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Raffaele Masto spiega perché sia il caso di iniziare quanto prima ad occuparci della Nigeria. Paese sintesi di un intero continente: pieno di risorse e potenzialità, ma che paga ancora oggi l'eredità negativa del suo passato coloniale.

Alla Casa sul Pozzo di Lecco prosegue il ciclo di incontri dedicato all'Africa, organizzato da “L'Altra Via” e dalla “Comunità di via Gaggio”, parlando di Nigeria. La Nigeria è un paese cruciale nel futuro dell'Africa, è difatti lo stato più popoloso del continente oltre che quello con il PIL più elevato, benché caratterizzato da una situazione interna tesissima, in cui faide etniche si intrecciano con interessi economici legati al petrolio e con l'infiltrazione del gruppo islamista armato Boko Haram. A districare i vari fili di racconto che si intrecciano attorno al paese, relatore della serata è Raffaele Masto, giornalista di Radio Popolare e di Africa Rivista, reporter e viaggiatore che ha dedicato molti anni al viaggio in Africa. Itinerari e reportage di cui ha scritto anche nel suo ultimo piccolo e prezioso libro “Africa”, uscito da pochi giorni per i tipi di TAM.

 

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Raffaele Masto e Dario Consonni de “L'Altra Via”

 

Perché parlare d'Africa e di Nigeria

«Apro spesso queste serate dicendo che è tempo di parlare d'Africa non per buonismo, ma per opportunismo, perché ci conviene. Tendiamo sempre a pensare all'Africa come a qualcosa di lontano, ma avremo a che fare spesso in futuro con quella terra e la sua gente. Analizzare la Nigeria può essere un buon modo per capire quanto sia attuale il discorso sull'Africa: la Nigeria è una sintesi delle contraddizioni e delle speranze di un intero continente».

 

La prima economia dell'Africa

«Partiamo col dire che la Nigeria è il paese più popoloso di tutta l'Africa, si stimano 180 milioni di abitanti: è il 7° paese al mondo per popolazione ed è destinato nei prossimi anni a diventare il 3° dietro India e Cina. Sulla carta ha il PIL più alto di tutto il continente, anche del Sudafrica (che deteneva il primato fino al 2014, ndr). Se si divide il PIL per la popolazione risulta che la ricchezza non è distribuita e il reddito procapite giornaliero è tra i più bassi al mondo. Questa condizione, insieme alle forti tensioni interne, fa sì che con l'Eritrea – dove domina il terribile regime di Isaias Afewerki -  la Nigeria sia il paese africano che genera i maggiori flussi migratori. 

Dal punto di vista politico si tratta di una federazione di 36 stati nata nel 1960, nell'epoca delle indipendenze, quando il colonialismo è ormai guardato ovunque in modo anacronistico e in Africa c'è una voglia di indipendenza fortissima.  Il colonialismo in quegli anni finisce, ma le potenze coloniali prima di lasciare il campo cercano di ritagliare i confini sulla base dei propri interessi. Per la Nigeria è l'ex madrepatria britannica a volere che il vasto territorio occupato diventi un unico paese, nonostante un'evidente contrapposizione tra regione settentrionale e meridionale. La Gran Bretagna, cosciente della spaccatura, stabilisce un sistema federalista per cercare di tenere insieme le diverse realtà. Si crea così un mostro multietnico (250 gruppi etnici! ndr), polveriera di conflitti potenzialmente esplosivi».

 

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Nigeria, infografica (fonte: repubblica.it

 

Un paese spaccato a metà

«Il paese – specifica Masto - è spaccato tra un nord islamico dominato dalla etnia hausa-fulani e un sud in prevalenza cristiano in cui dominano le etnie yoruba (sud-ovest) e ibo (sud est). Queste tre etnie sono protagoniste di tensioni e conflitti politici che durano dal 1960. Un nord semidesertico, in cui si può praticare solo un allevamento a bassa intensità, un sud equatoriale, con una natura generosa e iperpopolato. 

Nel 1956 viene scoperto il petrolio nella parte sud orientale del delta del Niger, ad Oloibiri, nella foresta equatoriale. La Shell è la prima ad arrivare. All'epoca i nigeriani osservano la cosa con curiosità: il petrolio puzza, sporca, uccide i pesci, non capiscono il perché di quelle ricerche». 

«Quando anche i nigeriani comprendono l'importanza economica del materiale nerastro tutto cambia in fretta. Nel 1967 esplode la guerra del Biafra: le province sudorientali della Nigeria di etnia ibo si autoproclamano Repubblica del Biafra per poter beneficiare da sole dei profitti petroliferi. Si chiedono: “è roba nostra: perché dividerla con quelli del nord?”. La guerra ha termine tre anni dopo, con un bilancio di 3 milioni di morti e la vittoria delle forze che vogliono la Nigeria unita».

 

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La regione del Biafra

 

 

«Quella guerra fu il primo pessimo risultato dell'artificiosa costruzione voluta dalla Gran Bretagna», conclude Masto. «Le ex madrepatrie cercavano di lasciare il potere a chi garantiva meglio i loro interessi. Noi italiani in Somalia lasciammo potere a Siad Barre, che aveva studiato da carabiniere a Firenze. E così fecero i britannici affidando il potere centrale alle lobby politiche e militari del nord musulmano. Ai tempi non si percepiva la questione islamica come l'avvertiamo oggi».

 

Dopo l'indipendenza

«La Nigeria negli anni dopo l'indipendenza viene quindi governata da feroci giunte militari, tutte espressione del nord del paese. Solo negli anni '90, l'Occidente, con la fine della Guerra Fredda inizia a predicare la democrazia e sollecitare elezioni libere. Gli effetti delle prediche si fanno sentire e nel 1999 si vota anche in Nigeria: vince una giunta del sud. Liberato dal vincolo imposto ai tempi dalla madrepatria e libero di votare, il sud, popoloso e cristiano, ha ovviamente la meglio. 

Obasanjo è così il primo presidente cristiano espressione del sud; il risultato preoccupa molto il settentrione. Nello stato federale i proventi del petrolio e i trasferimenti dall'estero passano tutti nelle casse del potere centrale, che poi redistribuisce o dovrebbe redistribuire tra gli stati federati. I territori del nord sono quindi timorosi di restare fuori dalla spartizione della torta».

«Per fare la voce grossa e fare pressione sul governo centrale, nei primi anni Duemila, 14 stati del nord dichiarano la sharia, cioè la legge coranica, e ne applicano i concetti alla vita pubblica. La Nigeria da quel momento si spacca in due anche sul piano giuridico, dato che dalla sharia discende un sistema di leggi che trovano fondamento direttamente nel Corano, mentre la Costituzione post-coloniale è basata sul modello laico anglosassone. Da allora la legge coranica non è mai stata ritirata e si hanno così due sistemi giuridici contrapposti, entrambi vigenti.

Se questo non bastasse, in quegli anni la fascia centrale della Nigeria è affetta da una pesante diffusione della poliomelite e l'OMS ha avviato campagne di vaccinazioni intensissime. Ad un certo punto, i governatori del nord si rifiutano di proseguire le vaccinazioni sospettando che servano unicamente ad affievolire il sentimento islamico(!). Il mondo protesta inutilmente, perché i vaccini non c'entrano molto, sono solo l'occasione per l'ennesima dimostrazione di forza contro il potere centrale. Obasanjo resiste grazie all'appoggio della comunità internazionale, ma a nord le cose vanno via via peggiorando».

 

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L'azione di Boko Haram nel 2010 (fonte: repubblica.it)

 

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L'espansione di Boko Haram nel 2013 (fonte: repubblica.it)

 

Boko Haram

«Nel 2002 – prosegue Masto - a Maiduguri capitale dello stato del Borno nasce Boko Haram - da una locuzione hausa che letteralmente significa «l'istruzione occidentale è proibita». Il movimento è guidato da Mohammed Yusuf, uno scatenato contestatore del potere centrale e del malcostume che sempre di più, a suo dire, infesta la Nigeria.  Yusuf fonda in breve tempo una moschea ed una scuola coranica, per accogliere ed educare i figli delle famiglie povere della Nigeria e degli stati vicini. Il centro religioso cresce e si dà presto altri obiettivi politici, lavorando per reclutare i futuri jihadisti. L'idea è quella di combattere lo stato federale facendo leva sulla frustrazione generata da malessere sociale e povertà dilaganti. Il gruppo in quegli anni riceve finanziamenti dal sistema politico locale e questo accerta la nascita del movimento soprattutto per ragioni strumentali, tenute nascoste dietro il paravento della religione: rivendicare un ruolo del nord rispetto al potere centrale. Nel 2009, Yusuf viene arrestato e muore in carcere». 

«Fino a quel momento – specifica il giornalista - avevo visto Boko Haram organizzare cortei con bastoni e machete; 4 anni dopo, li ritrovai con esplosivi, armi di ogni genere, una logistica all'avanguardia. Qualcuno aveva investito su Boko Haram, era evidente. Possiamo incominciare così a pensare ci sia un filo rosso che attraversa la storia recente della Nigeria e porta fino alla situazione attuale».

 

Soldi e potere, non religione

Poi Masto torna sul tema dell'uso strumentale della religione: «L'Africa ospita diverse centinaia di milioni di musulmani e in questi anni si è assistito a una progressiva radicalizzazione dell'islam. O, meglio, a un'omologazione ai precetti più rigorosi che fanno riferimento alle scuole mediorientali. In sostanza, l'islam tollerante e conciliante, che in queste terre aveva una tradizione secolare, ha lasciato il posto a una fede più totalizzante e avvolgente. Il film Timbuktù spiega bene questa storia. Tutto ciò è probabilmente sia la causa sia la conseguenza del più massiccio tentativo di penetrazione da parte dell'integralismo islamico armato che l'Africa abbia conosciuto nella sua storia. Boko Haram in Nigeria, al-Qaeda nel Maghreb, nel Sahel e in Africa occidentale e al-Shabaab in Somalia e Kenya.

La Somalia è un buon esempio da questo punto di vista: dopo l'indipendenza aveva avviato diverse collaborazioni: progetti di cooperazione universitaria con l'Italia, progetti con aziende straniere finalizzati alla costruzione di importanti infrastrutture. La popolazione, per quanto ancora poverissima, dopo il colonialismo si dimostrava accogliente. Oggi, dopo la guerra civile, tornando in Somalia troviamo un paese profondamente diverso: vige l'integralismo islamico più oscurantista e le donne, che un tempo vestivano il tradizionale abito dai colori sgargianti e che lasciava scoperta una spalla, ora sono interamente velate con anonimi abiti grigi o neri; il maggiore investitore nel paese è la Turchia, seguita dal Qatar e dell'Arabia Saudita. Non è un caso che le organizzazioni del terrorismo islamista abbiano attecchito a questa latitudine, dal Corno d'Africa alla Nigeria: qui troviamo tutti paesi spaccati tra una parte cristiana e una islamica. Ma attenzione: della religione si fa solamente un uso strumentale teso a coprire lotte di potere e spartizione».

 

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Erdogan in una recente visita in Somalia

 

Petrolio 

Il petrolio in Nigeria rappresenta senza dubbio la voce di profitto più importante. A tal proposito Masto spiega come per le regioni del delta del Niger, dotate di numerosi giacimenti, questa ricchezza sia stata soprattutto una sciagura: «Il Niger è il secondo fiume per lunghezza in Africa, nasce in Liberia e si butta nel golfo di Guinea, facendo quei giri circolari che solo i fiumi d'Africa sanno fare. Il delta del Niger è un territorio grande 2/3 dell'Italia ed è abitato da 20 milioni di persone. Si trattava di un posto favoloso: clima equatoriale, acqua dolce, terreni fertilissimi, ricchezza ittica infinita, frutta. Buttavi per terra un seme e cresceva, cresce ogni cosa in un posto così! La sfortuna è che ad un certo punto si è scoperto il petrolio e si sono moltiplicate le iniziative di estrazione. Oggi il delta è uno dei luoghi più inquinati del mondo. Negli anni  '50 tutte le maggiori compagnie petrolifere occidentali, compresa l'italiana ENI, si buttarono a capofitto sull'oro nero nigeriano. Si stipulavano accordi con le varie giunte militari: si garantiva una percentuale ai politici e si poteva operare senza intralci e senza cautele. La rigogliosa foresta di mangrovie in qualche decennio è stata devastata da oleodotti che si diramano in ogni direzione e sui quali non è mai stata fatta l'opportuna manutenzione. Le condotte oggi perdono, si rompono, vengono sabotate. Le acque del delta sono diventate nere, i terreni sono pregni d'olio, se si arriva di sera si trovano villaggi illuminati a giorno dalle ciminiere del gas flaring». 

 

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L'acqua del delta

 

Il gas flaring è la tecnica – vietata in Europa – con cui si brucia in aria il gas di qualità inferiore, che non viene venduto perché poco remunerativo. Report aveva dedicato una interessante puntata al tema, che consigliamo a chi volesse approfondire l'argomento.

Prosegue il giornalista di Radio Popolare: «Se in Nigeria vi capitasse di mangiare un igname – tubero diffuso nel paese, ndr - oggi sentireste un retrogusto di petrolio. Anche l'acqua ha un sapore alterato. 

Per finire, mentre tutto questo petrolio alimenta le luci, i riscaldamenti, i servizi, le industrie e lo sviluppo di molti paesi del mondo, le popolazioni del delta nei loro villaggi non hanno elettricità, non hanno acqua potabile, non hanno fogne. Quel petrolio che produce ricchezza e servizi in tutto il mondo lì non produce che danni.

Le compagnie petrolifere sono presenti con i loro eserciti privati, i loro contractors internazionali, con decine di dipendenti che vivono blindati in compound protetti da uomini armati per timore di rapimenti e attacchi dalle diverse formazioni di guerriglieri che si sono succedute nel tempo, dal MEND (Movimento per l'emancipazione del delta) agli odierni Vendicatori del delta».

 

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Il petrolio africano nel mondo

 

La situazione attuale: il riassunto di un continente 

«Insomma la Nigeria di oggi ha il PIL più alto e di certo rappresenta una potenza regionale nell'Africa intera, è l'unico paese ad avere una produzione culturale importante, quella di Nollywood che, pur poco interessante per i produttori occidentali, dà vita ad una industria miliardaria che esporta film in tutta l'Africa e anche alle comunità di emigrati all'estero. Fela Kuti era un altro esempio della formidabile cultura del paese: un cantante famosissimo in patria che ha saputo raccontare la Nigeria in musica come nessun altro. Con la musica faceva politica, attaccava le giunte militari degli anni '70 e '80 e sosteneva i diritti umani. Fu un leader per la popolazione. La Nigeria, inoltre, ha prodotto un premio nobel come Wole Soyinka, o ancora: Ken Saro-Wiwa, uno degli intellettuali più influenti dell'Africa post-coloniale, che molto si impegnò affinché almeno una parte dei proventi derivanti da petrolio andasse alle popolazioni del delta».

«In uno dei miei ultimi viaggi nel paese  - continua Masto - ho scoperto che un giovane ingegnere nigeriano ha inventato un campo da calcio autosufficiente dal punto di vista energetico: sotto il manto erboso alcuni pannelli, grazie al calpestio dei calciatori, generano elettricità che fa funzionare l'impianto di illuminazione. C'è una popolazione giovane, c'è vita, creatività e voglia di giocarsi le proprie chance! Andando nelle zone più povere delle città ho conosciuto diversi rapper che oggi secondo me sono tra le voci più rappresentative del popolo africano. La musica in Africa svolge un ruolo potente. Ho imparato a conoscere ed apprezzare Teddy Afro che ad Addis Abeba, nel 2005, aveva contestato con le sue canzoni il regime e per questo fu incarcerato e accusato di omicidio. Luaty Beirao, popolarissimo nelle baraccopoli di Luanda, anche lui messo in galera con l'accusa di voler rovesciare il regime dell'eterno presidente Eduardo dos Santos.  Azagaia – nome che significa qualcosa come “colpo di frusta” - in Mozambico, autore di diversi dischi e di un bellissimo pezzo in cui ha campionato il discorso del leader storico del paese, Samora Machel, per criticare l'inamovibile classe al potere».

 

 

Azagaia, il rapper voce di protesta del Mozambico

 

«Detto questo, però, allo stesso tempo, la Nigeria è uno stato in gravissime difficoltà. Per questo dicevo che è sintesi dell'intera condizione africana. Un paese che oggi non controlla vaste porzioni del suo territorio. Abbiamo parlato del delta e prima ancora di Boko Haram. Quest'ultimi, nel 2015, hanno aderito all'ISIS e ora  controllano in Nigeria un territorio grande una volta e mezzo il Belgio. A metà 2016 nello stato del Borno l'ONU stimava circa due milioni di profughi costretti a lasciare le proprie abitazioni per paura di attacchi e attentati.  In molte aree si vive, insomma, a spizzichi e bocconi. Se sei un bianco non ne parliamo: se tu occidentale decidi di uscire una sera a Lagos senza scorta sai di avere 30 secondi di tempo prima di rimanere letteralmente in mutande. Nell'ultimo viaggio che ho fatto nel delta ho dovuto accettare la scorta, non avevo altra scelta».

 

La distribuzione della ricchezza

Sollecitato dalle domande del pubblico, Masto chiude la serata soffermandosi ancora un momento su quelli che ritiene i due problemi principali della Nigeria e dell'intero continente: la distribuzione della ricchezza e la corruzione delle élites al potere. 

«Il PIL è schizzato in alto, come dicevamo, è il primo in assoluto in Africa. Come mai il prodotto interno cresce? I cinesi, ad esempio, in Nigeria hanno investito tantissimo ultimamente. L'uranio è il loro primo obiettivo, ma poi anche petrolio e altre risorse.  Queste attività sono registrate nel PIL, ma il punto è che il denaro rimane alle élites. Nel 2013 il PIL cresceva favolosamente, ma nei villaggi le condizioni non cambiavano di una virgola. La ricchezza è gestita interamente dalla classe politica che al massimo distribuisce soldi per tenere sotto controllo i centri del potere.

Basterebbe incentivare economie sul territorio per redistribuire la ricchezza, ad esempio, tassando le esportazioni di materie prime o imponendo a chi viene a prendere le materie prime di effettuare una prima lavorazione in loco, assumendo manodopera locale». 

 

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La Nigeria detiene il primato africano in termini di PIL totale

 

Il problema numero uno 

Infine il problema delle classi dirigenti: «La società africana è dinamica, ha voglia di partecipare e in questi anni c'è molto attivismo. Si tratta di un continente giovane, l'età media in molti paesi d'Africa è di 16-17 anni! Ma le élites sono cattive e controllano la situazione con violenza.  Dal tempo della decolonizzazione l'Africa ha ereditato una serie di personaggi anacronistici e dalla carriera politica interminabile, dinosauri, creature dell'era giurassica sopravvissute al loro tempo: Robert Mugabe in Zimbabwe, Sassou N'Guesso nella Repubblica del Congo, Yoweri Museveni in Uganda, Omar al-Bashir in Sudan, Idriss Deby in Ciad... e si potrebbe andare avanti ancora. Dove non ci sono governanti di questo tipo troviamo inamovibili oligarchie al potere da sempre, come in Angola e Mozambico, paesi in cui la classe politica non è mai cambiata dall'indipendenza a oggi. In altri stati vige una sorta di nepotismo: in Gabon, per esempio, dove Omar Bongo ha regnato per 42 anni e alla sua morte è stato sostituito dal figlio Ali Bongo. Oppure in Togo, dove Gnassingbé Eyadéma è rimasto al potere per 38 anni e, dopo la sua scomparsa, al suo posto si è seduto il figlio Faure  Gnassingbé. Simili pratiche hanno indotto altri presidenti giunti al potere in altri paesi a considerare il proprio ruolo eterno. Per molti capi di stato è diventata consuetudine non limitarsi ai due mandati previsti in molte costituzioni, ma andare oltre, modificando la legge o rimanendo al potere con la forza. E' il caso di Pierre Nkurunziza in Burundi o Jospeh Kabila nella Repubblica democratica del Congo. A Kinshasa ogni volta che la gente va in piazza contro Kabila sono decine di morti. In Gabon, ultimamente, in una manifestazione contro Ali Bongo, i morti sono stati 100. Con questa classe dirigente uscire dall'attuale caos sarà più difficile. L'Europa su questo tema è assente e continua a interloquire volentieri o a fare affari con personaggi pessimi, fingendo di non vedere».

 

 La foto di apertura è tratta da newsweek.com

Gli autori di Vorrei
Alfio Sironi

Mi occupo di tematiche geografiche dentro e fuori la scuola.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.