
La mostra funziona non solo come esposizione tout court ma come opera a sé: una installazione singolare, carica di implicazioni sottilmente polemiche. È come portare alla Scala (altro luogo consacrato del Piermarini), in un colpo solo, la Fura dels Baus, i cantori mongoli, il folklore d’Etiopia, il respiro di mondi sempre spacciati per “esotici” e “suggestivi”,