20180625 breme manifesto

A Breme, piccolo paesino della Lomellina affacciato sul Po, la comunità, guidata da un'amministrazione che si dà da fare, combatte lo spopolamento e un modello agricolo velenoso con un progetto di recupero e conservazione di una cipolla.

Pomeriggio di giugno, caldo afoso, tangenziale di Milano. Un amico che fa l'agricoltore, sempre attento a scovare frutti originali e i modi migliori per coltivarli, mi ha parlato di Breme, un piccolo comune della Lomellina e - senza troppa fatica - mi ha convinto a seguirlo per andare a vedere cosa succede laggiù, ai margini della Lombardia. Ogni giugno le associazioni del posto organizzano una sagra per celebrare la “Cipolla rossa di Breme”; rossi e grossi bulbi (600 grammi il peso medio) che crescono nei sabbiosi terreni della golena del Po.

Usciamo dall'A7, piena di auto dirette al mare, e ci addentriamo per le campagne in direzione di Lomello. Zizagando tra paesini uno più piccolo dell'altro, incontriamo un paesaggio fermo nel tempo e spopolato. Colori pastello, crepe nei muri, cartelli “vendesi”, tanti, e in giro neanche l'ombra di un cristiano. Siamo in una di quelle pieghe della penisola dove nessuno sembra più voler mettere gli occhi.

Fuori dagli abitati, lunghe strisce d'asfalto, sommerse di miraggi d'acqua; dritte e deserte, poi, ogni tanto, piegano a gomito in mezzo alle risaie. Solo aironi e garzette interrompono qua e là la monotonia verde del piano.

 

20180625 breme cascina

 

Dopo una curva veniamo impallinati da un agricoltore. Il carrello automatico dietro il trattore spara a lunga gittata piccoli sassolini bianchi d'azoto e fosforo. Servono per far crescere più veloci le plantule e inquinano abbondantemente le acque di falda. In Lombardia in particolare ne facciamo grande (ab)uso: dati risalenti ai primi anni duemila raccontano che su ogni ettaro di terreno agricolo lombardo se ne spandono 300 kg all'anno. Tre quintali. Veniamo investiti da una pioggia di granellini.

Il paesaggio della campagna, come quello dei paesini attraversati poco prima, è apparentemente privo di forme di vita umana e animale: siamo davanti a un quadro immobile.

Fermiamo la corsa all'imbocco di una strada bianca, quando avvertiamo di essere abbastanza vicini al Po. Ci addentriamo a piedi tra risaie e cascine abbandonate, in cerca del grande fiume. Calura, zanzare e umidità da Mekong ci fanno compagnia.

Il paesaggio della campagna, come quello dei paesini attraversati poco prima, è apparentemente privo di forme di vita umana e animale: siamo davanti a un quadro immobile.

Queste risaie dovrebbero essere piene di vita – ci diciamo - di libellule, di bisce d'acqua, di aironi, di garzette. Ma per chilometri attorno non incontriamo niente. Solo zanzare.

Superiamo l'argine più esterno del Po, attraversiamo le geometriche pioppete e poi ci introduciamo nella vegetazione spontanea, facendoci largo tra salici e ontani, che fanno da ultima barriera prima di affacciarsi al fiume.

 

20180625 breme po

 

Eccolo il grande fiume! Accompagnato dallo spiacevole odore degli scarichi fognari e strane schiume, ha la faccia di un grande malato. Ci fermiamo un attimo sulla sponda a guardare. Ma anche qui non c'è anima viva.

...lasciando perdere per un attimo i quintali prodotti e lasciando ridisegnare il paesaggio alle sensazioni, ne vien fuori una geografia sentimentale della desolazione.

Torniamo sui nostri passi con una strana sensazione: guardiamo le risaie attorno, sempre in cerca di qualche sussulto vitale, ma niente. La Lomellina con le provincie di Novara e Vercelli formano un territorio che produce il 90% del riso italiano, si tratta dell'area risicola a più alta produttività d'Europa. Eppure, lasciando perdere per un attimo i quintali prodotti e lasciando ridisegnare il paesaggio alle sensazioni, ne vien fuori una geografia sentimentale della desolazione. Un'agricoltura industriale, che produce tanto, ma che non lascia nulla al territorio, fa scappare la gente e desertifica le campagne. Così questa parte periferica di Lombardia, in cui si producono riso e biscotti, sembra rimossa, relegata alla produzione agricola senza uomini e, ultimamente, ad accogliere fanghi di smaltimento provenienti dal resto della regione.

È questo il Made in Italy? Viene fuori da qui il grande riso italiano?

Riprendiamo l'auto e proseguiamo oltre. Ci fermiamo accaldati a Mede, nell'unico bar che troviamo aperto lungo la nostra rotta in questa terra d'abbandono. Il bar è gestito da una famiglia di origine cinese, offre vino e caffè a un pubblico di soli anziani. Ci sediamo al tavolino. Sembra di essere in una casa di riposo all'aperto. I dati ISTAT, del resto, parlano chiaro: la Lomellina è un territorio che ha subito uno spopolamento incessante negli ultimi trent'anni, caratterizzato da un saldo naturale significativamente negativo (come si può leggere in questo rapporto di Eupolis).

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Verso sera siamo a Breme. L'arrivo sa di finis terrae, di paese “dove finisce la strada”: dall'ingresso del borgo quasi si vede l'uscita, la fine dei caseggiati, le risaie, i pioppi e, là dietro, nascosto da qualche parte, (si “sente”) il Po.

Sono già in corso i preparativi per la festa serale che tra poco aprirà i battenti, come ogni giorno da due settimane a questa parte. La Sagra della Cipolla Rossa è uno degli eventi che riscuote più successo nell'interna provincia di Pavia.

La via centrale è chiusa al traffico, pervasa da un'orrenda musica disco, e si sta riempiendo di bancarelle di varia risma.

Alle 19, nel piazzale, alle spalle della grande Abbazia benedettina di San Pietro (visitabile gratuitamente nei giorni della sagra), il tendone ristorante è già preso d'assalto. Visitatori arrivati da ogni angolo della Lombardia fanno la coda per assaggiare un menù tutto a base di cipolla rossa (gelato compreso).

 

20180625 breme mondine

 

Mentre aspettiamo che scenda il sole e con il sole la temperatura tropicale, parliamo con un volontario che ci racconta di come si è arrivati a fare di un ortaggio il perno per rivitalizzare un paesino affacciato sul Po: «Gran parte del merito va al nostro sindaco Franco Berzero e ad alcuni contadini che, non più di una decina di anni fa, si sono attivati per far riconoscere ufficialmente la specificità della nostra cipolla. Una delegazione è andata a parlare con il professor Graziano Rossi dell'Università di Pavia per avviare degli studi che potessero dimostrare le caratteristiche uniche di questo ortaggio e preparare insieme un piano per preservarlo».

La produzione è passata dai 150 quintali di cipolle del 2008 agli attuali 2.500 quintali/anno.

Morale della favola, l'iniziativa di pochi valorosi ha preso piede, il percorso si è avviato e cresce passo dopo passo anche grazie a soluzioni originali. L'Amministrazione e l'Università, in primis, si sono impegnate nel formulare un disciplinare di produzione che detta le modalità produttive e dà la possibilità di ottenere il marchio De.C.O. (denominazione comunale dell'origine) solo alle cipolle coltivate nel territorio di Breme; alcuni degli agricoltori, che inizialmente coltivavano la cipolla come secondo lavoro, hanno trasformato la produzione del prezioso ortaggio nella loro principale attività economica; la Polisportiva Bremese ha messo in piedi una sagra che attira ogni anno più di 15.000 visitatori dalla Lombardia come da altre parti d'Italia. Le cose vanno così bene che ora l'appuntamento è raddoppiato e, alla sagra della cipolla rossa, se n'è affiancata un'altra dedicata alla cipolla dorata, nel mese di settembre. La produzione è passata dai 150 quintali di cipolle del 2008 agli attuali 2.500 quintali/anno.

E' vietato l'uso di diserbanti, di concimi chimici, è obbligatoria la raccolta manuale, cipolla per cipolla. Si tratta quindi di una cura spasmodica per il territorio e per il frutto.

Non solo quantità però, tiene a specificare il sindaco, intervistato da un giornale locale: «il nostro disciplinare di produzione preserva anche metodi produttivi che si tramandano da generazioni e che prevedono una produzione non industriale della cipolla. E' vietato l'uso di diserbanti, di concimi chimici, è obbligatoria la raccolta manuale, cipolla per cipolla. Si tratta quindi di una cura spasmodica per il territorio e per il frutto, che poi va a finire sulle tavole delle nostre massaie come nelle cucine d'alta ristorazione. La richiesta è crescente poiché - grazie ai terreni alluvionali e sabbiosi, particolarmente adatti - otteniamo cipolle che sono dolci e facilmente digeribili; ben diverse da quelle coltivate a soli pochi chilometri di distanza. E' per questo che abbiamo voluto istituire un marchio comunale. Negli intenti futuri vorremmo arrivare alla certificazione IGP (Indicazione geografica protetta)».

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Mentre ascoltiamo il sindaco, suona un'orchestrina di liscio, qualcuno gioca al tirassegno e c'è un'atmosfera che oggi, nella pianura lombarda, si può giusto andare a cercare in qualche ansa del Po.

 

20180625 breme paese

 

Nel piazzale, tra le giostre, uno stand noleggia gratuitamente delle biciclette un po' scassate per andare lungo le piste di campagna alla scoperta dei paesaggi fluviali in cui il Po e il Sesia si incontrano. In mezzo alla piazza, i contadini fanno la spola con trattori e carri carichi di cipolle: sacchi da quattro chili e mezzo, venduti a 10 €, che vanno via come il pane.

Una via anche per ripensare la terra e l'agricoltura, un impulso su questi temi che, per una volta, non viene dalla città.

Che entusiasmo attorno a questo cipollotto! Una comunità di 700 persone con più di cento volontari coinvolti nella realizzazione della sagra, un'amministrazione comunale che si dà da fare, sono un bell'esempio. Forse piccolo, forse insufficiente, ma un bell'esempio. In tempi di crescente rassegnazione, un modo per provare a rispondere ai problemi di un territorio marginale, ai confini - rimossi - della Lombardia e afflitto da tante sfortune. Una via anche per ripensare la terra e l'agricoltura, un impulso su questi temi che, per una volta, non viene dalla città, ma dagli “orizzonti lontanissimi” del deserto agricolo padano. Il compianto sociologo tedesco Ulrich Beck derubricherebbe l'esperienza come: «soluzione biografica a contraddizioni sistemiche», e non avrebbe certo torto, ma se le comunità come Breme fossero cento?

 

Gli autori di Vorrei
Alfio Sironi

Mi occupo di tematiche geografiche dentro e fuori la scuola.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.