruolo di psicoterapeute è di supporto alle volontarie e anche alle donne? Come si struttura?

Cazzaniga - Sì, il nostro lavoro di psicologhe e psicoterapeute è sia con le volontarie che direttamente con le donne. Sia fuori, che nel territorio rispetto agli incontri di rete. Facciamo anche delle consulenze rispetto al lavoro dei servizi sociali, forze dell’Ordine e Magistratura. Nel corso degli anni abbiamo anche costruito diversi percorsi di formazione sul territorio con gli operatori che lavorano nell’ambito del maltrattamento. Uno dei temi, il primo, è proprio l’impatto emotivo che la violenza ha sull’operatore.

 

20181123 cadom pillon

 

Ho sentito parlare di formazione, di istruzione, cultura. A che età secondo voi si dovrebbe iniziare nelle scuole a parlare di questi concetti?

Levrero- Pensi che Claudia e Cristina, le nostre psicologhe, hanno fatto un corso a chi intendeva diventare genitore, tanto per prenderla da lontano. Io trovo comunque che sia abbastanza riduttivo l’idea di partire “da questo punto in avanti”.  Cominciamo a dire invece che bisogna rispettarsi reciprocamente da subito. Non c’è età.

 Vedo quasi sempre testimonial donne che si occupano di altre donne. Per fare arrivare il messaggio agli uomini, che poi sono quelli che quasi sempre creano il problema, si è mai pensato di utilizzare testimonial maschili e, perché no, persone che fanno outing perché usciti dalla violenza attiva?

Levrero - A proposito del testimonial maschile, qualche anno fa c’è stata una campagna molto bella fatta dai giocatori di rugby e il messaggio era: anche se sei grande e grosso non sei necessariamente un bruto e le donne vanno rispettate.  L’idea invece di utilizzare come testimonial qualcuno che sia venuto fuori dalla violenza è complicato. Nel senso che difficilmente gli uomini che agiscono violenza riconoscono di essere autori di violenza. Noi che abbiamo avuto varie esperienze, nelle carceri o anche in qualche ASL in giro per l’Italia, abbiamo constatato che gli uomini fanno veramente fatica a riconoscere di esser portatori di violenza e il percorso che loro fanno per uscire da quella situazione è molto lungo. Non so se sarebbero dei testimoni credibili.

Ho sentito prima parlare di sorriso nel senso che il momento di soddisfazione di un obiettivo centrato è veder sorridere queste donne.  Cazzaniga mi può riformulare il concetto del sorriso?

Cazzaniga - Le donne perdono il sorriso perché perdono la fiducia in loro stesse e nelle possibilità di realizzarsi con l’altro e nel mondo. Il recupero del sorriso è proprio questa possibilità di tornare a sentirsi capaci e abili nel potersi realizzare. Il recupero dal punto di vista dell’aiuto è il recupero della fiducia in sé e nell’altro. Questo perché essendo il problema del maltrattamento un problema di relazione intima, il maltrattamento intimo viene a minare proprio l’esperienza relazionale primaria, quella tra sé e il mondo, tra sé e la vita.

Anna, cosa proporrebbe al legislatore per affrontare quella che sento definire come questione maschile.

Levrero - Questione culturale talmente complessa, difficile rispondere. Noi abbiamo fatto a Brugherio una serie di incontri sull’analisi del linguaggio, delle parole, sulla comunicazione che passa attraverso la pubblicità e sulla scarsa attenzione nell’uso delle parole che c’è in televisione quando vengono date le notizie di uccisioni di donne da parte del loro marito. Vi è una banalizzazione deprimente di un atto tragico. Noi dovremmo porre attenzione al linguaggio. Che vuol dire che tu prima di parlare pensi all’impatto che quella parola può avere sulle persone che ti ascoltano, ed io trovo che ci sia molta superficialità nel trattare il fenomeno del maltrattamento e nel trattare il problema del rispetto reciproco.

Prima la vice presidente Cristina Rubagotti ha detto che “i linguaggi della violenza sono infiniti”. Claudia, può dirci qualcosa di più?

Cazzaniga - Rispetto ai linguaggi della violenza mi viene in mente la scuola, la nostra esperienza nella scuola, dove vi è la fatica degli insegnanti stessi a riconoscere un bambino vittima della violenza assistita, oppure una mamma sofferente e maltrattata dove il linguaggio è la maschera della violenza. Proprio tanto difficile riconoscerla perché è difficile per noi rappresentarci uno scenario tanto drammatico di una vita familiare. Quindi questa maschera rappresenta la nostra fatica interiore ma che ha radici culturali profonde, nell’immaginarsi una famiglia come inferno anziché come luogo d’amore.

Anna, sappiamo che c ‘è molta difficoltà per le donne ad aprirsi, a parlare. Cosa direbbe ad una donna in difficoltà per incoraggiarla ad avvicinarsi al Cadom?

 Levrero - Di venire da noi con tranquillità perché tutte le cose che si sentirà di dire rimarranno tra queste pareti. Noi la ascolteremo senza metterle fretta credendo a tutto quello che lei dice, senza giudicare niente di quello che lei dice e cercheremo di accompagnarla nel suo percorso di uscita dalla violenza rispettando i suoi tempi, i suoi dubbi, perché le donne che vengono da noi fanno un passo avanti, due di lato e tre indietro. Il nostro compito come volontarie Cadom è proprio quello di accompagnarle. Non abbiamo bisogno di ottenere risultati. Come dice Claudia, il nostro risultato migliore è proprio quando alla fine del colloquio la donna va fuori e ci sorride. Ci abbraccia.

 Grazie a tutte Voi per quanto fate e buon lavoro.

I centri antiviolenza si sono ritagliati un ruolo specifico: autorevole e competente. Impossibile ormai prescinderne. Non solo lo Stato, anche tutti noi possiamo fare di più.  La nostra parte possiamo svolgerla diffondendo la cultura del rispetto e della non violenza. Insieme all’informazione, utilissima per le donne in difficoltà, che esistono posti accoglienti e confortevoli, come la sede di via Mentana, 43 a Monza che oggi abbiamo visitato.

Gli autori di Vorrei
Francesco Montorio
Francesco Montorio
Nato a Napoli nel ’61, ho vissuto gli ultimi trent’anni tra Veneto e Lombardia. Ora vivo a Lesmo con mia moglie e le nostre due figlie. Funzionario di un importante Gruppo Aziendale, con una trentennale esperienza maturata presso Società Leader, mi sono occupato prevalentemente di formazione. Professional Coach (diplomato ACSTH-ICF), ho tenuto docenze seminariali presso l’Università Insubria di Varese (Scienza della Comunicazione). Ho difeso la Costituzione col Comitato per il No di Milano-Coordinamento per la Democrazia Costituzionale (CDC). Realizzo incontri per far conoscere la drammaticità delle leggi sui licenziamenti individuali e sostenere il ripristino dell’art. 18. Associato a Comma2-Lavoro è Dignità, pubblico anche su Area Pro Labour-Fatto Quotidiano.