20151026 20 sironi cina

Tra megalopoli di provincia e villaggi di campagna,  due immagini che raccontano il Gigante e i suoi contrasti.

Siamo venuti quaggiù a vedere cosa si trova nella pancia del paese più discusso del momento. Uno stato impero che, per trent’anni di fila, ad ogni giro di calendario, ha accresciuto di 8-10 punti percentuali  il suo PIL e che sta cambiando sospinto da un vento di furia.

In fondo alla campagna, a chilometri di curve, risaie e foreste, dai grandi agglomerati urbani, sorge un mondo contadino orfano delle comuni maoiste e mai adottato da altri. Il reddito medio di un agricoltore da quelle parti si aggira intorno ai 100 euro annui: si vive in  autosussistenza, coltivando la terra sotto grandi nubi di vapore tropicale.

Le agglomerazioni urbane, che spesso superano numeri  milionari, sono carie che avanzano velocissime sotto il cielo pallido, tra fiumi di fango e rifiuti. Avanzano dietro le macerie dei vecchi quartieri, rasi al suolo dal regime per preparare lo spazio ai nuovi domino di palazzi in vetro e cemento, le torri  che ospiteranno i consumatori di domani.

Dal niente al poco è già un passo avanti, e per molti un passo avanti può bastare.

Bisogna comprendere l’equazione presente sui tavoli del Partito Comunista Cinese per capire la logica che domina i  singoli sommovimenti: urbanizzare la più grande quantità possibile di cittadini, strappandoli al misero regime di sussistenza delle campagne e trasformandoli così in moderni consumatori. Inserire le persone nel circuito dei desideri sottraendole a un modo di vivere basato su una disciplina  e una sobrietà sviluppate nei secoli. La grande crescita della Cina di questi anni va tributata in particolare all’aumento della domanda interna di beni e servizi.

Girano i primi soldi, la gente è contenta, non bada alle trasformazioni anche se queste possono  essere violente”, ci dice una ragazza di Guilin, che studia a Genova da qualche anno e torna in patria solo d’estate  “a far vacanza”.

Già, i sogni sono  a portata di mano. Dal niente al poco è già un passo avanti, e per molti un passo avanti può bastare.

Per comprendere meglio queste dinamiche ci siamo spinti in tanti luoghi diversi e qui ve ne racconto due “riassuntivi”, che incarnano e intrecciano immagini lontane tra loro, eppure  così presenti percorrendo il Paese in lunghe ore di treno. 

 

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Yichang e la diga delle Tre Gole

Camminiamo sotto un cielo albuminoso, cade giù in forma di nebbia lungo l'immenso scorrere dello Yangtze, il Fiume Azzurro; uno dei più lunghi e importanti al mondo. La visibilità non supera i cento metri, i palazzi sull'altra sponda svaniscono nei fumi.  Acque colore del fango scorrono lente e silenziose, cariche di rifiuti e solcate da grandi chiatte, barconi con roboanti motori diesel che  trasportano carbone su e giù per l'asse del fiume. Intorno al suo gigantesco protagonista la città s'innalza con i suoi moderni profili in vetro e cemento: nuovi palazzoni, insegne, ponti avvenieristici, fanno contrasto con vecchietti sui risciò che trasportano cataste di rifiuti raccolti tra la strada e i cassonetti.  I loro trabiccoli avanzano ingombranti sulla strada a quattro corsie,  ormai fuori dal tempo, bolle di una Cina che qui, almeno qui, si sta estinguendo.

Yichang, quattro milioni e mezzo di abitanti, è un importante porto fluviale sul fiume Azzurro, nodale  centro di distribuzione di merci nel cuore della Cina delle 18 province, città famosa ai più come luogo vicino al quale è sorta ormai più di dieci anni fa la diga delle Tre Gole.

Siamo nella regione dell'Hubei una delle più industrializzate e popolose della Cina, da qui a Chong Qing si stendono città che tutte insieme formano uno dei più grandi agglomerati urbani del mondo con i suoi 35 milioni di abitanti.

La stazione è posizionata a una ventina di chilometri dall'attuale centro, sembra un aeroporto. Ci si chiede appena usciti se la posizione indichi il punto di arrivo dell'area urbanizzata di domani. Spostandosi in taxi dalla stazione al centro, la città è anticipata da una grande distesa di macerie: sono i vecchi quartieri abbattuti e sulle cui ceneri stanno sorgendo e sorgeranno stecche di nuovi grattacieli. Spostandosi verso il centro non si ha la percezione di cambiamento. L'area urbana sembra un enorme bolla residenziale senza distinzioni: il centro non può essere riconosciuto per le sue funzioni, ma solo stabilito geometricamente.

Pechino, Shangai, nell'urbanistica cinese, sono storia a parte.

E' questa una caratteristica che accomuna le grandi e grandissime agglomerazioni della provincia cinese, quella lontana dalla ribalta turistica e dagli impulsi all'internazionalizzazione; Pechino, Shangai, nell'urbanistica cinese, sono storia a parte.

A Yichang ci sono alcuni shopping mall sullo stile occidentale e con prodotti occidentali, ma il pubblico che vi può accedere è ancora limitato e anche nei week end i loro corridoi restano semivuoti.

Addentrandoci per le vie più vecchie nel cuore della città, le poche rimaste, si viene catapultati in un altro mondo, credo non molto diverso da quello della Cina di qualche decennio fa.

In mezzo ai vicoli scopriamo un microcosmo tradizionale nei meandri di una città che urla modernità ormai da ogni muro. Sono rimaste incastonate nell'incubo urbano alcune parti dei vecchi hutong. Vie strette e malconce brulicanti di negozi ricavati in spazi angusti: carni appese a grandi ganci neri di ferro, pesci sbattuti per terra sull'asfalto, griglie che affumicano carne e grandi ventilatori che allontanano il fumo. Non è giorno di mercato, questa Cina vive così, di piccolo commercio, prosegue gli stili di vita di ieri in una città che cambia tutta intorno. Basta alzare gli occhi e sopra il piccolo vicolo campeggiano le inquietanti ombre delle nuove torri di cemento.

Nei giorni successivi cerchiamo un modo per raggiungere la diga e poi risalire il fiume Azzurro fino alle Tre Gole. L'unico modo è acquistare un pacchetto turistico di due giornate. Pacchetti turistici destinati al solo pubblico cinese: noi siamo gli unici stranieri a bordo.

Per costruire la famosa diga - oggi militarizzata come fosse un deposito di testate nucleari - e il suo bacino d'invaso sono stati sommersi 1300 siti archeologici, 140 paesi, 1300 villaggi,  per un totale di un milione e mezzo di persone spostate in modo coatto. Oggi il colosso alto quasi duecento metri è l'impianto idroelettrico con maggiore capacità di produzione del pianeta, fornisce il 3% dell'energia elettrica consumata in Cina. A Pechino prevedono entro il 2023 di potenziare ulteriormente le capacità produttive del sito spostando a forza altri quattro milioni di abitanti. Già oggi la creazione di un bacino di invaso grande come l'intera Inghilterra ha fatto abbassare a monte il livello del fiume di più di una quindicina di metri. Navigando, sulle pareti di roccia, si scorge evidente il segno del livello delle acque precedente al 2006, anno di attivazione dell'impianto.

Questa è la Cina di oggi, un gigante che muove numeri da capogiro, per noi difficilmente comprensibili e un po' inquietanti.

 

02 sironi cina

 

Xiaoqui  - Remoti villaggi di campagna

Cerchiamo di fare i biglietti e saltare su un furgone diretto verso le montagne, a 200 km dal grande centro urbano tutto industrie, caseggiati e cantieri in costruzione.
Chiediamo informazioni a una ragazza che ci pare possa parlare inglese. La giovane, pur non parlando altro che cinese e dimostrando enorme gentilezza, entra nell’autostazione e ci guida nell’acquisto dei biglietti per Wu Yuan, altra cittadina senz'arte ne parte, da cui dovremo poi prendere una seconda corsa per Xiaoqi, il piccolo remoto villaggio in mezzo alla campagna in cui vorremmo andare a vedere come vive l'altra Cina (quella in cui abita ancora più della metà dei cinesi).

Ci assiste, si assicura che i biglietti siano corretti, ci dice dove aspettare. Poi scappa a rincorrere il suo pullman, che forse nel frattempo è partito. Non sappiamo come sdebitarci.

La Cina è un paese enorme, lo si capisce meglio dalle alte curve che percorriamo nella strada che sale tra le colline. Il paesaggio verdissimo e vuoto, che si stende sotto il cielo,  scopre pian piano una Cina che a Shanghai si crede perduta, quella delle risaie, delle zattere di legno, dei piccoli sentieri di posta. Per duecento chilometri non troviamo altro.

 

Arrivati dopo diverse ore di furgone nel piccolo abitato cerchiamo di spiegare le nostre non semplici intenzioni agli astanti. Vorremmo andare a piedi per villaggi e necessiteremmo di indicazioni, riferimenti, dritte, qualsiasi cosa utile a disposizione insomma. L’argomento accende i presenti e ognuno dice la sua. Come sempre, l’arrivo dell’occidente diviene un affare di stato e tutta la comunità si stringe attorno ai poverini capitati nella terra del dragone. Qualcuno ci offre passaggi in motocarro, qualcuno con la mano fa segno che siamo matti, si azzuffano tra di loro, concordano assemblearmente che no, piuttosto che camminare, sia meglio chiamare un taxi.  Lasciamo perdere i consigli, ci arrangeremo da soli.

L'unica ragazzina del luogo che conosce qualche parola in inglese – studia in città, ma è tornata al villaggio per le vacanze – ci fa intuire che se intendiamo trascorrere la notte a Xiaoquì, i suoi genitori possono ospitarci.


Seguiamo la gonna rosa confetto della nostra nuova proprietaria di casa per le vie del piccolo villaggio, un drappello di casa bianche, in parte diroccate e in parte risistemate. In mezzo alle case spuntano qua e là vecchie architetture, fasti di un passato in cui la Cina somigliava ben di più a quella raffigurata sulle sue fascinose stampe, segni che altrove stanno letteralmente scomparendo, inghiottiti dalla modernizzazione.

Il lento scorrere del fiume fa da colonna vertebrale al paese e innerva la vita della comunità.

Ci addentriamo tra le case: un ponticello, un porticato in bambù, riso e sesamo su ampi setacci ad essiccare, galline in ogni dove.

Il lento scorrere del fiume fa da colonna vertebrale al paese e innerva la vita della comunità. Gente che lava i panni, altri la frutta, pescatori, bambini che sguazzano.
Dietro le case, il fiume prosegue il suo corso dentro una valletta tropicale accompagnato da una florida campagna, a fiancheggiarlo un'antica via postale che collega tra loro vari villaggi.

Giunti alla casa, sotto un secolare albero di canfora, conosciamo i genitori della ragazzina, che accettano di buon grado di ospitarci. La madre ci apre una stanza di casa e prepara i letti, mentre la figlia chiede se vogliamo cenare con loro. “Certamente”.

Uscendo la sera a far due passi prima di cena il sole è ormai basso. La sua luce affogata nell’umido tropicale riempie tutto di riflessi dorati. Per le strade del villaggio, alle 18, sono già tutti in cerchio, seduti per terra o su piccoli sgabelli, con la loro ciotola di riso tra le mani. Il clima è povero, ma dignitoso. Ci salutano tutti cordialmente. I bambini alla vista degli strani esseri occidentali sghignazzano e si nascondono.

Ci addentriamo in campagna seguendo il sentierino. Ci avvolge l'aroma caldo e intenso delle piante di riso, una delle cose che più ci impressiona nella nostra visita.
Sopra le risaie luccicano illuminate dall’ultimo sole le ali di mille libellule, mai viste così tante in un posto solo. Accompagnano il nostro cammino e offrono un gran servizio: non c’è ombra di zanzare.

Intorno, dai versanti boscosi delle colline, su cui si mischiano, in uno strano mix, bambù, alberi di canfora, querce e abeti, ci raggiunge un paesaggio sonoro tropicale, ben diverso dai cinguettii a cui siamo soliti nelle nostre campagne.

Al fiume la vita è placida, una ragazza accompagnata dalla sorellina raccoglie lumache dal greto fangoso, zattere di bambù stanno ormeggiate poco più avanti. Cappelli di paglia, come piccoli tetti di pagode, spuntano qua e là nelle risaie, presi a ultimare i lavori serali, testimoni di una agricoltura che usa ancora le braccia. Linee semplici. Sembran davvero i paesaggi delle antiche stampe.

In fondo alla campagna, invece, stanno cumuli di rifiuti che vengono inceneriti e i cui resti vengono buttati nel fiume, gli scarichi fognari  allo stesso modo confluiscono nel corso d'acqua, lo stesso in cui la gente del posto pesca e si lava.

Mentre osserviamo queste cose pensiamo alla cena che consumeremo a breve, con verdure lavate in quelle acque lì; e che i grandi dei del viaggio ci siano favorevoli. Però siamo contenti, volevamo un posto così per poter trovare l’altra Cina,  quella non ancora interessata dalle trasformazioni del mercato, quella che vive senza aspettarsi attenzioni e turisti. Un posto semplice, un po’ più vicino a quel che è stato.

alla ricerca del senso delle trasformazioni che viviamo, del cambiamento.

Arrivare qui ha importanza, ricompone il senso di un viaggio che per me è quotidiano: quello alla ricerca del senso delle trasformazioni che viviamo, del cambiamento.

Mi guardo intorno mentre il sole cala sulle risaie: ortaggi, galline, attrezzi da lavoro: stessi ingredienti; non veniamo da posti molto diversi, molti elementi che mi vedo attorno erano nella vita dei miei nonni, in Brianza, meno di un secolo fa.

In questi giorni di viaggio, continuo a pensare all'Italia degli anni '60 e ad accostare esperienze diverse, ma in cui mi sembra di riconoscere qualche importante punto in comune. Riassumerei questi punti dentro il termine “modernizzazione senza sviluppo”. Si dimenticano in fretta tradizioni, saperi, valori, le culture del fiume e delle radici, per avere  soldi e cose in più.

Le lucciole di pasoliniana memoria stanno scomparendo qui come si erano spente nelle campagne italiane. Noi su questa  strada siamo solo più avanti, loro sono lanciati al nostro inseguimento.

Essere qui – ed è una sensazione che mi ha accompagnato in modo ricorrente in questi giorni cinesi - significa registrare qualcosa che scomparirà in un tempo che non saprei calcolare, di certo non lungo. La furia trasformatrice che sale dalle pianure è fortissima; e anche se non si vede ancora, si sente anche qui: i più giovani vogliono andare via, vogliono recidere il legame con il luogo.

 

Gli autori di Vorrei
Alfio Sironi

Mi occupo di tematiche geografiche dentro e fuori la scuola.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.