20150602 siria603

Un racconto. Ahmed era un vigliacco ed era scappato. Aveva corso per chilometri, senza voltarsi indietro nemmeno una volta, aveva oltrepassato campi divorati dalle sterpaglie e paesi deserti, senza incontrare anima viva. Non voleva incrociare lo sguardo di nessun uomo, di nessuna donna.

 

Mentre scavalcava le macerie di una casa, Ahmed si era ferito al piede. Un taglio profondo un centimetro si era aperto tra l'alluce e l'indice sinistro, e del sangue chiaro e molto liquido fuoriusciva in un rigagnolo sottile. Aveva il colore del cielo di Daraa, al tramonto, dopo un giorno di massacro. Le finestre dei palazzi ancora in piedi non avevano più i vetri, e sembravano tante piccole cassette di sicurezza aperte, depredate dei loro tesori, della quotidianità di una famiglia. Ahmed si girò a destra, fissò da sopra la spalla un punto lontano tra le case, ma non vide nessuno. La città sembrava il fondale di un film muto, così grigia e vuota, ma soprattutto piena di un silenzio denso che colava come miele dalle porte sfondate degli edifici distrutti. Una lattina di frutta sciroppata rotolava sospinta dall'alito di un vento ostile. Con le sue tante dita d'aria, penetrava frusciando negli usci socchiusi e in quelli già spalancati dalla violenza dell'esercito di Damasco.

Il vento, pensò Ahmed, era l'unica presenza che gli confermava di essere ancora vivo e reale. Poteva sentirlo mentre gli annodava i capelli impolverati. In poco tempo il sangue smise di scivolare dalla ferita al piede, tutto sommato era poco profonda, e si coagulò insieme alla sabbia in un grumo nerastro. Gli sembrava il colmo, ma due notti prima, mentre dormiva in un rifugio occasionale con alcuni ribelli, al suo risveglio una scarpa, quella sinistra, era sparita. O meglio, gli era stata rubata. Ma perché lasciargliene una e non prenderle entrambe? Gli sembrava una grande presa in giro che aggiungeva un tocco d'irrealtà alla situazione già impensabile che stava vivendo da qualche tempo. Aveva perso il suo campo di pistacchi. La guerriglia, di giorno in giorno più violenta, l'aveva costretto ad abbandonare il fazzoletto di terra che la sua famiglia aveva coltivato per un secolo. Dio solo sa quanto gli mancava. L'odore secco e croccante di quei frutti, il colore vivo di quando si lasciavano estrarre dalla loro conchiglia sottile. Fortunatamente il vento non aveva ancora avuto la possibilità di spazzare via dalla testa di Ahmed anche quelle sensazioni così familiari. Quando il sole gonfio e saturo di ogni violenza soffocava sotto l'orizzonte, e il vento lo accompagnava spegnendosi altrove, Ahmed si ritrovava solo.

Nascosto, al riparo dagli sguardi pericolosi che non l'avrebbero raggiunto, si rincantucciava in un angolo contro il muro freddo e scrostato di qualche negozio crivellato e vuoto. Allora qui apriva il cassetto della sua memoria e, delicatamente, ne estraeva le tinte dei pistacchi, respirava il loro odore di sole e muschio e si lasciava prendere dal sonno. Si sentiva un po' come un cane bagnato, lasciato a se stesso nella sua rassegnazione non del tutto pessimista, né in attesa di un qualcosa di specifico, né temendo l'arrivo di un nemico. Se c'era una cosa che infatti la brezza gli aveva strappato e aveva portato lontano, con sé, era la paura del nemico. L'aveva pensato tante volte e, tutto sommato, era giunto alla conclusione che non sarebbe stato neppure male se qualcuno l'avesse trovato rannicchiato sotto un insegna spenta e rotta e gli avesse rivolto la parola apostrofandolo come bastardo figlio di una troia. E se poi ci avessero pensato i colpi di una mitragliatrice a farlo fuori, a farlo finire in un altro mondo magari migliore di questo, non si sarebbe potuto lamentare. Però questo non era mai accaduto, nessuno sembrava interessarsi a lui. Non stava coi ribelli, non stava con l'esercito. Era una vittima silenziosa di una guerra tra consanguinei, e aveva perso i suoi pistacchi profumatissimi. Con loro, aveva dimenticato sua madre in una stanza con le pareti bianche un po' stropicciate, l'aveva vista l'ultima volta mentre le stavano strappando i capelli, il velo a terra come una carcassa di farfalla. E lei, come urlava! Dalle sue labbra erano piovute maledizioni dal gusto pungente e dall'odore nauseante, insulti plasmati da una rabbia matura al punto giusto. Loro però non si erano più fermati.

Ahmed era un vigliacco ed era scappato. Aveva corso per chilometri, senza voltarsi indietro nemmeno una volta, aveva oltrepassato campi divorati dalle sterpaglie e paesi deserti, senza incontrare anima viva. Non voleva incrociare lo sguardo di nessun uomo, di nessuna donna. La sua vista era diventata il meccanico riflesso di ciò che lo circondava, e i suoi occhi erano specchi. Quello che in realtà vedeva, lo sapeva solo lui, era un oceano bianco come la neve. Un mare placido e piatto, liquoroso, nel quale desiderava annegare. Quella sera, quando la luna spezzata apparve fumigante nel cielo nero che inghiottiva ogni cosa, Ahmed non si accoccolò subito. Rimase in piedi, con una scarpa sì e l'altra no, proprio scalcagnato e sporco, a guardare il buio. Cercò di intingerlo in quella distesa bianca che aveva dentro, come per contaminare il candore che lo lasciava afono. Voleva che una goccia di tenebre cadesse nel suo oceano spandendo il colore scuro con cerchi concentrici sempre più grandi, sempre più flebili, fino ad annegare la sua anima. Da lontano giunse un ululato e il momento si incrinò. Ahmed allora prese tutto se stesso, raccolse i cocci del suo cuore muto, e si sedette con le ginocchia al petto. Appoggiò la testa al muro. Com'era freddo!, disse tra sé, convincendosi che nell'oceano in cui era avvolta la sua anima regnasse quella temperatura glaciale. Poi successe qualcosa di straordinario. Mentre stava portando le mani attorno alle gambe alzandole dal suolo, avvertì un oggetto familiare sul pavimento. Si fermò e rimase immobile per lunghi minuti senza colore. Prese quel che rimaneva del coraggio che la vigliaccheria non gli aveva ancora corroso e strinse tra l'indice e il pollice il sassolino. Una frazione di secondo bastò ad Ahmed per accorgersi che quello che teneva tra le dita non era una minuscola pietra levigata, ma un pistacchio. In mezzo alla devastazione un pistacchio era sopravvissuto, era un baccello di sole che era sfuggito agli sciacalli più disperati. Ahmed lo privò del guscio e depose sulla sua lingua il piccolo frutto rugoso. Non appena i suoi molari lo spezzarono, insieme al gusto si sprigionò in bocca una bolla di gioia enorme, di felicità dimenticata, di vita vera. Fu in quel momento che l'oceano bianco di Ahmed esondò. Non si sa bene dove, perché gli oceani non hanno argini, ma fu proprio così. L'oceano bianco esondò. E Ahmed non riuscì a trattenerlo, non riuscì a trattenere le lacrime.

La foto è tratta da www.beppegrillo.it

lab redazione mondo 300laboratorio di giornalismo dedicato all'intercultura e all'immigrazione sul territorio brianzolo tenuto da Daniele Biella, promosso da Africa 70, Arci Scuotivento, Comune di Monza e Vorrei con il sostegno di Fondazione Monza e Brianza.

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