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E nei corridoi orchestrine di violini a suonare orientali zingaresche. Finché non era accaduto l’irreparabile. Il sottufficiale, marito di Celeste, aveva scritto una seconda cartolina dall’Affrica: “Ti aspetto a Tripoli.”

A quei tempi rubavo le biciclette lasciate fuori dal cancello dei cimiteri perché i derubati, che uscivano dal luogo santo con gli occhi peni di lacrime, credevano che il furto fosse dovuto a interventi celesti, qualche profeta che andava a Sparta o a Persepoli. Amen! Io non andavo tanto lontano ma dovevo fare comunque un bel tratto di strada per essere il mattino presto al mercato di Sant’Angelo lodigiano prima che qualche altro mercante occupasse il mio posto accanto alla fontana. Rubavo comode biciclette da donna, basse di sella e munite di robusti portapacchi con gabbie stipate di galline che dovevano farmi il lusso di sloggiare perché là sistemavo la mia merce: parafulmini, trappole per topi, alari e chiodi di ogni genere, roba da ferramenta. Le galline mi guardavano esterrefatte finché io sparivo pedalando a zig zag, tanto ero carico anche di stufe economiche e vasche da bagno. Quando tornava la padrona, la povera donna impallidiva a vedere che non c’era più la sua bici e si metteva in ginocchio davanti ai polli pregando che le dicessero che fine aveva fatto il suo mezzo. Ma le sciocche pennute giuravano di non sapere niente se non di avere visto un ambulante andar via con la bici rubata imboccando lo stradone per Pavia. Ambulante? Ambulante un corno. Io scrivo libri nonostante sia ridotto a battere i mercati per vendere roba metallica, tutta merce di prima scelta come sono di primissima mano i miei libri che svelano ciò  che accade dopo che siamo morti. Credete che sia facile scrivere libri del genere? Me li sogno di notte quando sto raggomitolato nel letto russando come mi pare e piace ed improvvisamente nel mio sonno si accende una luce. Mi sveglio con i capelli ritti e davanti a me c’è un Arcangelo che mi guarda fisso e con il dito puntato esige che io non apra bocca ma stia lì, con le mani giunte, ad ascoltare lui che parla e specifica che nell’aldilà non piove mai. “Come non piove mai?” “Non piove mai!” Non voglio dire altro. Chi vuole saperne di più comperi i miei libri. Un libro dieci soldi, per due libri c’è lo sconto. Io non so perché nessuno compra i miei libri, li prendono in mano, li sfogliano, danno una occhiata all’indice e lasciano perdere, come se dall’indice avessero appreso tutto sull’aldilà. No dall’indice non si può sapere niente, i miei libri non sono come quelli di Dostoevskij che gira e rigira alla fine si scopre chi è l’assassino. E questo è niente! Provate a bruciare un mio libro nella stufa: la stufa si torce, fischia, spalanca gli sportelli e caccia fumo e  fiamme che non si è mai visto un fuoco  capace di ardere una casa in quattro e quattr’ otto, compresa la  dependance dove ci si può ritirare per fare un po’ di filosofia: Spinoza, Kant, il Barone di Munchausen. In ogni modo io non sono quel ladruncolo come sembra dal cappotto sdrucito che porto in tutte le stagioni, anche in estate, certamente, perché dove vivo esplodono temporali di fulmini e grandine da levare il pelo ai gatti, figurarsi il collo di volpe del mio cappotto che più si spela più testimonia la mia nobiltà d’animo. Noblesse, noblesse perché finito il mercato, io restituisco la bici che ho sottratta e mi scuso con la povera vedova che piange asciugandosi  gli occhi col fazzolettino ricamato di quando si era sposata ed anche allora aveva pianto perché non avrebbe voluto maritarsi con l’uomo imposto dai  parenti. Per fortuna lo sposo moriva in un batter d’occhio e la moglie, tornata nubile, poteva sistemarsi secondo il suo gusto, magari con qualche acrobata del circo equestre che, sotto Natale, imbastiva spettacoli pomeridiani con lo sconto. Esibizioni economiche perché non c’era in pista neppure uno straccio di leone. Al suo posto lupi mannari a basso prezzo o altre bestie feroci. Così ho conosciuto Celeste, vedova di un sottufficiale non più tornato dalla guerra d’Affrica. Da là aveva spedito una sola cartolina postale con la scritta: “ Io, io, io…e tu!” Avevo conosciuto la vedova ed avevamo combinato di stare insieme, a me bastava che mi lasciasse il tavolinetto sotto la finestra della camera da letto dove mi ritiro a scrivere. Tutto il resto della casa era in mano a lei, lavare i pavimenti, lucidare il rame della cucina, rivoltare i materassi per sbaragliare le pulci insediatesi di notte. Con il suo arrivo gli affari avevano preso una bella piega perché lei attirava i clienti friggendo i krapfen che davamo in sovrappiù  a chi aveva comperato almeno un ferro da stiro o una boule per l’acqua calda. I migliori clienti erano i falegnami delle pompe funebri che inchiodavano i sarcofaghi con i miei chiodi, garantendo che nessun morto sarebbe riuscito a sollevare il coperchio e sgattaiolare fuori per dare fastidio ai vivi suggerendo falsi numeri del lotto. Pareva che tutto girasse come un orologio, gli affari andavano tanto bene da permetterci, qualche volta, di dormire al Grand Hotel di Miradoro Terme. I letti del Grand Hotel, che letti!  Immaginatevi una montagna di fieno appena falciato con trapunte di taffetà, scendiletto di pelliccia d’orso, orologi barocchi con lancette bloccate a significare che il tempo si era fermato davanti all’infinito. E nei corridoi orchestrine di violini a suonare orientali zingaresche. Finché non era accaduto l’irreparabile. Il sottufficiale, marito di Celeste, aveva scritto una seconda cartolina dall’Affrica: “Ti aspetto a Tripoli.” Che poteva fare quella povera donna? Aveva ancora la vera d’oro al dito della mano sinistra. Era partita per l’Affrica lasciandomi solo come una notte d’inverno. Perciò non scrivo più libri. Quando di notte mi appare l’Arcangelo io gli volto le spalle e metto la faccia contro il muro. Parlo al muro, singhiozzo e dico alla tappezzeria: “A che pro scrivere? Che vale consumarsi gli occhi sotto la lampada notturna perché ti sembra che qualcosa sia venuta a galla dentro di te: una storia d’amore, putacaso, o una storia di chi guarda la luna e gli frulla di scrivere una poesia e quando l’ha scritta tutti vogliono leggerla e qualcuno la trascrive sui muri con la vernice. Che vale se non c’è più Celeste? Mi vien voglia di prendere uno dei miei chiodi e trafiggere le pagine che ho scritto. Crucifige, crucifige!

 

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Gli autori di Vorrei
Adamo Calabrese
Adamo Calabrese

Adamo Calabrese è scrittore, autore di teatro e illustratore. Ha pubblicato con Einaudi il romanzo "Il libro del re", con Albatros i libri di racconti "L'anniversario della neve", "La cenere dei fulmini", "Il passaggio dell'inverno", con Joker "Paese remoto". Ha illustrato i propri libri ed edizioni di Dante, Gibran e Pascutto. Scrive e disegna per il quotidiano "Il cittadinio" di Lodi, per le riviste "Vorrei" di Monza e "Odissea" di Milano. I suoi ultimi lavori teatrali hanno messo in scena opere di Brecht, Joyce, San Francesco e Iacopone. Nel 2012 RAITREha trasmesso un suo testo. Nel 2014 è stato finalista del premio internazionale di grafica satirica "Novello". Insegna letteratura presso le Università della terza età di Sesto san Giovanni e Milano (Università Cardinale Colombo)

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