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Dossier: Braccia ridate all'agricoltura. Intervista a Vittorio Pozzati, consigliere provinciale del PD, sulla situazione del territorio brianzolo e dell'agricoltura “È un po' come una droga questa del consumo del suolo, nel senso che non si finisce mai”

 

V

ittorio Pozzati, ex sindaco di Mezzago e ora consigliere provinciale del Partito Democratico, ha fatto dell'agricoltura uno dei temi principali del suo impegno politico. Abbiamo quindi deciso di intervistarlo per capire come la Provincia di Monza e Brianza intenda (o non intenda) agire in ambito agricolo. Ecco cosa ci ha detto, un quadro non proprio positivo, con più di un motivo per dubitare in un futuro anche solo minimamente verde per la Brianza.

Mi sembra giusto iniziare l'intervista ricordando il suo impegno come sindaco di Mezzago, che fu molto legato all'agricoltura e allo sviluppo del territorio dal punto di vista agricolo. Cosa la spinse a puntare su quello?
I temi erano essenzialmente due: il primo tema era quello legato alla tradizione e al suo recupero. Quando ho iniziato a fare il sindaco c'era una tradizione che si andava estinguendo, quella della coltivazione degli asparagi. Ho sentito la necessità di recuperare questa tradizione e di fare investimenti col Comune assieme a contadini e alla poca gente che ancora lavorava la terra. Il secondo tema, che in realtà è un po' posteriore rispetto al primo, è quello legato alla ricerca di un'agricoltura competitiva, per quel poco di agricoltura ancora presente in questi territori. Per fare questo abbiamo colto il tema dell'agricoltura pregiata, per cercare di fare qualcosa per questo settore che è e sarà sempre più in fase di estinzione. Questo è dovuto sia al cambiamento degli impegni e dei finanziamenti da parte dell'Europa, sia al fatto che coltivazioni come quella del granturco o della soia non reggono più, anche perché oggi in Europa ci sono nazioni che sono tra le maggiori fornitrici mondiali di questi prodotti. Per cui o qui riusciamo a fare un'agricoltura competitiva e pregiata o siamo destinati ad annegare definitivamente nei capannoni.

sagra asparagi

 

o qui riusciamo a fare un'agricoltura competitiva e pregiata o siamo destinati ad annegare definitivamente nei capannoni

Esistono altri modi possibili per salvare il territorio oltre agli ambiti strategici?
Questa è l'unica possibilità che ci dà la Regione, insieme agli ambiti di interesse provinciale, che però hanno vincoli più deboli. Il problema è che non si può più parlare realmente di agricoltura, il nostro è un territorio destinato ormai da decenni a essere urbanizzato. La parte ovest e la parte centrale hanno già subito totalmente questo processo, le uniche due zone che hanno ancora un certo interesse dal punto di vista territoriale, del verde e dell'agricolo, sono la zona besanese e il vimercatese. Qui ormai abbiamo un tipo di agricoltura che non si può nemmeno più definire periurbana, è un'agricoltura di tipo resistenziale, che viene usata assieme ai parchi e ad altri vincoli per cercare di mantenere nelle comunità un equilibrio tra costruito e non. Da qui a parlare di agricoltura e di grossi progetti ad essa legati, ce ne vuole. Sono rimasti pochi tentativi in questo ambito, c'è qualche agriturismo, c'era tutto il tema del floro-vivaistico che sta andando anch'esso verso il fallimento, e il tema dell'agricoltura pregiata, con qualche comune che fa dei tentativi, come qui a Mezzago o a Vimercate con la patata di Oreno, però sono tutte cose che mi verrebbe da definire come amatoriali.

Ci sono progetti per diffondere le buone pratiche, come appunto il consumo di questa agricoltura pregiata, dei prodotti a km zero, eccetera?
Di buone pratiche ne siamo già saturi. Secondo me ora non è più utile cercare di inventarsi progetti, perché è già stato tutto fatto, dappertutto, in tutta Europa, si tratta solo di farlo. Si tratta solo di un problema di volontà politica. Sul discorso della diffusione sappiamo già tutto, ci sono buone pratiche che funzionano, come i GAS, che una volta fondate reagiscono e creano un pubblico. Però c'è molta poca sensibilità da parte della politica. Rischiamo di essere dei fenomeni da baraccone nel contesto provinciale: abbiamo per esempio tentato il tema della bio-architettura, c'è stato un minimo di interesse, un minimo di sviluppo, però non si può dire che queste diventano buone pratiche acquisite da tutte le amministrazioni.

E preservare realtà come quelle di Spiga e Madia?
Spiga e madia ha resistito finché non è arrivato qualcuno o qualcosa e li ha buttati fuori di casa e li ha fatti emigrare. Come al solito, il problema è la competitività dell'ambito agricolo-alimentare con l'ambito industriale e infrastrutturale: non c'è praticamente mai storia. Se trovi dei comuni sensibili, c'è una buona mediazione da parte dell'amministrazione, se invece l'amministrazione è obbligata, vedi il caso della Tangenziale Est o della Pedemontana, parti sconfitto. Sono battaglie che vanno fatte, ma le sconfitte si sono accumulate. Dipende tutto dalla volontà dei comuni e dalla loro capacità di essere forti su questi argomenti. A me piacerebbe molto che ciascun comune, magari guidato dalla provincia, si fermasse un attimo e si chiedesse quanto ancora può consumare il suolo in questo territorio, la provincia più consumata d'Italia e quindi forse anche d'Europa. Fermiamoci un attimo e facciamo un ragionamento serio su quello che può essere un equilibrio tra costruito e non costruito. È una cosa che però non si fa, perché ognuno vede solo il suo pezzettino. È un po' come una droga questa del consumo del suolo, nel senso che non si finisce mai: cambiano i sindaci, e ogni nuovo sindaco deve fare qualcosa, ad esempio la palestra, e quindi consuma, pensando di essere l'ultimo, mentre tra 5 dovrà essercene un altro che proseguirà nello stesso modo, nonostante il fatto che ci siano centinaia di fabbriche vuote e tantissime aree dismesse.

È un po' come una droga questa del consumo del suolo, nel senso che non si finisce mai

Parlando di ruolo dei Comuni, c'è differenza nell'approccio al tema agricolo tra quelli governati dal centrosinistra e quelli retti dal centrodestra?
Trovo un'assoluta somiglianza tra tutte le amministrazioni. Le amministrazioni di qualsiasi colore vedono il territorio come un potenziale oggetto che permette lo sviluppo e al tempo stesso permette di rimpinguare le casse semivuote se non vuote dei Comuni. È quindi chiaro che ogni amministrazione vede il territorio come moneta di scambio; di fronte a questa impostazione mentale, comune ormai a quasi tutti, non si può dire che ci sia differenza.

E a livello scolastico ci sono progetti per far crescere le nuove generazioni in modo diverso, con la consapevolezza dell'importanza del suolo? Per esempio su Vorrei abbiamo parlato di Aule Verdi...
Questo è un tema interessante, su cui purtroppo siamo piuttosto indietro. Qui a Mezzago è un problema che ci siamo posti, andando anche a vedere delle realtà interessanti, sia in Italia che in Germania. Pian piano stiamo cercando di introdurre questi temi formativi che sono fondamentali per formare la mentalità. Per fare queste cose c'è sempre però un problema organizzativo, legato alla disponibilità o meno degli insegnanti...

Pensando invece a un livello scolastico superiore, la Scuola agraria di Monza e quella di Limbiate che tipo di sostegno ricevono? E c'è una spinta a creare legami con il mondo del lavoro?
Non so, perché è un ambito abbastanza complicato, tra pubblico, cooperative e privato, con una prevalenza di quest'ultimo qui in Lombardia. Quindi può esserci una spinta, ma non so fino a che punto un'istituzione incentiva o individua dei percorsi di questo tipo. Percorsi strutturati non ce ne sono.

 

RioVallone

 

Pino Timpani per Vorrei ha intervistato Christian Novak del Politecnico di Milano; una delle domande era quella sulla possibile interazione tra distretti agricoli e distretti culturali. È una cosa fattibile?
Anche in questo caso è un problema di volontà. Purtroppo le volontà politiche su questi temi ultimamente si sono afflosciate, anche a causa della crisi. Questi argomenti vengono affrontati quando si può, quando c'è più disponibilità. Sarebbe già sufficiente ed utile riuscire ad accorpare tutti i parchi PLIS e su di essi costruire un territorio omogeneo, dal Rio Vallone alla Molgora, fare un parco unico, magari regionale, dove avere una testa unica gestionale ed organizzativa su un'area vasta come quella del vimercatese e fare ragionamenti più seri e strutturati. Siamo agli albori di questo progetto però. Alla fine è sempre un problema di soldi, però sono cose che si possono fare. L'unificazione dei tre PLIS potrebbe essere il primo passo per poi poter parlare di distretto culturale: bisogna farlo, ma lo devono fare i sindaci, sedersi attorno a un tavolo e decidere di chiedere alla Regione di trasformare la zona in parco regionale, mettendo anche fondi a disposizione dei comuni.

Gli autori di Vorrei
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi

Nasce nel 1984. Studi liceali e poi al Politecnico. La grande passione per la musica di quasi ogni genere (solo roba buona, sia chiaro) lo porta sotto centinaia di palchi e ad aprire un blog. Non contento, inizia a collaborare con un paio di siti (Indie-Eye e Black Milk Mag) fino ad arrivare a Vorrei. Del domani non v'è certezza.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.