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Una emozionante settimana di full immersion nell'eterogeneo movimento cui il senatore del Vermont Bernie "Birdie" Sanders ha dato vita senza velleità di  protagonismo paternalistico e populista ma con e per la gente.

 An English version follows the Italian one

 

Se prima della deadline di alcuni mesi fa, Vorrei avesse chiesto un accredito per la National Convention del Partito Democratico americano che si è tenuto da lunedì 25 a giovedì 28 luglio a Filadelfia  forse l'avrebbe ottenuto.
In quel caso alla improvvisata video-foto-reporter monzese, in solitario pellegrinaggio nella patria della Rivoluzione Americana  con la speranza di poter assistere alla nascita di una nuova rivoluzione, si sarebbe presentato un bel dilemma. 
Entrare nell’arena ufficiale (il Wells Fargo Center nella zona degli stadi corrispondente al capolinea della metropolitana) di delegati, superdelegati, addetti stampa, inviati e invitati speciali e vivere senza filtri mediatici un evento esclusivo che a poche ore dall'inaugurazione  si illudeva,  ingenuamente ma in buona compagnia, potesse riservare colpi di scena, oppure restare fuori e immergersi nell’atmosfera rivoluzionaria del popolo dei  feel the bern, per respirarne quanta più possibile in qualsiasi contesto.

 

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I cancelli blindati al capolinea della metropolitana nella zona del Wells Fargo Center in un'ora di calma.

 

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Presidi in corrispondenza dei cancelli che separano la zona del  Wells Fargo Center dal Franklin Delano Roosevelt Park, dove i "protesters" hanno potuto allestire tende per la notte e dove si sono svolte molte manifestazioni.

 

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Altri presidi notturni.

La seconda ipotesi avrebbe comunque prevalso, poiché fin dal fine settimana precedenti l'inizio dellla conventioni i presupposti di quello che si preannunciava accadere in quei  giorni al di fuori della blindatissima sede ufficiale promettevano eventi che difficilmente le reti mainstream avrebbero coperto.

 

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 Lunedì 25 luglio nelle ore di attesa prima della  marcia dal City Hall al Wells Fargo Center lungo la Broad Street che attraversa Filadelfia da nord a sud.


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Cordoni di poliziotti in bici prima della partenza

 

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L'inizio della marcia

 

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Lungo la Broad Street a poca distanza dal City Hall

 

Considerando le cose a posteriori, soprattutto dopo avere raccolto le testimonianze di diversi delegati di Sanders nelle serate di mercoledì e giovedì e con più calma venerdì a convention conclusa, la possibilità di essere almeno occasionalmente all'interno dello stadio, con lo sguardo rivolto non tanto agli interventi di glorificazione di Hillary quanto alla platea dei delegati, avrebbe forse permesso di captare cose che in un partito "democratico" si presume non dovrebbero accadere.  

Ad esempio le proteste, ignorate dalle riprese ufficiali, messe in atto dai delegati di Bernie nell’inutile tentativo  di far valere il diritto di parola, negato loro per tutta la durata della convention. 
Oppure la sostituzione dei gruppi di delegati progressisti che per protesta uscivano dall'aula con altrettante persone reclutate e tenute in standby per andare immediatamente a tappare i buchi, affinché nello stadio non si vedessero settori improvvisamente svuotati. 
E soprattutto le loro numerose contestazioni al di fuori dell'arena ma all'interno della struttura per i molteplici soprusi subiti ma  testimoniati solo da reti indipendenti e online. 

Insomma l'avere avuto un pass avrebbe forse permesso non solo di assistere al gala pro Hillary in stile hollywoodiano andato in diretta televisiva, ma di percepire quel clima di scontento, rabbia ed umiliazione dei sandersiani interni che, nonostante diventasse sempre più caldo col passare dei giorni, in tv non si è visto.
In qualche modo miracoloso  le reazioni pro-bernie e relative proteste sono scomparse dagli schermi dopo che nella prima giornata della convention neppure le reti più propagandistiche, CNN in testa, hanno potuto nascondere i cori di boo seguiti da feel the bern quando veniva pronunciato il  nome di Hillary Clinton.  
Così come non hanno potuto nascondere  quei quasi due minuti e mezzo di ovazione che nella stessa serata hanno costretto Bernie-Birdie  a interrompere più volte l'inizio del suo discorso e a far tacere la platea, mostrando al mondo intero da che parte stesse la maggioranza e avvalorando  le tesi sul  sabotaggio operato ai suoi danni da un partito che non poteva sopportare l’idea di una sua possibile vittoria. 

"Il partito democratico ha più paura di Bernie di quanta ne abbia di Trump" recitava uno degli innumerevoli cartelli in mostra durante le marce e i sit in.  Slogan di parte? Anche. Ma non solo.
Se la tesi del complotto da tempo e da più parti sostenuta poteva suscitare ancora perplessità, le migliaia di email che Wikileaks ha rilasciato nei giorni di vigilia della convention hanno eliminato i dubbi sulla effettiva compromissione delle alte sfere del partito. 

 

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La marcia  avanza
 

 

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Il primo blocco dei manifestanti in prossimità della terzultima femata della metropolitana nella marcia del 25 luglio. Ai vari semafori i blocchi dei manifestanti si fermavano per consentire il traffico orizzontale lungo l'arteria verticale di Broad Street. Sullo sfondo la torre del municipio con la statua del fondatore della Pennsylvania, il quacchero William Penn.

 

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In prossimità della zona degli stadi i poliziotti in bici, schierati ovunque lungo il percorso, si riparano dal caldo e dal sole come possono nell'attesa della folla. 

 

Oltre a suscitare una rinvigorita indignazione nel popolo di Bernie, che già nella domenica aveva organizzato una marcia dal centro città al Wells Fargo Center,  la notizia delle email sulle manovre pro-Hillary ha anche portato l’entusiasmante speranza, visibile in particolare nel raduno e nella marcia di lunedì, che la vittoria di Bernie potesse verificarsi a dispetto del temuto voltafaccia dei superdelegati. A differenza dei delegati normali, o pledged delegates, che alla convention  nazionale sono costretti a votare per il candidato vincitore dei distretti che rappresentano, i “supedelegates” hanno la possibilità di cambiare il loro voto finale. E la speranza che i suerdelegati degli stati il cui voto popolare era andato a Sanders non ribaltassero il voto era concreta e visibile. 

Era stampata sui volti sorridenti dei manifestanti. 
Si sentiva nei toni festosi con cui gli slogan venivano declamati. 
Risuonava nei cori che cantavano  This land is your land di Woody Guthrie,   If I had a hammer di Pete Seeger, Blowing in the wind e The times they are a-changin' di Bob Dylan,  Give peace a chance di John Lennon  durante le marce o davanti ai cancelli chiusi dello stadio e dell’ultima fermata della metropolitana, o durante le jam session improvvisate sotto un largo ponte che nel corso di una pioggia torrenziale ha dato riparo a  diverse decine di pacifici manifestanti inzuppati e gocciolanti. Un ponte, il  Walt Whitman Bridge, che neanche a farlo apposta porta il nome  di quel poeta e scrittore americano celebrato come il cantore della democrazia e padre ispiratore degli autori di quelle  canzoni.

 


Video
 Singing in the rain under Walt Whitman Bridge 
Philadelphia, 25 luglio 2016

 

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Il Walt Whitman Bridge 

 

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Un passaggio  sotto il Walt Whitman Bridge martedì 27 luglio nelle numerose ore di contestazione dopo la proclamazione di Hillary a candidata ufficiale.

Purtroppo però quello che tra sabato e domenica si era preannunciato come un possibile terremoto  è stato placato e  soffocato dalla "macchina democratica" con il sacrificio di qualche testa, con qualche scusa pubblica, e soprattutto con le immediate accuse, risuonate su tutti i media, che l'establishment dem ha rivolto alla Russia. Sarebbe stata la Russia a fare esplodere  la bomba Wikileaks per rovinare la convention e favorire Donald Trump, che manifestamente apprezza  Vladimir Putin. Come se tirare in ballo Trump e la Russia potesse eliminare la concretezza di quelle email e del loro contenuto.  

Sta di fatto che l'ambiziosa chairwoman del Comitato nazionale Democratico, Debbie Wasserman Schultz, di cui Bernie aveva nei mesi scorsi più volte chiesto le dimissioni, ha dovuto, malgrado la sua faccia tosta, obbedire ad ordini arrivati da sfere ancor più alte delle sue e a rinunciare alla prestigiosa carica fin da sabato, lasciando la conduzione della manifestazione  a  Stephanie Rawlings-Blake, l'afroamericana sindaco di Baltimora.

Con delle scuse pubbliche trasmesse alla  CNN,  rete della quale è una delle commentatrici politiche di punta e con la sospensione temporanea del suo contratto, se l’è cavata invece Donna Brazile, vice della Wasserman Schultz nella direzione del Comitato Democratico Nazionale. Donna Brazile, prima donna afroamericana  ad avere ricoperto cariche di grande rilievo nel partito democratico, è un volto probabilmente noto anche a quel pubblico italiano che pur non guardando la CNN  segue House of Cards, in quanto più volte presente nelle scene in cui i giornalisti del network interpretano se stessi nei verosimili programmi  su Frank e Claire Underwood e sui loro rivali.

 

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Due dei tanti cartelli sulla frode elettorale

 

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Due delle tante rappresentazioni di Hillary

 Tornando circolarmente all'inizio di questo primo intervento, scritto da Filadelfia sabato 30 luglio nel primo giorno di  riposo totale dopo i frenetici spostamenti di qua e di là nel folle tentativo di essere ovunque in mezzo alla moltitudine di manifestanti che inevitabilmente davano vita a contemporanee situazioni interessanti,  il fatto di non avere avuto un pass per la convention mi ha fortunatamente evitato ulteriori scelte logistiche.

La tardiva richiesta ha consentito comunque l'inserimento a nome di Vorrei nella press list che ha inondato la mia casella postale di mail con le informazioni dei vari programmi giornalieri,  con le trascrizioni complete di tutti i discorsi che le varie personalità hanno tenuto nell’arena e con vari video rilasciati in anteprima e in esclusiva per la stampa. Tutto materiale che sembrava provenire da un mondo distante anni luce ripetto a quello che, al di fuori dello stadio,  faceva risuonale " le strade di Filadelfia" di  Feel the bern, di Bern or bust, di This is what democracy look like!, di Hey, hell, DNC, we won't vote for Hillary. Slogan di quella rivoluzione che in questi giorni ha davvero messo delle radici che sarà difficile sradicare, nonostante le difficoltà e le contraddizioni che porta con sé. 

 

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Cornel West, filososo, teologo, scrittore, attivista politico, in prima fila durante la marcia di lunedì 25 luglio.  West, primo afroamericano laureatosi a Princeton con un un dottorato in teologia, ha condotto una campagna elettorale a favore di Bernie, ma  dopo  l'endorsment di Sanders a Hillary il professore si è schierato per  l'indipendente Jill Stein, leader del  Green Party.

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Il movimento è in moto e il This is just the beginning scritto su molti cartelli ha tutta l'aria di essere non semplicemete uno slogan, ma una realtà in continua evoluzione.  Perché qui a Filadelfia, nei giorni in cui  Hillary veniva celebrata all'interno del Wells Fargo Center e in alcuni luoghi aperti a tutti come l'imponente Convention Center nel centro città, il movimento della rivoluzione cominciata da Bernie si rafforzava, stringendo una rete sempre più fitta di contatti capillari e di nuove alleanze e raccogliendo le promesse di tutti ad impegnarsi sempre di più nella lotta per la democrazia.   

E c'è da credere che questa gente le promesse le manterrà, per fare in modo che la rivoluzione arrivi a coinvolgere percentuali sempre più alte all'interno di quel 99% di cui il giovanissimo vecchietto di Brooklyn si è fatto e continuerà, seppur nelle retrovie, a farsi portavoce.

 

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continua...

 

English version

An exciting full immersion week in the heterogeneous movement  created by  the Vermont senator Bernie-Birdie-Sanders without vain ambitions of  paternalistic and populistic protagonism but "with and for" the people 

If before some months ago’s deadline our magazine  vorrei.org  had asked for credentials for the Dem National Convention running in Philadelphia through July 25th and 28th, maybe it would have got it.  In that case the improvised Italian video-photo reporter, in solitary pilgrimage in the homeland of the American Revolution hoping to see the birth of a new revolution, would have faced a big dilemma.

Entering the official arena of pledged delegates, super-delegates, press correspondents and more or less special guests and there living without media filters an exclusive event she ingenuously, but in good company, hoped could reserve some twists, or staying outside for a total immersion in the ‘60s atmosphere of the feel the bern people, to breath as much as possible of it in any contest. 

 I’m pretty sure the second hypothesis would have prevailed, at least on the first day, because since my arrival in the city on the previous Thursday, the premises of what was presumed to happen outside the heavily guarded Wells Fargo Center not only particularly appealed who usually prefers alternative situations to canonic ones, but because they promised events that the mainstream networks would hardly cover.

 Considering this in retrospect, particularly after collecting the witnesses of several Bernie delegates on Wednesday and Thursday evenings and more calmly on Friday, the possibility of occasionally being inside the stadium, with a look not only to the Hillary glorifications but to the delegates’ audience, would have let a careful eye capture some things that in a “democratic” party shouldn’t be supposed to happen.
For example the Bernie delegates’ protests, ignored by the official coverage, any time they unsuccessfully tried to get their right to speak, right they were denied for the whole convention.
Or the substitution of those of them who, starting from Tuesday’s late afternoon after the proclamation of Hillary as official nominee, left the arena several times with groups of people recruited to fill the suddenly emptied sectors.
And above all the numerous contestations outside the arena but inside the structure of the stadium because of the multiple abuses of power endured, showed only by online independent networks.

 Therefore having a pass would have made possible to assist not only to the hollywood style Hillary gala, but to witness the Bernie supporters’ discontent, anger and humiliation becoming higher and higher day after day but unseen on the mainstream televisions.
In some miraculous way the pro-Bernie reactions disappeared from the tv screens after the first day when even the most propagandistic networks, CNN in primis, could not hide the boos followed by feel the bern at the pronunciation of Hillary Clinton’s name. 
Just like they couldn’t hide the almost two minutes and a half of standing ovation that compelled Bernie-Birdie to interrupt many times the beginning of his speech and to make the audience be silent, showing the whole world which candidate the majority of the people there supported and confirming the thesis about the sabotage against Bernie by a party that couldn’t stand the idea of his possible victory.

 The DNC is more afraid of Bernie than they are of Trump said one of the many signboards of the protesters.
Partisan slogan? Of course it was. But not only. 
If the  conspiracy theory might still have raised some doubts, the thousands of emails leaked by Wikileaks on the convention eve definitively got rid of any uncertainty about the actual impairment of the Democratic Party high spheres. 
Besides arousing a renewed indignation in the Bernie supporters, the emails confirming the pro-Hillary manipulations brought the enthusiastic hope that the miracle of overthrowing the result of the nomination could happen thanks to the votes of the super delegates. 

 And the hope that miracle might happen was breathed and visible everywhere.
It was in the Sunday and Monday’s rallies and marches.
It was in the joyful tones of the slogans repeated while standing, sitting or marching.
It sounded in the choirs singing Woody Guthrie’s This land is your land, Pete Seeger’s If I had a hammer, Bob Dylan’s Blowing in the wind and The times they are a-changin’, in John Lennon’s Give peace a chance spontaneously sprung in many circumstances and particularly in an improvised jam session under a bridge during a torrential rain. A bridge, the Walt Whitman Bridge, that gave shelter from the storm to dozens of the Bernie people and that a simple twist of fate (just to use the titles of two more Dylan’s wonderful songs) wanted to be named as the greatest American epic poet of democracy and the inspirator of the authors of the songs played and sung there. 

 Unfortunately what from Saturday to Tuesday’s first afternoon was seen as a possible earthquake inside the arena was calmed down and suffocated by the “democratic machine” with the sacrifice of some heads, with some public apologies and with immediate accusations to Russia, considered responsible of the email leak in order to mine the DP reputation in favor of Trump, who openly appreciated Putin in his speeches. As if accusing Trump and Russia could suppress those emails and their content. 

Who paid the most was the ambitious Chairwoman of the Convention, Debbie Wasserman Schultzwhose resignation had been asked by Bernie for a very long time before the outburst of the wikileaks scandal. She was in fact compelled to give up her role in favor of the Mayor of Baltimore, Stephanie Rawlings-Blake.
Donna Brazile, Wasserman Schultz’s vice at the DNC also involved in the scandal, got away with some public apologies on CNN, the network for which she is one of the main political commentators, and with the temporary suspension of her contract. Donna Brazile, first Afroamerican woman to have leading positions in the Democratic Party, is probably known to the Italian audience following House of cards, since she sometimes appears in the scenes set in the CNN studios where the network journalists play themselves in the debates about Frank and Claire Underwood.

 Circling back to the beginning of this article, written in Philadelphia on Saturday July 30, the first day of total rest after the frenzied movings back and forth in the crazy attempt to be everywhere among the multitude of the protesters, who simultaneously gave birth to interesting situations, the denied access to the Wells Fargo Arena fortunately prevented me from further choices, despite the initial delusion after trying to get the pass on my arrival in Philly.

The kind answer to my late request reiterated the impossibility to grant further credentials, anyway  inserted my name in the press list which filled my e-mail box with information about the programs, the written speeches of all the personalities speaking in the arena and a lot of videos celebrating Hillary.
An amount of material that, once back in Italy, will probably be useful as a counterbalance to the many witnesses personally collected on these days of empathic immersion in the people of Feel the Bern, Bern or bust, This is what democracy looks like
A material quantitatively considerable that will be difficult, but not impossible, to organize, select and edit to give a vision, as objective as possible, of the revolution that on these days really has put roots difficult to eradicate, despite the difficulties and the contradictions it carries along.

An interesting material on a quality level, not for the property of the shooting almost always taken in precarious situations and by inadequate means, but for the variety of the contents, alternating calm moments to tension ones and interviews or speeches both of common people and of Bernie’s delegates and activists and even of Jill Stein, the leader of the Green Party, running for the White House as an independent. Given the more and more frequent choirs Jill never Hill during the convention days she is likely to collect the majority of the Bernie protesters’ votes.
In the meantime I’ll try to tell this revolution from the vorrei.org pages, using part of that material and keeping the contacts with the persons met in these exciting days. 

The movement is underway and the This is just the beginning or Join the political revolution now are not only slogans but a constantly evolving reality. Because here in Philadelphia on the days shown by the mainstream media as the celebration of Hillary, the movement of the revolution started by Bernie was getting stronger and stronger with the  creation of a dense network of widespread contacts and new alliances and with everybody’s promise to get more and more involved in the fight for democracy.
And it’s to believe that these people will maintain their promises, in order to make revolution engage higher and higher percentages inside that 99% of which the Brooklyn old young guy, even behind the frontline, will continue to be the great spokesman.

 to be continued...

Gli autori di Vorrei
Elisabetta Raimondi
Elisabetta Raimondi
Disegnatrice, decoratrice di mobili e tessuti, pittrice, newdada-collagista, scrittrice e drammaturga, attrice e regista teatrale, ufficio stampa e fotografa di scena nei primi anni del Teatro Binario 7 e, da un anno, redattrice di Vorrei.
Ma soprattutto insegnante. Da quasi quarant’anni docente di inglese nella scuola pubblica. Ho fondato insieme ad ex-alunni di diverse età l’Associazione Culturale Senzaspazio.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.