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La digitalizzazione non è un obiettivo, è una rivoluzione tecnologica: va considerata nell’ambito delle politiche culturali, educative e sociali, che sono lo strumento più importante per il conseguimento dei due obiettivi fondamentali dell’umanità: la tutela dell'ambiente e la lotta alla povertà.

 

Mi sembra ormai ampiamente dimostrato, e abbastanza condiviso, che i due problemi fondamentali dell’attuale fase della convivenza umana siano la compatibilità ambientale e il mettere tutti gli uomini in condizioni di benessere sufficienti a garantirne lo stato di libertà. Il che significa lotta alla povertà e alle disuguaglianze eccessive e ingiustificate.

Questi due problemi si manifestano a tutti i livelli: dal livello planetario a quello delle città. E quindi nessuno è escluso dalla responsabilità di affrontarli.

La pandemia che stiamo vivendo non li cancella, anzi per molti versi li aggrava. Pertanto, qualsiasi programma dovrà essere valutato in relazione ad essi e agli strumenti per combatterli.

Ma se si guarda ai diversi piani elaborati in diverse sedi istituzionali, si osserva che essi si accompagnano e per certi versi si diluiscono in un’ampia lista di altri problemi: l’istruzione, il lavoro, i sistemi fiscali, la giustizia, la sanità, la burocrazia, la rivoluzione digitale… Problemi tutti rilevanti, ma spesso proposti come elenchi variabili secondo contingenti esigenze di consenso politico, o realizzati secondo interessi particolari, e non come elementi di un pensiero sistemico.

Due riferimenti fondamentali sono l’Agenda 2030 dell’ONU e il Next Generation EU europeo. Da questi piani dipendono infatti in massima parte i piani nazionali, tra cui il nostro che costituirà la sostanza dell’impegno del nuovo governo Draghi.

 

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AGENDA 2030

L’Agenda 2030  è stata sottoscritta da 193 Paesi dell’ONU nel 2015.

Primo obiettivo dell’Agenda è «sradicare la povertà in tutte le sue forme e dimensioni» entro il 2030, in base al principio: “Nessuno va lasciato indietro".

La visione a cui tende l’Agenda è quella di «un mondo libero dalla paura e dalla violenza. Un mondo universalmente alfabetizzato. Un mondo con accesso equo e universale a un’educazione di qualità a tutti i livelli, a un’assistenza sanitaria e alla protezione sociale, dove il benessere fisico, mentale e sociale venga assicurato».

La pace è un elemento fondamentale del disegno: «Siamo determinati a promuovere società pacifiche, giuste ed inclusive che siano libere dalla paura e dalla violenza. Non ci può essere sviluppo sostenibile senza pace, né la pace senza sviluppo sostenibile».

Per realizzare questa visione, l’Agenda propone 17 “obiettivi” articolati in 169 “traguardi” molto dettagliati da raggiungere entro il 2030, che «mirano a realizzare pienamente i diritti umani di tutti e a raggiungere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione di tutte le donne e le ragazze. Essi sono interconnessi e indivisibili e bilanciano le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: la dimensione economica, sociale ed ambientale».

Sicuramente la visione proposta dall’Agenda ha le caratteristiche di un’utopia, di un mondo perfetto e in quanto tale irrealizzabile. Essa tuttavia spinge ad avvicinarvisi, e richiama alla mente la concezione delle utopie proposta da Rutger Bregman del suo “Utopie per realisti”: «Le utopie sono una prefigurazione di cose che in tempi successivi diventano normali».

L’Agenda prevede anche controlli minuziosi degli stati d’avanzamento nell’attuazione di obiettivi e traguardi. Ma proprio per la loro pervasività e i loro complessi aspetti qualitativi oltre che quantitativi sarà difficile misurarli, e tanto meno imporli. Comunque, ogni sforzo in atto per farlo costituirà una spinta ad avvicinarvisi. Non essendo previste penali, obiettivi e traguardi sono affidati al senso di responsabilità, lealtà e capacità dei paesi sottoscrittori.

Nel nostro Paese esiste una organizzazione che riunisce decine di entità non governative e volontaristiche, denominata ASviS (Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile), che redige un Rapporto annuale sul grado di conseguimento da parte dell’Italia degli obiettivi dell’Agenda 2030.

In realtà il Rapporto non misura quanto l’Italia si sia avvicinata o allontanata rispetto agli obiettivi e traguardi dell’Agenda 2030. Essa tende a misurare, sulla base di indici compositi, quanto l’Italia sia avanzata o regredita nei campi corrispondenti agli obiettivi, indipendentemente dalla distanza dai traguardi da raggiungere.

L’Executive Summary del Rapporto 2020 dell’ASviS è stato scritto da Enrico Giovannini, portavoce dell’AsVis, recentemente nominato Ministro per le Infrastrutture e la Mobilità sostenibili del governo Draghi.

Il Rapporto presenta un quadro piuttosto negativo dell’evoluzione del nostro Paese negli ultimi anni. Vediamo la situazione rispetto ad alcuni dei 17 obiettivi:

Obiettivo 1. «Porre fine a ogni forma di povertà nel mondo». Da alcuni anni l’indice segnava per l’Italia un miglioramento. Tuttavia nel 2019 il numero d’individui poveri era ancora al livello di 4,6 milioni, il 7,7% della popolazione. E i dati per il 2020, appena pubblicati dall’ISTAT, segnano un drammatico aumento per gli effetti della pandemia sull’occupazione: 5,6 milioni di poveri, un milione in più rispetto al 2019, quasi una persona su dieci!

Obiettivo 4. «Assicurare un’istruzione di qualità, equa ed inclusiva, promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti». Andamento altalenante in Italia, ma  grave ritardo  rispetto alla media europea. Nel 2020 la pandemia ha colpito particolarmente l’istruzione, con la ripetuta chiusura delle scuole. Forse il problema più grave e strategico per il nostro Paese.

Obiettivo 14. «Adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico». Lieve miglioramento progressivo negli ultimi anni, con il raggiungimento nel 2019 dei limiti europei per le emissioni di PM 10. La pandemia ha fatto registrare nel 2020 un ulteriore miglioramento dell’indice come saldo tra la diminuzione degli spostamenti, l’aumento dell’uso di mezzi ecologici ma anche il maggiore impiego di auto rispetto ai mezzi pubblici.

Obiettivi 10 e 5. «Ridurre le disuguaglianze» e «Parità di genere». Negli ultimi anni si è registrato un peggioramento dei livelli retributivi, dell’occupazione giovanile e dei permessi di soggiorno degli immigrati. Nel 2020 il peggioramento si è accentuato, con un aumento delle disuguaglianze causato dagli effetti asimmetrici della pandemia sui diversi settori produttivi, gruppi sociali e territori, che ha colpito particolarmente turismo, ospitalità, ristorazione, centri sportivi, cinema, teatri ed attività artistiche, servizi personali, lavoro autonomo e a tempo determinato. Per quanto riguarda la parità di genere, dopo un progressivo miglioramento registrato fino al 2019, nel 2020 la pandemia ha colpito duramente soprattutto l’occupazione femminile.

Obiettivo 11. «Città e comunità sostenibili». L’inidice ASviS ha registrato una stabilità, che non sembra però render conto sufficientemente della gravità dello stato delle città, determinante per far fronte ai due problemi fondamentali delle disuguaglianze e del degrado ambientale. Inquinamento dell’aria, sottrazione di suolo libero, riduzione della bellezza e della vivibilità sono gli effetti di una crescita speculativa che non si riesce a contrastare.

Da tutto ciò emerge che molta strada il nostro Paese ha da compiere per ridurre i propri squilibri sociali e ambientali.

 

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Consiglio d'Europa -  Strasbourg -  Foto di Pino Timpani

 

Next Generation EU

L’occasione per farlo è offerta dai profondi cambiamenti che la pandemia ha impresso al modo d’essere e di agire dell’Unione europea, che ha realizzato una mutazione verso una maggiore solidarietà tra i paesi che ne fanno parte.

L’Unione aveva definito un Bilancio Pluriennale 2021-2027 (detto anche QFP, Quadro Finanziario Pluriennale) di 1074 miliardi di euro per i suoi progetti di lungo termine. Ma l’esplosione della pandemia l’ha indotta ad intervenire prima di tutto con risorse ad erogazione immediata a favore dei lavoratori e delle imprese dei settori più colpiti, erogando subito ai paesi membri 540 miliardi con diversi strumenti di sostegno (Pandemic Crisis Support, SURE, garanzia della BEI).

Ma contemporaneamente l ‘Unione ha adottato un piano di interventi straordinari, finanziati per la prima volta con il ricorso diretto dell’UE ai mercati finanziari. Un atto che ha rafforzato la sovranità dell’istituzione.

Il programma è significativamente denominato Next Generation EU, anche se in Italia, altrettanto significativamente, viene usata la più banale definizione “Recovery Plan”. Come si legge nel sito della Commissione Europea il «Next Generation EU è uno strumento temporaneo per la ripresa da 750 miliardi di euro, che contribuirà a riparare i danni economici e sociali immediati causati dalla pandemia di coronavirus per creare un'Europa post COVID-19 più verde, digitale, resiliente e adeguata alle sfide presenti e future». E nel sito del Consiglio d’Europa ( consilium.europa.eu/it/policies/eu-recovery-plan/) si afferma che il piano «aiuterà gli Stati membri ad affrontare l'impatto economico e sociale della pandemia di COVID-19, garantendo nel contempo che le loro economie intraprendano le transizioni verde e digitale e diventino più sostenibili e resilienti».

Transizione verde” e “transizione digitale”. Non vi è dubbio che il mondo d’oggi sia caratterizzato da queste due rivoluzioni globali. Ma mentre la compatibilità ambientale costituisce, insieme alla riduzione delle disuguaglianze e della povertà, uno dei due grandi obiettivi da raggiungere, la transizione digitale non è un obiettivo, bensì un processo e uno strumento da imbrigliare per le sue potenzialità negative in termini di equità, trasparenza, controllo della società e delle persone, e da orientare verso l’obiettivo della maggiore eguaglianza e sviluppo umano. La digitalizzazione va considerata nell’ambito delle politiche culturali, educative e sociali, che sono lo strumento più importante per il conseguimento dei due obiettivi fondamentali dell’umanità.

Da quanto sopra si deduce che il NextGEU è chiaramente orientato verso la compatibilità ambientale, a cui riserva la quota maggiore di risorse, integrandosi per di più con un’altro piano, il "Green New Deal” , a cui sono destinati altri 100 miliardi. Ma meno esplicitamente verso la riduzione delle disuguaglianze e della povertà, che pure è il problema che ha continuato ad aggravarsi negli ultimi 40 anni. E' ben vero comunque che la distribuzione dei fondi è stata misurata in termini di equità tra i diversi paesi, e che la flessibilità del NextGEU offre strumenti adeguati per perseguire questo obiettivo, che dipende peraltro dalle politiche dei singoli paesi europei.

Il NextGEU pone il vincolo di destinare il 37% del fondo alla transizione ambientale, e il 20% a quella digitale. Ma in realtà la varietà e flessibilità degli strumenti offerti dall’UE consente ai singoli paesi di definire il proprio piano nel modo più rispondente possibile alla riduzione di povertà e disuguaglianze.

 

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PNRR

E veniamo così a parlare del PNRR, Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza, che dovrà definire gli interventi che daranno corpo nel nostro Paese al NextGEU, con l’impiego della quota di risorse straordinarie stanziate dall’UE, che per l’Italia assommano a oltre 200 miliardi.

Tre sono gli impegni decisivi, prioritari e urgenti per il nuovo Presidente del Consiglio, Mario Draghi, di cui è perfettamente consapevole: i “ristori” alle persone economicamente più colpite dalla pandemia; l’”immunità di gregge” di tutto il Paese, da conseguire con la vaccinazione di massa, da cui dipende il rilancio economico del Paese; e l’elaborazione di un PNRR che sia nello stesso tempo realistico e portatore di cambiamenti radicali.

Quest’ultimo è in corso di elaborazione. Personalmente lo valuterò in base alle considerazioni che seguono.

Credo che dal punto di vista della transizione ecologica il piano risponderà ai dettami del NextGEU, a cui è esplicitamente vincolato.

Dovrà però essere altrettanto esplicitamente orientato verso l’equità come matrice dello sviluppo. Dovrà contenere interventi sistemici per la riduzione delle disuguaglianze: economiche, di genere, territoriali, culturali/educative, generazionali. Traendo da questi interventi il rilancio economico e dell’occupazione.

La cultura in senso lato (umanistica e scientifica; dalla ricerca all’educazione, all’istruzione, alla formazione professionale e permanente, alla pervasiva componente digitale) dovrebbe essere la leva principale dello sviluppo, con progetti specifici. Ad esempio, sarebbe bello se dall’autunno 2022 si aprissero migliaia di nuovi asili, secondo un programma che consenta di passare entro il 2027 dal 25% attuale al 60% dei bambini sotto i due anni accolti, come proposto da Carlo Cottarelli e raccomandato dall’EU: sarebbe una premessa per avere nuove generazioni più creative e un impulso immediato all’occupazione femminile, sia sul lato delle famiglie che da quello delle professionalità richieste.

Altrettanto fondamentale è una riforma fiscale progressiva che chieda un maggior contributo da parte del 20% più benestante della popolazione alle risorse necessarie per garantire a tutti un benessere di base e la capacità di contribuire a quello di tutto il Paese.

Ma c’è un aspetto non considerato, giustamente, dall’Agenda 2030, perché non è un problema globale ma che è decisivo per il futuro dell’Italia: il decremento demografico. Una società non sopravvive a lungo con un tasso di natalità dell’1,24%, non compensato neanche dall’immigrazione. Occorrono misure che dicano alle famiglie che la nascita o l’adozione di un bambino non è un onere, ma un aumento di benessere oltre che un valore in sé. Occorrono politiche che colleghino la cooperazione internazionale con l’integrazione degli immigrati. Occorre una legge per lo jus soli o almeno per lo jus culturae.

L’ampiezza di vedute di Mario Draghi e la presenza di un ministro come Enrico Giovannini fanno bene sperare.

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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