20190601 Bhaskar Sunkara

Bhaskar Sunkara, fondatore e direttore di Jacobin Magazine, la prestigiosa rivista americana fondata nel 2010 e conquistatasi in pochi anni fama internazionale, ha presenziato a Milano alla presentazione dell'edizione  italiana. Vorrei ha avuto il privilegio di intervistarlo per approfondire la situazione americana in previsione delle presidenziali 2020.

Il panorama giornalistico italiano si è recentemente arricchito del periodico  trimestrale Jacobin,  new entry europea di  Jacobin Magazine, prestigiosa rivista di ispirazione marxista fondata negli Stati Uniti  nel 2010. Conquistatasi in pochi anni la fama di caso editoriale e politico, il periodico americano  ha dato vita all’estero a diversi  Jacobin  paralleli che, pur contenendo traduzioni di alcuni articoli americani, dedicano la maggior parte dei contenuti ai rispettivi paesi di pubblicazione, mantenebndo ovviamente le linee politiche della rivista madre. 

Il successo di  Jacobin Magazine  e del suo sito internet, che ci auguriamo venga replicato in Italia,  si deve soprattutto al suo giovane fondatore e direttore, Bhaskar Sunkara, lanciatosi nell’impresa editoriale quando era  studente universitario, animato da entusiasmo, coraggio e dalla convinzione che la forza delle idee possa  trasformare la società. 

Giunto a Milano dagli Stati Uniti appositamente per la presentazione ufficiale del primo numero di Jacobin Italia, svoltasi lo scorso dicembre al Teatro Elfo Puccini, Bhaskar è stato ospite di Elio De Capitani insieme ai redattori Piero Maestri e Francesca Coin, all'editore del settore europeo David Broder e alla sociologa del diritto Valeria Verdolini. 

Lasciando alla collega Carmela Tandurella il compito di occuparsi della rivista italiana, ci soffermiamo qui su quella americana,  prima di lasciare spazio  all'intervista che Vorrei ha avuto il privilegio di poter fare a Bhaskar Sunkara. 

 

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La presentzione di Jacobin Italia al Teatro Elfo Puccini — Da sinistra: Elio De Capitani, David Broder, Bhaskar Sunkara, Piero Maestri, Francesca Coin e Valeria Verdolini (Foto di Antonio Cornacchia)

 

Il modo migliore per presentare Jacobin Magazine ci pare essere la traduzione della frase di Noam Chomsky, a ragione riportata orgogliosamente sul sito:

 «La comparsa di Jacobin Magazine è stato un bagliore in tempi oscuri. Ogni numero presenta discussioni acute e vivaci ed analisi di questioni di reale importanza da una riflessiva prospettiva di sinistra che è nuova e del tutto rara. Un contributo davvero notevole al buon senso, alla speranza.»

Tra le finalità  di Jacobin l'intenzione di rendere accessibili le idee di Marx ad un  pubblico ampio e  di diversi orientamenti,  pur senza impoverire i contenuti del suo pensiero. 

Ma come si è arrivati a tanto? 
L'idea  iniziale di Bhaskar e di alcuni suoi compagni universitari, affascinati come lui dalle teorie marxiste, era   quella di tentare di farle uscire dal ristretto circolo di persone gravitanti intorno alle pubblicazioni socialiste. Sentivano la necessità di fare in modo che un pubblico  sempre più ampio, e soprattutto di diversi orientamenti, potesse accedere alla conoscenza ed alla comprensione dei principi di Marx pur non leggendolo direttamente, ma  attraverso analisi, spiegazioni ed esempi chiari che non ne impoverissero però i contenuti dottrinali.  L’impresa non era facile soprattutto tenuto conto della marginalità che storicamente le idee socialiste hanno negli Stati Uniti, dove la gente è ancora molto condizionata dai tabù della propaganda che per decenni ha associato Marx esclusivamente ai regimi comunisti e dittatoriali, impossessatisi a vario titolo del suo nome.

Principio fondante di Jacobin è invece dimostrare come le idee socialiste di Marx possano convivere con le pratiche della democrazia, in un sistema da riformulare profondamente, privandolo delle colossali ineguaglianze ed ingiustizie prodotte dal capitalismo, sempre più ingordo e devastante, pur salvaguardandone alcuni aspetti allettanti quali un certo grado di benessere che può e deve essere condiviso. Poiché l'unico modo per apportare sostanziali cambiamenti  è  la lotta dal basso, come è sempre stato per le grandi trasformazioni sociali e civili, un obiettivo primario è quello di rendere quelle idee quanto più popolari possibile attraverso una positiva diffusione contagiosa.

La completa compatibilità tra il pensiero marxista e le pratiche della democrazia. La necessità di un sistema che consenta a chiunque di sviluppare le proprie potenzialità

Imperativo categorico del nuovo sistema è dare ad ogni individuo  la possibilità di sviluppare le proprie potenzialità. Una delle citazioni che Bhaskar ama riportare riguarda  Einstein ed il suo grande interesse verso le persone che, pur dotate di un'intelligenza  pari alla sua, vivevano e morivano sfruttati fino allo stremo nelle fabbriche o nei campi di cotone. Un sistema che dia a tutti pari opportunità deve partire dalla cura dei bambini attraverso un’educazione pubblica di buon livello fin dalla prima infanzia, cosa che ora negli Stati Uniti, ma non solo, non esiste, a causa della sempre maggiore proliferazione dei ghetti scolastici prodotti dai costanti e cospicui tagli in atto armai da decenni. La stessa cosa vale ovviamente per le altre istanze di base del welfare per le quali Jacobin e Bhaskar si battono non solo attraverso i loro articoli, ma intervenendo attivamente in molte cause, perfettamente inseriti dunque in quella ideale linea  di continuità che per quanto riguarda gli Stati Uniti va, come Bhaskar afferma,  da Eugene Debs a Bernie Sanders.
Un esempio su tutti il sostegno che Jacobin ha dato allo sciopero degli insegnanti di Chicago nel 2016,  sia pubblicando un pamphlet che spiegava le ragioni della necessità di sostenere gli scioperanti, sia intervenendo con un diretto supporto  finanziario.  Lo staff di Jacobin è anche impegnato nel progetto dei  gruppi di lettura, completamente gratuiti per i partecipanti, che sono ormai numerosissimi non solo negli Stati Uniti ma anche nei paesi affiliati e che verranno creati anche in Italia. 

 Un altro aspetto che ha contribuito all’affermazione di Jacobin e all'attenzione da parte di parecchia di quella stampa mainstream che si definisce liberal, come ad esempio il New York Times, è quello estetico.  Andando controcorrente rispetto alle posizioni generalmente attribuite alla sinistra secondo cui ciò che conta non è la forma ma la sostanza,   Jacobin ha fatto della veste estetica un suo punto di forza, avvalendosi di grafici e designer che producono lavori di qualità pur senza rinunciare alla politicità dei contenuti. 

copertina jacobinitalia 300x400Sebbene i meriti del direttore e del suo staff nel far crescere Jacobin Magazine  non si esauriscano qui,  Bhaskar non manca mai di citare Bernie Sanders come importante artefice dell'exploit che rivista e sito hanno avuto negli ultimi anni. La crescente notorietà di Bernie ha infatti avvicinato molte persone alle idee socialiste, pur creando contemporaneamente  alcune frizioni con quella stampa liberal che, se fino a tre anni fa poteva permettersi di considerare Jacobin e Bhaskar oggetti interesanti ma innocui,  ora li teme maggiormente.  Bhaskar Sunkara, che è anche vicepresidente dei Social Democrats of America (DSA), comunque continua a scrivere per il Guardian e occasionalmente per il New York Times

Quanto alla nostra intervista,  essa è stata un'occasione davvero speciale  per continuare, attraverso le opinioni di un personaggio così di spicco, il  percorso nel contraddittorio mondo "democratico" americano, proprio nel momento  in cui si stanno per definire le candidature alla primarie democratiche per le presidenziali 2020.

Premettiamo che al momento dell'incontro non erano ancora certe le candidature di Joe Biden, di Elizabeth Warren.  Nel frattempo Biden l'ha quasi ufficializzata, e anche Warren la settimana scorsa l'ha resa praticamente certa  attraverso la dichiarazione di un'indagine esplorativa e il rilascio di un video.  Per quanto riguarda Bernie i suoi milioni di sostenitori, e non solo americani considerate  le benefiche ripercussioni che la sua presidenza avrebbe a livello mondiale,   sono ancora  in trepidante attesa della sua decisione finale. 

 

Intervista a Bhaskar Sunkara

Prima di tutto grazie molte per avere acconsentito a questa intervista nonostante la stanchezza per il volo e  il pochissimo tempo a tua disposizione. Premesso che la nostra rivista ha già ospitato due collaboratrici di Jacobin Magazine, Dianne Feeley e Nancy Halstrom, intervistate a Filadelfia nel 2016 nei giorni della Convention Democratica finale, le mie domande verteranno soprattutto su Bernie Sanders e il Partito Democratico, miei specifici campi di azione.
Pur correndo come indipendente per il Senato, Bernie e i suoi si muovono nel Partito Democratico. Da osservatrice esterna la convivenza in quel partito di persone e posizioni tanto differenti sembra contro natura.  Qual è la tua posizione e quella di Jacobin sulla possibilità di riformare il partito dall’interno, linea adottata da Justice Democrats e Our Revolution nati dopo le elezioni del 2016? 

Io non credo che  sia possibile riformare il Partito Democratico. Tuttavia do il mio sostegno a coloro che cercano di portare avanti questa riforma. In altre parole, se ho ragione io, allora è indispensabile avere un approccio diverso alla politica del partito, il che significa partecipare alle primarie in due modalità: una senza avere la pretesa di metterlo a posto, l’altra per arrivare di fatto ad una rottura col partito. Se hanno ragione loro, allora  avremo come minimo un partito democratico che porterà avanti una politica di sinistra sociale. Sono convinto che la risposta della sinistra debba essere questo tipo di atteggiamento. Anche se noi non crediamo che le tattiche di chi pensa di poter riformare il partito funzioneranno, come potremmo starcene fuori a guardare sostenendo che  non vale nemmeno la pena di provarci? Noi non abbiamo una strategia migliore e quindi mi auguro il meglio per coloro che cercano di cambiarlo e li sostengo in campagne particolari. Così ad esempio Alexandria Ocasio Cortez ha avuto il supporto sia dei Democratic Socialists of America sia dei Justice Democrats e di Our Revolution. In pratica  i DSA  adottano verso il Partito Democratico la stessa strategia di Jacobin, che consiste nel prendere parte  alle primarie con l’idea comunque di riuscire a formare prima o poi un partito indipendente. I Justice Democrats e Our Revolution invece sono più focalizzati nel cercare di cambiare il Partito Democratico. Ciò nonostante, noi  siamo perfettamente in grado di lavorare insieme in certe campagne e, data la marginalità che la sinistra ha ancora negli Stati Uniti, ritengo sia necessario avere sia un tipo di approccio più ecumenico  sia uno più ampio.

 

20190601 David Broder e Baskar Sunkara

David Broder e Bhaskar Sunkara alla presentazione del primo numero di Jacobin Italia

Visto che hai citato la possibilità di formare un  partito indipendente, restiamo su questo argomento. La sempre maggiore popolarità di Bernie Sanders è stata confermata nelle elezioni di medio termine con la vittoria o il buon piazzamento di parecchi candidati “sandersiani”. Alla luce di questi elementi non potrebbe essere questo il momento giusto per formare un terzo partito?

La quantità di lotte sociali che sono necessarie per dare il via a un terzo partito negli Stati Uniti potrebbe avere un equivalente, diciamo, con quanto avvenne in Italia tra il 1917 e il 1919. Siamo quindi lontani dal livello di organizzazione sociale e di coscienza di classe necessario per formare un terzo partito. Negli Stati Uniti noi non abbiamo due partiti così come non abbiamo partiti veri e prorpi. Nessuno paga quote di iscrizione, non ci sono affiliazioni, non si può essere espulsi dai partiti. Per contrastarli quindi c’è in pratica la tendenza ad utilizzare  le linee  negative dei partiti maggiori. A volte si corre come indipendenti, a volte dall’interno dei partiti criticando quelle linee, ma la chiave è riuscire a creare una piattaforma unificata e coerente. In altre parole dovremmo avere dieci punti che riuniscano tutte le istanze sociali più importanti, indipendentemente dal fatto che si corra come indipendenti, verdi, democratici o persino repubblicani. Per tanto ritengo che la creazione di un’organizzazione libera dai partiti che formuli questi 10 principi, e che potrebbe anche avere candidati da presentare, sia il primo passo passo da fare prima di poter parlare di rottura, perché la classe lavoratrice americana non è stupida. Non sosterrà un partito se pensa che sarà soltanto un elemento di disturbo nei confronti degli altri due, o che non abbia possibilità di successo. Credo che Bernie 2016 sia stato un primo passo in quella direzione, ma ci sono miglia da percorrere. Credo anche che Bernie correrà nel 2020 e che questa volta  ci saranno  più possibilità per lui, e noi siamo pronti in questo senso, tuttavia il processo è lungo. In sostanza noi ricominciamo da zero. La nostra è una sinistra che è stata sconfitta per decenni e decenni. La sinistra italiana crede di essere stata sconfitta perché ha avuto 15 anni difficili. Noi abbiamo avuto un centinaio di anni difficili. Quindi in un certo senso ci stiamo risollevando solo ora.

 E’ da poco uscito il libro Where we go from here nei cui capitoli, che vanno dall'estate 2016 a quella 2018, Bernie Sanders racconta episodi politicamente salienti di quei due anni della sua vita, facendo anche riferimento a personaggi che l'hanno ispirato come F.D. Roosevelt o M. L.King. In un passaggio paragona la sua campagna del 2016 a quella di Jesse Jackson del 1988 che, in pieno periodo reaganiano, riscosse incredibili consensi e sostiene che a differenza di allora le condizioni per vincere oggi ci sono. Vuoi confrontare brevemente le due situazioni?

Per prima cosa credo che Bernie sia molto più a sinistra di Jesse Jackson.  E’ vero che tutti e due sono state figure in grado di attirare imprevedibili folle di elettori, ma in modo diverso perché i tempi sono cambiati.. La campagna di Jesse Jackson è stata speciale perché ha riunito intorno a sé  molti movimenti già esistenti. La cosa fondamentalmente diversa è che quando Bernie ha cominciato la sua campagna c’erano persino meno  movimenti di quanti ce ne fossero ai tempi di Jackson. In altre parole quello che Bernie ha fatto è stato suscitare l’interesse, cosa che ha portato alla formazione di molti movimenti. E’ lui che ha galvanizzato e galvanizza i movimenti, mentre una volta erano spesso i movimenti che ispiravano le campagne. In pratica oggi abbiamo visto come il breve periodo della campagna elettorale sia stato usato per ispirare e far sorgere nuovi movimenti. 

Veniamo alle presidenziali 2020. Tra i pezzi da 90 ci saranno quasi sicuramente Elizabeth Warren e Joe Biden. Si vocifera anche di una terza volta di Hillary Clinton.  Tra i più giovani, nell'area genericamente definita progressista, si profilano casi di palese ambiguità, come Cory Booker che prende i soldi dalle big pharma e che in Senato ha votato con i repubblicani contro la proposta di Sanders e di Ro Khanna di importare i medicinali dal Canada, che li paga molto meno degli Usa. Oppure come  Beto O’Rourke, che Bernie non si è mai nemmeno sognato di sostenere. Quanto ai big, cosa pensi di Warren? E' una vera progressista e può essere un ostacolo per Bernie, soprattuitto ricordando il voltafaccia che gli ha fatto nel 2016 mettendosi con Hillary, forse sperando nella vicepresidenza?

Per quanto riguarda il comportamento di Elizabeth Warren nel 2016 quello che dici è vero. Warren non ha sostenuto Bernie neanche nel suo stato, il Massacchussetts, e il fatto che Bernie abbia perso ha avuto effetti finanziariamente devastanti per quello stato. Credo che nel Massacchussetts Bernie abbia perso contro Hillary con uno scarto dell’uno o del due per cento e quindi con l’appoggio di Elizabeth Warren avrebbe sicuramente vinto. 
In realtà lei è vicina al centro. Ha una storia personale molto diversa da quella di Bernie. E’ una capitalista, si incontra con i grandi finanziatori, dice alla gente di essere una sostenitrice del mercato libero ma ritiene che debba essere etico. In altre parole la sua retorica è quella stessa retorica del capitalismo responsabile che in Europa si sente dai Verdi Tedeschi, non dai partiti verdi di sinistra. Una cosa importante da sapere è che è molto limitata a livello nazionale dal punto di vista della popolarità. Il suo grado di notorietà tra gli elettori americani è basso rispetto a quello di Bernie Sanders.  La notorietà di Bernie Sanders tra gli elettori americani è del 98%,  il 95% di loro sa che lui si autodefinisce un socialista e il suo indice di gradimento è tuttora del 60%. E questo è quello che conta per un elettore di sinistra, cioè sapere che Bernie è pronto a battersi, che si descrive come socialista e che è popolare. Tra l’altro Sanders è davanti ad Elizabeth Warren nei sondaggi anche nel Massacchussets. Considerando nel suo complesso lo scenario orientato a sinistra, sono altri i candidati che si sono distinti per un particolare approccio alla politica.  Oltre a Bernie Sanders c’è un gruppo di persone, di cui l’esempio più eclatante è  Alexandria Ocasio Cortez, le cui posizioni si differenziano parecchio all’interno del panorama generale. In pratica si potrebbe dire che tutti quanti, Warren compresa,  hanno una politica genericamente social democratica, in quanto chiedono riforme che potrebbero essere descritte come social democratiche. Ma per Bernie, per Alexandria e per quest’altro gruppo di persone la linea è questa: “Noi dobbiamo perseguire queste riforme attraverso la lotta”. Bernie dice alla sua gente: “Voi lavorate duramente e vi meritate di più. E la ragione per cui non avete abbastanza è perché i milionari e i miliardari ve lo impediscono.” Questa è retorica socialista, una retorica basata sulla differenza tra le classi sociali.  Non è retorica progressista ed è radicalmente differente da quello che offre Elizabeth Warren. Naturalmente  sceglierei Warren al posto di Trump all’istante. Per cui se lei vincerà le primarie sarei lieto di sostenerla nelle elezioni generali, ma per ora credo che ci sia una scelta migliore. Tra otto o dodici anni Alexandria Ocasio Cortez potrà essere una candidata presidenziale a livello nazionale. Ma per ora Bernie è l’unica opzione.

Un timore  è che anche nelle prossime primarie si possano verificare  le manipolazioni ai danni di Bernie come quelle orchestrate nel 2016 dal Comitato Nazionale Democratico allora guidato da Debbie Wasserman Schultz, grande amica di Hillary. Quanto pensi abbiano influito sulla sconfitta di Bernie i trucchi elettorali? [Ricordiamo ai lettori che Debbie Wasserman Schultz fu costretta a dimettersi proprio due giorni prima della convention finale di Filadelfia, in seguito al rilascio di emails di Wikileaks che attestavano le sue manovre ai danni di Bernie.]

Io non credo che le elezioni siano state truccate al punto da determinare la sconfitta di Bernie. L’establishment  ha sicuramente compiuto manipolazioni per fare vincere Clinton, tuttavia Hillary aveva comunque un maggior supporto popolare tra gli elettori democratici tradizionali rispetto a Bernie, perché la conoscevano, era famosa, mentre Bernie era uno sconosciuto. Col passare del tempo lui si è affermato sempre più e ha recuperato molto terreno, ma ormai il tempo stava per scadere. Quindi non credo che la sua sconfitta sia da imputare agli ostacoli istituzionali che si sono posti di fronte a Bernie.  Direi che se Bernie ha perso con uno scarto del 6%, il comportamento del Comitato Nazionale Democratico  può avere influito per l’uno o per il due per cento. E quindi io continuo a ritenere che lui abbia perso per il voto popolare. E credo anche che negli Stati Uniti i partiti  non siano abbastanza forti o coerenti per impedire a degli outsider di vincere. Se così fosse Donald Trump non sarebbe presidente perché l’establishment repubblicano Donald Trump non lo voleva. 

Non ti è parso però che il processo delle primarie sia stato più democratico nel partito repubblicano che nel partito democratico?

Sicuramente sì. I repubblicani inoltre non hanno il sistema dei superdelegati che in parte ha penalizzato Bernie. Tuttavia Bernie non ha perso solo per i superdelegati. Lui aveva anche meno delegati regolari. [Ricordiamo che a differenza dei delegati regolari, i quali alla Convention finale devono attenersi al voto popolare, i superdelegati potevano invece ribaltarlo, cosa che a Filadelfia 2016 è successa con parecchi stati in cui Bernie aveva ottenuto più voti di Hillary.]

 

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A proposito dei superdelegati il 25 agosto scorso dopo due anni di battaglie il Comitato Democratico ha  approvato una riforma che ne limita moltissimo i poteri. Bernie potrà trarne vantaggi  nelle prossime primarie? E chi pensi abbia più possibilità di battere Trump?

Penso che la riforma dei superdelegati un po’ sarà di aiuto a Bernie, anche se questa volta le cose saranno differenti dal 2016, perché non ci sarà una corsa così testa a testa come quella tra Hillary e Bernie. Tutto il processo sarà piuttosto complicato, perché sarà più o meno come per le primarie repubblicane del 2016 quando i candidati in corsa erano molti. Credo che nel partito democratico questa volta saranno 10 o 12 le persone che si batteranno per avere l’attenzione. Bernie avrà circa il 20%, e Joe Biden, se correrà, sarà il principale avversario di Bernie. Potrebbe arrivare al 22 o 23%, mentre tutti gli altri si batteranno per il 10%. E quindi poi ci sarà una grande lotta per chi riuscirà ad accaparrarsi i blocchi elettorali di quei candidati.  Per quanto riguarda Biden, credo che abbia un bel po’ di sporco che potrà emergere. Nel suo stato del Delaware ha una lunga storia di collusioni con le compagnie delle carte di credito. Ha più crepe personali nella sua vita. Bernie invece è come un monaco, vive lassù nel  Vermont. Io sono stato con Bernie e con la sua gente venerdì scorso. Se ne va in giro a piedi per Burlington,  con una scorta ridotta al minimo, senza curarsi dell'abbigliamento, saluta la gente personalmente. Insomma lui non solo ha  un modo molto diverso di approcciarsi alla gente, ma proprio di vivere. Voglio dire che non salteranno fuori scandali su Bernie, perché la sua vita è come quella di Geremy Corbyn. Loro due conducono vite monastiche. Invece Biden avrà un bel po’ di sporco che verrà a galla. Tuttavia nonostante questo penso che la minaccia più grossa per Bernie sarà Joe Biden. In ogni caso, anche  se è ancora troppo presto per dirlo, penso che qualsiasi candidato democratico, anche uno di quelli che a me non piacciono, sarà probabilmente in grado di battere Trump nel 2020. Le elezioni di novembre hanno indicato che Trump è davvero debole in molte componenti chiave della popolazione e sta perdendo forza soprattutto nel Midwest dove aveva vinto nel 2016. 

Considerando le campagne anti-Bernie che i media mainstream hanno già cominciato  in maniera sottilmente subdola e costante, Bernie anche questa volta avrà un nemico potente che sosterrà Biden. Chi tra i due ritieni abbia più probabilità di vincere le primarie?

E’ davvero difficile, anzi impossibile, prevedere adesso chi abbia più probabilità. Comunque direi che se dovessi scommettere la mia vita tra i due, la scommetterei su Joe Biden, ma soltanto perché ha il sostegno della maggior parte dell’establishment ed  è molto conosciuto. Inoltre può farsi portavoce dell’eredità di Obama di cui è stato vicepresidente e potrà quindi attirare molti di quegli elettori neri che considerano positivi gli anni di Obama. E  poi in ultima analisi Biden potrebbe avere più chance perché la gente potrebbe non volere un altro outsider dopo questo pazzo outsider di destra. Quindi potrebbe essere più difficile convincere la gente a scegliere un indipendente di sinistra rispetto alla voglia di ritornare alla normalità del centro. Biden rappresenta esattamente la normalità del centro e potrebbe essere visto come il nostro Macron.

Prima delle elezioni di mid-term ad un raduno di Alexandria Ocasio Cortez a New York ho chiesto ad un organizzatore della sua campagna,  Bilal Tahir di Justice Democrats, come pensano di recuperare quel generico elettorato democratico di cui tu parli, che a New York ha preferito  Andrew Cuomo, nonostante la sua corruzione, Cynthia Nixon. La sua risposta è stata che al momento la priorità non è quel tipo di elettorato ma quello costituito da minoranze etniche, giovani e astensionisti delle fasce più trascurate della popolazione.

Ha ragione ed è importante soprattutto nella prospettiva del lungo periodo, perché coinvolgere attivamente quelle fasce della popolazione è esattamente quello che dobbiamo fare per per battere il trumpismo e più generalmente il populismo di destra.  Tuttavia in questo caso specifico, considerando cioè esclusivamente l’uomo Trump, credo che  nel 2020 potremmo batterlo anche con quelle più generiche cattive linee del Partito Democratico delle quali io sono oppositore. Credo che qualsiasi democratico, di sinistra, centro o destra, potrà sconfiggere Trump. Ma ovviamente spero che sia di sinistra per le prospettive future e per il bene del nostro paese e del pianeta. 

Vorrei tornare alla corruzione dilagante tra i dem. Come è possibile credere nel Partito Democratico quando molti suoi politici, come ad esempio Wasseman Schultz che collude con le corporation delle grandi industrie agricole e delle prigioni private, restano stabilmente al potere e che cosa si può fare almeno per ostacolarle? 

E’ difficile dare una risposta. Io penso che la maggior parte delle persone voti per il Partito Democratico perché è il meno peggio senza stare  a pensare troppo a quel che c’è dietro. E la cosa tutto sommato è del tutto razionale.  E’ compito nostro dare loro delle opzioni migliori tra cui scegliere. Però credo anche che la maggior parte delle persone degli Stati Uniti neppure sa chi sia Debbie Wasserman Schultz. La realtà è che ci sono moltissime persone  che vengono pagate all’interno dell’apparato del partito e degli uffici congressuali per mantenere certe situazioni e che hanno quindi espliciti interessi personali in quel tipo di politica. E siamo noi che dobbiamo creare delle strutture alternative che facciano da controllori, da cani da guardia. Ecco perché quei politici hanno così tanta paura di Bernie, perché adesso noi abbiamo conquistato molta popolarità e di fatto raccogliamo più soldi di loro, potendo reclutare una gran quantità di piccoli donatori. Per tanto nel prossimo futuro prevedo una dura battaglia,  che credo darà gli stessi problemi che stiamo vedendo nel Regno Unito tra i laburisti e i blairities, sebbene  in modo differente dal Partito Laburista  perché il Partito Democratico americano è talmente frantumato  che non ci sono neppure le elezioni per la leadership del partito come avviene nel Regno Unito. Per noi è  più difficile trasformare i partiti, tuttavia credo che ci saranno delle sorprese nel 2020 come ci sono state nel 2016, perché l’establishment democratico non impara mai dai suoi errori. 

Per concludere, dato che tra pochi minuti  sarai sul palco per la presentazione del primo numero di Jacobin Italia, una domanda personale. Pensi di correre prima o poi? 

No no no. Ho troppo rispetto per la mia privacy. La cosa che mi piace dell’essere giornalista è che la gente un po’ ti conosce. Puoi andare in giro ed incontrare occasionalmente delle persone che ti riconoscono e che ti dicono che apprezzano il tuo lavoro, ma in linea di massima puoi vivere in modo del tutto anonimo. Il fatto che una o due volte alla settimana ci sia qualcuno che ti manifesta il suo apprezzamento  è un perfetto equilibrio tra l’essere conosciuto e sconosciuto allo stesso tempo ed io voglio mantenere esattamente quell’equilibrio. 

Gli autori di Vorrei
Elisabetta Raimondi
Elisabetta Raimondi
Disegnatrice, decoratrice di mobili e tessuti, pittrice, newdada-collagista, scrittrice e drammaturga, attrice e regista teatrale, ufficio stampa e fotografa di scena nei primi anni del Teatro Binario 7 e, da un anno, redattrice di Vorrei.
Ma soprattutto insegnante. Da quasi quarant’anni docente di inglese nella scuola pubblica. Ho fondato insieme ad ex-alunni di diverse età l’Associazione Culturale Senzaspazio.

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