20180527 orto

Verdure, frutti e meraviglie della natura in cambio di cura e dedizione. Anche in una delle zone più inquinate d'Italia, lì dove il cemento non è ancora arrivato

Parafrasando il principe dell’ermetismo che dell’immenso ha fatto la sua icona, direi che io mi illumino di… verde, dove l’immensità del verde è una condizione fisica in cui abbandonarsi e sciogliersi. Ma non parlo di valli selvagge o colline verdi disabitate. Sto parlando di un orto urbano, non un orto urbano qualsiasi, ma qualcosa di ben definito e inserito in un contesto ambientale che ne permetta appieno il godimento.

Un orto urbano che si rispetti deve essere lontano da fonti dirette di inquinamento, altrimenti rischiate di mangiarvi condimenti non richiesti, va seguito costantemente, vanno letti libri e riviste, vanno seguite le esperienze degli altri, va seguito il tempo meteorologico di domani, di quello fra una settimana e di quello che verrà.

Il mio orto non posso dirvi dove si trova perché ci verreste tutte le domeniche con la famiglia a passare un pomeriggio di tranquillità, facendo però aumentare pericolosamente il tasso di PM10 dei dintorni, già alto per conto suo in  tutta la Lombardia. Ma potete fidarvi: siamo a Monza, in una delle ultime aree verdi che i nostri simili che si dedicano alla politica ci hanno lasciato, lontana dal traffico e dai rumori della città, pur essendo in città, circondata da altre aree verdi coltivate, senza la vista di palazzi, ove le coordinate del mondo  incrociano quelle celesti.

Guardando attraverso l’albero di  nespole del Giappone, che quest’anno sta dando frutti in abbondanza, si vedono in lontananza le Alpi. Il terreno rettangolare è circondato da alberi, quasi tutti da frutto, disposti su tre lati con il lato libero rivolto a sud. Nello stesso modo, dentro il terreno ho a suo tempo piantumato altri alberi da frutto. Sul lato sud ho impiantato un orto di circa centocinquanta metri quadri che riceve sole in tutte le ore del giorno. Le piante sono esseri viventi, e vanno accudite da febbraio a novembre. L’orto da marzo a settembre. L’erba va rasata di frequente, ed il profumo che si spande nell’aria ricorda sempre i giorni della mia infanzia in cui i terreni da radere erano molti di più e l’aria profumava di erba tagliata.

A completare il tutto ho posto un bungalow con una serra e uno spazio per gli attrezzi e la legna da ardere. Non posso nascondere che, col tempo e con l’aggiunta di un barbecue, il posto è diventato un vero paradiso terrestre, meta anche di visitatori al tempo dell’Expo.

La sensazione poi di essere in armonia con l’universo ti accompagna in ogni momento. I sacrifici sono molti, perché l’orto e le piante non rispettano il tuo tempo libero. Hanno bisogno di sole ed acqua nel momento giusto; le piante di essere potate e accudite e l’orto ripulito costantemente dalle erbacce, che non la vogliono capire di non crescere lì solo perché io lì vorrei vedere solo pomodori, cipolle, insalata o le zucchine di cui non sai mai se sono più buone loro o i fiori che facciamo fritti. Ma per non usare pesticidi, questa è l’unica strada, oltre ad una corretta preparazione del terreno che permetta alle piante di difendersi da sole. 

I primi frutti che si mangiano sono le fragole, dal sapore unico e che non perdono il colorante rosso con cui di solito le troviamo al supermercato. Poi i lamponi. Le ciliegie e le visciole seguono a ruota, ma per poter mangiare qualcosa ho dovuto fare un patto con gli uccelli: dalla metà in su degli alberi le ciliegie se le mangiano loro e dalla metà in giù le lasciano a me. Con queste ci faccio anche frutta sciroppata e “sotto spirito”. Il gelso bianco offre frutti talmente deliziosi che devo coprirlo con una rete se voglio mangiare qualcosa. Le prugne, gialle, rosse e blu,  nascono e maturano senza alcuna difficoltà. Quelle che non mangiamo o doniamo, le faccio in marmellata o spremute in sciroppo. Poi vengono le albicocche (quando si degnano di venire), le amarene, che faccio denocciolate e candite, pere (che spariscono subito), mele (che si possono conservare), le pesche, che faccio anche sciroppate,  i fichi, che non facciamo a tempo a mettere nel cesto perché passano direttamente nel masticatoio.

Questi sono essenzialmente i frutti estivi, che ti impegnano a stare sempre “in zona” e non ti permettono lunghe escursioni vacanziere. Anche perché nell’orto, per esempio,  se non cogli i cetrioli piccoli da mettere sottaceto per tre giorni consecutivi, ti ritrovi delle V2 che quelle della Seconda guerra mondiale non erano niente. I pomodori poi vanno colti al momento giusto altrimenti avvizziscono, e via discorrendo. Coi fiori del sambuco facciamo poi lo sciroppo per tutto l’anno.

Da fine agosto c’è la vendemmia dell’uva fragolina, da pasto e apirena. Ogni anno è una sorpresa, positiva o negativa. Queste piante sono delicatissime alle nostre latitudini. Così come gli ulivi che, se hanno preso il sole e l’acqua al momento giusto, danno  in novembre tante  olive da poterle metterle in salamoia per tutto l’anno.  In questo mese si colgono anche i cachi e  i melograni, frutto antiossidante per eccellenza, ricco di vitamina C, di cui si utilizza tutto, dalla buccia esterna alle buccia interna, alle radici. È anche antitumorale, in particolare contro quello della prostata. Così come il ribes nero che nasce  a grappolini e che metto anche sotto sciroppo. Con le noci, frutto che combatte il colesterolo e la cardiopatia coronaria, faccio il nocino. Naturalmente con quelle che mi lasciano gli uccelli. Mi ha sempre meravigliato il modo in cui questi fratelli alati mangiano le noci, notoriamente indeiscenti e coperte da un guscio legnoso. Ebbene, le strappano dalla pianta, salgono ad una altezza che quasi non li vedi più e poi lasciano cadere la noce che si sfracella sul selciato. A quel punto le noci vengono comodamente svuotate. Le noccioline invece se le mangiano direttamente dall’arbusto quando sono ancora tenere. E poi dicono che solo noi umani saremmo i “sapiens”… I kiwi sono gli ultimi ad essere colti, a volte anche con la neve. Sono ricchi di vitamina C e hanno proprietà lassative.

Godo di altre piante come il corniolo, il goji, la feijoa, il corbezzolo,  ecc, che non hanno ancora fruttificato, o altre ancora che non trovi più come il nespolo di Germania o l’azzeruolo.

Ogni giorno, a fatica si  giunge al termine della giornata. Sedendosi sotto il pergolato di kiwi si può godere di un fantastico concerto in home theatre tutto gratuito: nell’assenza totale di ogni altro rumore, gli uccelli, come in una jungla, salutano il calare del sole chiamandosi da un albero all’altro. I suoni ti avvolgono e diventano una canzone  e chiudendo gli occhi non pensi di essere a Monza, forse la città più inquinata della Lombardia e quindi d’Italia, ma in un altro mondo, forse quello di Manet o Van Gogh, dove un’orchestra sta suonando solo per te.

Come ti cambia la vita un contatto diretto con la natura! Ma ora è tempo di tornare a casa. Altre faccende incalzano. Lasci la terra e ti avvii. Gradualmente ritorni nel mondo impazzito e senza senso dove ognuno è rider di se stesso nella stressante e continua corsa verso qualcosa che non trova mai. Ma se tu lasci la terra, è la terra che non ti lascerà mai, e tu questo qualcosa l’hai già trovato.

Gli autori di Vorrei
Francesco Achille
Francesco Achille

È nato a Milano, laureato, ha lavorato presso le principali società del settore impiantistico e cantieristico italiano; attualmente imprenditore in semi pensione, si occupa da sempre di politica, economia e ambiente, è appassionato di letture in genere, di collezionismo, di astronomia, e di agricoltura che pratica, quest’ultima, in un piccolo appezzamento di terreno dove coltiva con amore e sacrifici frutta e verdura biologica.

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