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Scorci dalla vita del prolifico scrittore americano Upton Sinclair,  tra i primi giornalisti investigativi e leaker della storia, l'attualità della sua immensa eredità e qualche ipotesi sui mezzi di informazione che oggi  gli darebbero voce.

 

Era la sera del 27 maggio 1906 quando l’editore del New York Times si trovò tra le mani una scatola piena di materiale scottante. Una quantità di lettere e documenti  raccolti durante una lunga indagine personale di colui che li aveva portati. Per tre ore due stenografi ne trascrissero anche  la testimonianza giurata riguardante in particolare un rapporto commissionato dal presidente Theodore Roosevelt, ma tenuto segreto. Alla una di notte quel materiale scottante si era trasformato in titoloni ed articoli pronti per andare in stampa. Il giorno dopo il New York Times fece probabilmente il suo primo enorme scoop basato, come diremmo oggi, su un leaking.

Mancavano quasi 70 anni ai due più famosi leaking della storia del New York Times e del Washington Post.  Quello dei Pentagon Papers del 1971, sulla guerra del Vietnam, che  Steven Spielberg  ha raccontato nel suo ultimo film "The Post".  E, due anni dopo, quello del caso Watergate, oggetto nel 1976 di “Tutti gli uomini del presidente” di Alan Pakula e nel 2017 di “The silent man” di Peter Landesman, la storia di Mark Felt, la “gola profonda” di  Bob Woodward e Carl Bernstein (rispettivamente Robert Redford e Dustin Hoffman nel film del '76), direttamente responsaile delle dimissioni di Richard Nixon. 

In quella notte del 1906 il leaker era Upton Sinclair, scrittore da pochissimi mesi divenuto famoso in tutto il mondo per il romanzo "La Giungla", fervente socialista e soprattutto muckracker.

Se il termine leaker non ha bisogno di spiegazioni, almeno da quando Julian Assange e Wikileaks lo hanno portato  nel nostro vocabolario ad integrare l’espressione “gola profonda”, generalmente associata all’anonimato, probabilmente così non è per muckraker, la cui coniazione vede direttamente coinvolti Roosevelt, Sinclair e "The Jungle"

I muckrakers e le origini del giornalismo investigativo

Più o meno un mese e mezzo prima di quel leaking, precisamente il 6 aprile 1906, il presidente Theodore Roosevelt aveva tenuto un discorso intitolato “The man with the muck raker”. Personaggio della  seicentesca allegoria religiosa  "The Pilgrim’s Progress" di John Bunyan, l’uomo con il rastrello della sporcizia è il personaggio che, sapendo guardare solo per terra, persevera nel raccattare lo sporco invece di accettare la corona celeste offertagli per premiarlo del suo meritevole lavoro.

Se l’analogia poteva apparire genericamente rivolta ad alcune esagerazioni del giornalismo investigativo, che proprio in quegli anni si stava affermando, il bersaglio preciso di Teddy Roosevelt era Upton Sinclair, per il polverone enorme suscitato da "The Jungle".

Subito dopo quel discorso, muckraker divenne l'appellativo degli autori di pezzi giornalistici, oppure di opere legate ad altre forme espressive, prodotti con lo scopo  di denunciare scandali, corruzioni ed ogni tipo di ingiustizia sociale.

Il periodo era quello della Gilded Age, così denominata dal titolo di un romanzo di una trentina d’anni prima dell’antesignano muckraker Mark Twain. Sotto la facciata dorata dei progressi tecnologici della seconda rivoluzione industriale, che avrebbe reso gli Stati Uniti  la prima potenza mondiale, si erano create, contestualmente ai Vanderbilt, ai Rockefeller, ai Carnegie e agli altri ricchissimi robber barons, enormi masse di schiavitù salariata, in costante inesorabile arrivo dalla vecchia Europa.

Al progressista  Theodore Roosevelt quel capitalismo sfrenato non piaceva per nulla e molto fece durante la sua presidenza per imporre delle regole che lo limitassero. Quindi diverse delle sue idee collimavano con quelle dei grandi muckrakers del tempo e di Upton Sinclair, che ne è considerato il più famoso. Tuttavia la vicenda scatenata da “The Jungle” creò tra i due uomini diversi dissapori, forse più  per scontro tra titani che per serie divergenze. 

 

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Manifesto della versione integrale di "The Jungle", fotografato su una parete di una libreria di Chicago. 

 "The Jungle" e le stockyards di Chicago 

Ritenuto una pietra miliare delle opere in grado di influenzare il corso della storia, "The Jungle" fu apprezzato anche dal giovane giornalista Winston Churchill, che lodò talento di Sinclair, dissentendo da lui solo per l’elogio del socialismo, al quale sono dedicati gli ultimi capitoli, quelli più didascalici, posti ad utopistica conclusione  delle tragiche vicende del protagonista Jurgis Rudkus. 

Raccontata  con stile naturalistico e principi deterministici  alla Emile Zola, la storia  di Jurgis e della sua famiglia, arrivati a Chicago dalla Lituania con la certezza che onestà e voglia di lavorare avrebbero realizzato il loro sogno americano, può apparire  inverosimile per l’accanimento  con cui una tale quantità di catastrofi si concentra su un’unica famiglia. Tuttavia i contesti in cui le tragedie sono inserite denunciano la realtà delle disumane condizioni di vita degli immigrati e delle classi operaie che affollavano le giungle dei quartieri più poveri di Chicago, così come delle grandi città industrializzate. 

L’intento di Sinclair era quello suscitare la pietà dei lettori e, attraverso  quella, sviluppare una coscienza di classe, primo passo per attuare un cambiamento rivoluzionario.  Per sua stessa ammissione Sinclair aspirava a fare della sua giungla  «La capanna dello zio Tom del movimento operaio». Come  una cinquantina di anni prima aveva fatto il romanzo di Harriet Beecher Stowe, salutata dal presidente Abraham Lincoln con le parole «la piccola grande donna che ha scatenato la guerra civile», Sinclair voleva che il suo libro desse il via ad una rivoluzione adeguata ai temi del tempo. 

Ma qualcosa deviò il percorso e il responsabile di quella deviazione, che portò alle vicende che coinvolsero Teddy Roosevelt, il New York Times, l’opinione pubblica ed infine anche il Congresso degli Stati Uniti, fu proprio Sinclair stesso, con una trentina delle circa trecento pagine del romanzo. Quelle in cui descriveva le stockyards di Chicago, l’industria dei macelli e della carne più grande degli Usa, che sarà anche alla base di "Santa Giovanna dei Macelli" di Bertold Brecht, dove Jurgis trova lavoro. 

I dettagli delle condizioni igienico sanitarie dell’ambiente, degli operai e degli animali e quelli della varietà di corpi estranei che finivano prima nelle macchine macinatrici e poi nelle salsicce e nelle scatole di carne, rendono quelle pagine tra le più pulp mai scritte. 

 

 20191702 1971 Chicago Stockyards Gate

 Una foto di Richard Nickel scattata nel 1971 quando le stockyards vennero abbattute. Ciò che ancora rimane è il portale d'ingresso. Quest'immagine è stata presa all'interno del Cultural Center di Chicago. 

Ci era stato nelle stockyards, Upton Sinclair, nel 1904, prima di cominciare il romanzo. Aveva passato sei settimane da infiltrato lavorando e vivendo a Packingtown, l’enorme zona di Chicago con le stockyards e i sovraffollati squallidi quartieri delle famiglie operaie, quasi tutte immigrate. Lì non solo aveva visto di persona in che razza di sporcizia si svolgesse il lavoro, di come le carni putride di animali ammalati finissero negli impasti insieme ai topi,  di come gli operai malati di tubercolosi tossissero direttamente sulla carne, di come coloro che subivano incidenti ed amputazioni nell’uso dei macchinari fossero immediatamente licenziati rimanendo privi di tutele...,  ma aveva raccolto lettere, affidavit e documentazioni di ogni tipo.

L’opera narrativa che ne derivò fu dapprima pubblicata integralmente a puntate nel 1905, tranne che per i caitoli conclusivi, sul giornale socialista Appeal to Reason.  Fu tuttavia con l’uscita del romanzo, epurato di alcune delle parti più sconvolgenti,  nel febbraio 1906,  che si scatenarono  le incontenibili proteste della gente. Le ristampe, mai interrotte da allora,  furono immediate e il libro venne presto tradotto in una quindicina di lingue, diventando un caso mondiale. Infuriata con l’industria della carne e preoccupatissima per la propria salute, la gente chiedeva a gran voce l’intervento del governo. A Roosevelt arrivavano almeno un centinaio di lettere al giorno, oltre ai telegrammi che gli mandava Sinclair per sollecitarlo all’azione. 

Il caso Sinclair-Roosevelt e le leggi approvate grazie a "The Jungle"

Il tira-e-molla tra Sinclair e Roosevelt ebbe inizio quasi subito dopo la pubblicazione del libro, come racconta "Radical Innocent" del professor Anthony Arthur, l’appassionante biografia di Upton Sinclair uscita nel 2006 in occasione del centenario della pubblicazione di "The Jungle". 

 

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Copertina di "Radical Innocent" , l'appassionante biografia scritta nel 2006 dal professor Anthony Arthur, scomparso nel 2009.


Qualche giorno dopo  un primo apparentemente cordiale incontro alla Casa Bianca, dove Sinclair si reca invitato a pranzo da Roosevelt, il presidente pronuncia il discorso del muckraker. Non si fida di Sinclair, ha l’impressione che sia un fanfarone e che abbia infilato un po’ di verità in mezzo ad un mucchio di bugie.

Ma Roosevelt non si fida nemmeno dell’industria della carne, la più estesa a livello nazionale, e mondiale, né del Dipartimento dell’Agricoltura, a cui commissiona una prima indagine. Talpe governative tempestivamente avvisano chi di dovere che ci saranno ispezioni, nelle stockyard in fretta e furia si cerca di fare pulizia e la relazione smentisce la maggior parte delle affermazioni di Sinclair.  Roosevelt però non ci casca, sa bene che  corruzione ed interessi dominano anche in quel settore ed è deciso ad agire. Tuttavia si prende del tempo perché non vuole  mandare all’aria l’economia senza prove certe. 

Dà pertanto un nuovo incarico a due fidati ispettori del lavoro,  Charles Neill e James Reynolds, che gli fanno un rapporto orale dettagliato, il quale attesta la  veridicità delle descrizioni di Sinclair, ma che Roosevelt,  almeno momentaneamente, non fa trascrivere e tiene per sé. 

Intanto Sinclair, convinto che Roosevelt stia temporeggiando troppo, che non stia facendo abbastanza per costringere il Congresso a passare nuove leggi, ed oltretutto irritato perché Roosevelt  gli manda a dire «di tornare a casa e di lasciargli fare il presidente almeno per un po’ », decide di agire per conto suo. Entra in contatto con  Neill e Reynolds, desiderosi di divulgare gli esiti delle loro indagini, e va al New York Times

"Telegrafate a Roosevelt e chiedetegli del rapporto Neill-Reynolds", "Sinclair fornisce le prove della frode del trust della carne",  sono solo un paio dei titoli del New York Times del 7 aprile, che rimbalzano immediatamente in tutto il mondo. Il giorno successivo il giornale riporta anche la voce diretta di  Sinclair, forse dispiaciuto per aver esagerato nel mettere Roosevelt in cattiva luce:

«Non credo che il presidente Roosevelt abbia fatto un accordo per non rendere  pubblico il rapporto di Neill e Reynolds, tuttavia gli industriali della carne e i loro rappresentanti stanno cercando di fargli credere che lo abbia fatto.»

E’ la goccia risolutiva. Roosevelt ordina che il rapporto orale dei due commissari sia messo sulla sua scrivania per iscritto entro 48 ore. Il Congresso si mette a lavorare e il 30 giugno il presidente firma due leggi. Una  è il Meat Inspection Act, che regolamenta le condizioni sanitarie delle industrie alimentari e regolari ispezioni governative.  L’altro è il Pure Food and Drug Act (diventato nel 1930 l’ancora attuale Food and Drug Adminitration), che proibisce il commercio di cibo adulterato e impone l’etichettatura degli ingredienti sui prodotti alimentari e medicinali.

A dispetto del credito unanimemente riconosciuto al muckraker Upton Sinclair, Teddy Roosevelt però non lo cita neppure.  Sarà Lyndon B. Johnson nel 1967 a dare a Sinclair il riconoscimento ufficiale dei suoi meriti, invitandolo alla Casa Bianca per assistere alla firma di un'ulteriore legge sulla tutela alimentare. 

 

 L'eredità e l'attualità di Upton Sinclair

L’anno dopo quel riconoscimento, Upton Sinclair  muore a 90 anni, lasciando ai posteri un’infinità di articoli e una novantina di libri.  Tra di essi  "Oil!" (Petrolio!) del 1926, da cui Paul Thomas Anderson nel 2007 ha tratto il film "Il Petroliere"  ("There will be blood"); il  Premio Pulitzer 1943 "Dragon’s Teeth" (I denti del drago),  sull'ascesa del fascismo e terzo di una saga di undici romanzi storici incentrati sulla vita del personaggio Lanny  Budd;  il dramma "Cicero: A Tragedy in Ancient Rome" (1960), sull'oratore romano Cicerone che, come racconta il professor Arthur,  Albert Camus avrebbe messo in scena se non fosse morto in un incidente automobilistico nello stesso anno.

L'impegno sociale e politico che ispirò tutta la vita di Sinclair si tradusse anche, in alcune fasi della sua vita, in corse per cariche politiche. La più celebre è quella del 1934, nel pieno della Grande Depressione, quando condusse la "EPIC Campaign" (Eliminate Poverty In California) per diventare governatore di quello stato. Pur vincendo le primarie democratiche,  le posizioni intransigenti, i contrasti con numerose categorie e  le riforme rivoluzionarie che voleva attuare gli impedirono di conquistare la carica. Ma soprattutto glielo impedirono il mancato appoggio di Franklyn Delano Roosevelt, che impaurito di perdere troppi consensi nel partito democratico  preferì scendere a patti con i repubblicani, la propaganda negativa dei falsi cinegiornali  della Metro Goldwyn Mayer fatti girare dal suo tycoon, nonché capo del partito repubblicano californiano, Louis B. Mayer e l'enorme  ostilità della stampa che lo ignorava tranne quando ne parlava male. 

Voleva riformarla la stampa americana, Upton Sinclair.  La voleva libera, autonoma da ingerenze  finanziarie e politiche, cane da guardia del potere al servizio della gente. Proprio come, oggi più che mai, vorrebbero un'informazione libera alcuni personaggi politici ed alcuni intellettuali che i media mainstream americani boicottano, ignorano o bandiscono. Come fanno con Noam Choimsky.

E allora, pensando ad Upton Sinclair, vien da chiedersi quanti dei media  mainstream lo ospiterebbero oggi per parlare degli scandali della Food and Drug Administration, l'erede della sua creatura del 1906, in cui la corruzione dilaga a tutti i livelli e le regole sono dettate dalle grosse corporation in una gestione che tra  i suoi criteri regolatori non contempla la trasparenza. 

Chissà se la CNN dedicherebbe ad Upton Sinclair quell’ora gratuita di town hall concessa a Kamala Harris, la neo-candidata 2020 che ha gli stessi finanziatori della rete e che in diretta in prima serata ha promesso riforme "sandersiane", perché  sa che la maggior parte della gente le vuole, salvo ritrattare fuori onda nel giro di 24 ore. Oppure come quell'altra ora regalata al Mr. Starbucks Howard Schultz  che, senza uno straccio di programma, ha "minacciato "di correre da indipendente se il Partito Democratico dovesse spostarsi troppo a sinistra, in modo da spaccare i democratici e spianare la strada ad un Trump 2.

Chissà da quale parte starebbe oggi Upton Sinclair sulla questione Amazon, dopo la recente  rinuncia di Jeff Bezos a fare di New York la sede del suo secondo quartier generale, nonostante i tre miliardi di dollari di agevolazioni fiscali che aveva preteso ed ottenuto. 

Chissà se i ricchi giornalisti dei media mainstream, quelli che lamentano la sciagurata perdita delle  migliaia di posti di lavoro che Amazon avrebbe portato in città, lo inviterebbero ai loro programmi per chiedergli la sua opinione.

Chissà perché, l’impressione è che ad ospitare Upton Sinclair sarebbe piuttosto quell’informazione indipendente libera ed autonoma che, riprendendo le sue idee, vorrebbe il potere del denaro fuori dal giornalismo. Quell’informazione generalmente gestita con pochi mezzi ma con muckrakers di razza, come quelli che fin dall’inizio delle trattative tra Bezos e New York si sono messi ad indagare, scoprendo che la maggior parte degli impiegati non sarebbe stata newyorkese, che le affiliazioni  sindacali sarebbero state vietate,  che agli imprenditori e speculatori edili brillavano gli occhi per un’ennesima gentrificazione…

Gli autori di Vorrei
Elisabetta Raimondi
Elisabetta Raimondi
Disegnatrice, decoratrice di mobili e tessuti, pittrice, newdada-collagista, scrittrice e drammaturga, attrice e regista teatrale, ufficio stampa e fotografa di scena nei primi anni del Teatro Binario 7 e, da un anno, redattrice di Vorrei.
Ma soprattutto insegnante. Da quasi quarant’anni docente di inglese nella scuola pubblica. Ho fondato insieme ad ex-alunni di diverse età l’Associazione Culturale Senzaspazio.

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