20150917 arminio ritratto da mario dondero

Intervista all'inventore del festival “La luna e i calanchi” di Aliano. Oscillando tra visioni poetiche e descrizioni della desolazione, attraversa il Meridione, tra paesi che cambiano travolti dalla modernizzazione, asciugati dallo spopolamento o afflitti dai localismi.

 

Franco Arminio è nato a Bisaccia in Irpinia, nel 1960. Scrittore di luoghi, in particolare dei luoghi del sud, negli ultimi anni si è fatto conoscere al pubblico soprattutto come “paesologo”. Malinconico e riflessivo, attentissimo ai particolari, Arminio nei suoi testi, oscillando tra visioni poetiche e descrizioni della desolazione, attraversa il Meridione, tra paesi che cambiano travolti dalla modernizzazione, asciugati dallo spopolamento o afflitti dai localismi.

Nei seminari di paesologia, che ora tiene in tutta la penisola,  parla spesso di “fecondità del margine”, “turismo della clemenza”, “rapporto con la dimensione arcaica”, in una visione che spinge l'uomo a cercare un nuovo modo di incontrare la terra.  Collabora con Il Fatto Quotidiano e Il Manifesto e molte sono le iniziative paesologiche messe in cantiere nei e per i territori di quello che lui chiama “Mediterraneo Interiore”.

A Trevico (AV) ha fondato la Casa della Paesologia e ad Aliano (MT) organizza, sugli stessi temi, da due anni il festival “La luna e i calanchi”.

Nel non vasto mondo della geografia italiana si parla da tempo, e con giudizi molto diversi, di Arminio e, quando io e Fausta - un docente  e una laureanda sulla via della geografia - abbiamo saputo che  sarebbe stato ospite di un convegno su “Sviluppo locale e futuro dei territori” presso la Fondazione Mattei di Milano, abbiamo voluto incontrarlo per saperne di più.

 

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Stazione Centrale, prima del  treno di ritorno verso sud. Ci accomodiamo su una panca nell'atrio della stazione, “un luogo adatto” dice lui. Conversiamo, in mezzo al via vai, per un'ora abbondante.

La prima domanda che si può porre chi non la conosce è inerente il termine “Paesologia”. Di cosa si tratta?
La paesologia è una forma di attenzione ai luoghi. I saperi ottocenteschi e novecenteschi sono nati e cresciuti nel panorama culturale della rivoluzione industriale e non dicono più granché. Oggi passiamo dalla “coscienza di classe” alla “coscienza di luogo”. Il luogo indagato per mezzo del nostro corpo, della nostra emozione, qualcosa che supera le divisioni di quelle discipline, uno sguardo che va oltre. Lo sguardo della poesia. I saperi che sono universali si scontrano con la poesia, che è sguardo sul dettaglio, sull'eccezione.

«Mediterraneo interiore
Concedetevi una vacanza

intorno a un filo d'erba,

dove non c'è il troppo di ogni cosa,

dove il poco ancora ti festeggia

con il pane e la luce,

con la muta lussuria di una rosa.»[1]

  Il paesologo quindi cosa fa?
Il paesologo attraversa, cammina sul confine tra dentro e fuori, le comunità, i paesi, e restituisce la sua esperienza intima con i luoghi attraverso il racconto. 

Raccontare a cosa serve?
Raccontare può servire a svelare attraverso la propria sensibilità una parte nascosta del luogo, a ridare vita, a illuminare con luce diversa. Serve in ogni territorio qualcuno che si prenda cura del raccontare, si prenda la briga di rielaborare in forma scritta, di dare forma all'esperienza del luogo attraverso la scrittura. Sono spesso invitato a convegni, si parla di luoghi e dinamiche territoriali sempre con distaccata razionalità, come se parlassimo di ingranaggi; i professori e i politici sono tanto grigi perché  tendono a restituire astrazioni, idee lontane dalla vita. Il paesologo dovrebbe andare nell'altra direzione. C'è un grande lavoro culturale da fare in questo senso.

Lo fate alla Casa della Paesologia di Trevico?
La Casa della Paesologia è un luogo in cui condividere, dove unire poesia e politica; si discute e ci si confronta su questi argomenti, si coltivano idee e progetti, ma facendosi compagnia con la letteratura, la musica, il canto, il convivio. Una militanza lieta.

Quest'estate camminando a lungo negli Appennini continuavo a pendolare tra momenti di stupore, davanti alla bellezza dei paesaggi umani e naturali, e  pensieri sinistri circa le sorti di abbandono a cui quelle stesse terre vanno incontro. Lei abita e opera nell'Italia interiore, che futuro vede?
I processi del territorio sono contraddittori, non sono mai lineari, di facile lettura. Paradossalmente siamo davanti a un paesaggio che si ammala e rinasce contemporaneamente. Lo sviluppo mancato del sud Italia nei prossimi anni potrebbe diventare una ricchezza. Si legge nell'aria una nuova ricerca del mitico, dell'arcaico, di un nuovo modo di incontrare la terra. Nel nostro Paese l'arcaico si è conservato meglio che altrove, sarà terreno fertile per il domani. L'ho detto spesso  a titolo d'esempio: il fatto che a Matera non arrivi l'autostrada è un punto di forza. La scelta della città come prossima Capitale europea della cultura non è un caso. In essa c'è un'alterità, un senso di esotico a noi prossimo, che oggi la rende attraente.

 

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«Matera o l’estetica della povertà: senza pena la bellezza non ha viso. Qui non ci sono case sparse, tutto è connesso e intrecciato. Città soffiata dall’interno, città scultura in cui volumi di spazio e di terra si alternano e si equilibrano mirabilmente. Natura e architettura, più natura che architettura, città un tempo più abitata che costruita. Architettura scavata,
 costruzioni fondate sul levare piuttosto che sull’aggiungere. Intimamente poetiche, dunque. Le case sono fiori di pietra. Case piccole come cellette d’api. Cristalli di tufo. Una trepida ragnatela sassosa dove stavano uomini e animali a combattere col loro fiato contro l’umidità che veniva da sotto. Paesaggio di rughe e pieghe, fumi e fango d’inverno e creta d’estate, creta e polvere, crepacci, letame. Ora senza il fumo, senza i liquami della storia, il tufo appare lindo, privato della patina che il tempo e i suoi abitanti gli avevano calato addosso. Paraboliche e panni stesi.
Ci sono i segni di ieri e quelli di oggi. L’antenna e il lenzuolo. Città d’Oriente, bizantina, anatolica. Città ipnotica in cui circola un’atmosfera antica nella quale ancora un po’ si può guarire andando dietro il paesaggio, disonorando la civiltà dell’impazienza.»[2]

 

Nei suoi testi cita spesso Manlio Rossi Doria. Ci dice qualche buon motivo per tornare a leggere i suoi scritti?
A Rossi Doria sono legato da ricordi familiari, anzitutto: era spesso ospite all'osteria di mio padre. Aveva intuito con grande anticipo l'importanza della terra. Era un agronomo, credeva che solo la competenza e la conoscenza del territorio potessero produrre progetti e risultati sensati. Immaginava lo sviluppo di una industria agraria meridionale, ma le sue idee all'interno del Partito Socialista - di cui faceva parte - rimasero inascoltate: calarono le iniziative industriali dal nord e fecero la fine che sappiamo. Era inoltre un intellettuale innovativo: aveva studiato in America, ma scelto di operare e lavorare nella sua terra di origine, in lui c'era già commistione tra sguardo globale e azione locale.

«Continuo a lavorare nel Mezzogiorno, convinto come sono che l’unica cosa che conta è lavorare sodo attorno ai problemi concreti, riuscendo a realizzare di mano in mano quel poco che si può, cercando di accumulare esperienze e capacità effettive, per quanto dovesse servire e per quanto si potesse fare qualcosa di importante che cambi un poco seriamente la faccia di una realtà che dura sempre uguale a se stessa»[3]

E oggi qual è il rapporto tra politica e territorio?
Oggi la politica è ancora ferma sulle sue concezioni industriali, novecentesche, con la crescita economica come dogma. A livello alto non percepisce il cambiamento sotto i suoi piedi, in basso è infiammata dai localismi. Dovremmo unire poesia e politica, lo sguardo delle regole con le regole dello sguardo. A mio modo ci tento. L'aver steso la bozza di strategia della Montagna Materana, area pilota del più ampio progetto per il Sud guidato da Fabrizio Barca, è solo l'ultima delle azioni in questo senso.

Questi giorni al nord invece che effetto le hanno fatto?
Sono stato  a Piero, una frazione del comune di Curiglia con Monteviasco, in provincia di Varese. Un nucleo rurale di montagna dove abitano 16 persone. Un paese morto negli anni '80 che ora, grazie in particolare a due aziende che producono formaggi, è tornato a vivere. Anche qui ritorni alla terra.
Non mi ero mai commosso in Lombardia, non è una regione che definirei commovente, mi è successo per la prima volta lì. Voglio tornare più spesso al nord, conoscerlo meglio, e soprattutto conoscere persone con cui cucire una rete possibile. Da sud a nord, abbiamo bisogno di paesologia, di geografi, narratori, contadini, poeti, che uniscano le loro forze per riportare l'attenzione sulla terra e i territori. La rivista che Vorrei, di cui mi avete raccontato, è un bellissimo progetto, se colleghiamo tra loro queste iniziative ne moltiplichiamo gli effetti, diamo visibilità a queste tematiche.

Mi pare di capire che esprima un certo ottimismo per il futuro...
Oscillo ogni giorno tra ottimismo e disillusione. Sono tempi in cui siamo sottoposti a troppi stimoli, si cambia umore velocemente. Ma giro per l'Italia e incontro tante persone attive, tanti progetti in cui c'è voglia di costruire alternative sane. Sento, come dicevo, una diffusa esigenza di un rapporto diverso con la natura, si manifesta in tanti modi diversi, mi dà speranza. Probabilmente se fermassimo molte delle persone che stanno andando a prendere il treno in questo momento troveremmo in loro una sensibilità che non ci aspettiamo, anche riguardo a questi temi. C'è bisogno però di qualcuno che le fermi e chieda, che cerchi e coltivi quelle sensibilità. Spesso diciamo “tanto non la penseranno come noi”  e non ci proviamo nemmeno. La rivoluzione parte dall'impegno di ognuno.

 


[1]   Epigrafe in “Geografia commossa dell'Italia interna” edito nel 2013 per Mondadori.
[2]   Passo contenuto in “Geografia commossa dell'Italia interna” edito nel 2013 per Mondadori
[3]   Parole dello stesso Rossi-Doria citato da Arminio in “Un professore nella terra dell'osso” da Il Manifesto - 31 luglio 2012

 

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La foto di apertura è di Mario Dondero. Le altre sono tratte dal sito www.lalunaeicalanchi.it

Gli autori di Vorrei
Alfio Sironi

Mi occupo di tematiche geografiche dentro e fuori la scuola.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.