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“Dove andiamo? Per ora andiamo al mercato di San Colombano. Poi si vedrà.” “Veniamo anche noi ” dicono i fuggitivi accodandosi ai fantasmi che si sono rimessi in marcia.
Ci eravamo rifugiati nel paese dove mia madre era nata, dove abitavano le sue sorelle e dove viveva mia cugina Anna figlia della zia Lidia. Anna aveva la mia stessa età e aveva fatto i miei stessi studi.
Tali e quali le illustrazioni della Enciclopedia del nonno Siro. Alteri sui loro altissimi cammelli.
L’Arcangelo Gabriele e la cornacchia sono davanti alla porta del nonno. Bussano. Tutto zitto. Eppure il lumino è acceso dietro la finestra. Bussano ancora. Nessuna risposta.
Rosetta deve occuparsi di far stampare e affiggere sui muri della città il manifesto funebre con l’elogio del defunto e il dove e il quando si sarebbero svolte le esequie, possibilmente nell’aula magna del Ginnasio
È una bella giornata, fredda ma limpida. Nella piazza la fontana zampillante è piena di pesci rossi. E’ la piazza della stazione. Nella stazione c’è un pappagallo che mi saluta
E nei corridoi orchestrine di violini a suonare orientali zingaresche. Finché non era accaduto l’irreparabile. Il sottufficiale, marito di Celeste, aveva scritto una seconda cartolina dall’Affrica: “Ti aspetto a Tripoli.”
“Dimmi la verità” ma lei non dice il vero e io capisco che da lei fa freddo, molto freddo.
Altri passi su per la scala. Tobia cade in ginocchio davanti ai nonni, ai bisnonni, agli avoli. C’è anche l’insegnante di latino, c’è anche il suo compagno di banco bocciato all’esame di stato.
La nebbia avanza oscurando la blanda luce del cielo. Nelle case del mondo i vecchi sfogliano libri squinternati senza più ardire di leggere.
Agamennone aveva decretato che fosse strappato ogni legame amorevole tra i troiani maschi da una parte, destinati alle isole dei Lotofagi, e le troiane destinate alla reggia di Sparta
Lei scopava l’aula, lui accendeva la stufa, lei dava una pulita ai vetri delle finestre, lui andava avanti e indietro ripassando a memoria ciò che avrebbe letto durante la conferenza serale.
Nevicava… Nevicava nel silenzio assoluto come se fossimo tutti morti dal tempo dei faraoni.
Il Maestro si risveglia spaventato: quanto ha dormito? E’ tardi, deve correre a scuola, oggi parlerà della morte di Socrate.
Una sera, stanco come il mondo, arrivo in una bicocca con l’insegna “Hotel del cavallo.” “C’è posto?” “C’è rimasta una branda in soffitta.” “Va bene” dico io “purché non vi siano topi.”
Un figliol prodigo scrive una lettera al padre: ”Caro padre, non so più niente di te. Non so più niente della mamma …”
Ma una notte lo zio Pitagora non riesce a dormire. Si gira e rigira nel letto finendo addosso al tepore palpitante della sua donna.
La zia Giuseppina si tira in piedi, si rassetta la gonna, si mette una molletta nei capelli. “Parto” dice “Vado a Ninive.” Ma uscire da Troia assediata non è facile.
La stanza è una pozza d’acqua. Noè posa Sara sul tavolo accanto alla cesta del pane. Il camino farfuglia. Noè si volta. Il camino balbetta, soffia, sospira, si lamenta.
I genitori e il figlio si accoccolarono attorno alla stufa. La madre si fece coraggio, congiunse le mani e supplicò: “Tobia non partire. Non partire.”
Corro alla finestra e resto esterrefatto. Il circo Krupp dilaga nella piazza. Il signor Krupp in persona schiocca la frusta e si rivolge a me.
Che male ho fatto?” “Che male hai fatto lo sai tu.” “Io non so niente e se sapevo l’ho dimenticato.” Ma il pesce inghiottiva il poveraccio e gorgogliando spariva nei gorghi.
“Diventerò un sasso senza lacrime.” pensò. Si scosse quando il doganiere gli batté una mano sulla spalla. “Si chiude.” disse. Lui, con rassegnazione, si avviò alla fermata del tram.
“La carrozza della Transiberiana ci ha portati al capolinea.” “Vladivostok!” aveva confermato il corvo ed era volato via.
Quando io e mio padre torniamo mia madre con c’è più. La tela, l’ago, il filo e la forbice sono a terra. Mio padre si china a raccoglierli. Si rialza ed ha tutti i capelli bianchi. E’ diventato vecchio come Noè.
Pinuccio Mancuso aveva farfugliato: “Mina anticarro.” e aveva passato alla donna un bottone di giubba militare, un bottone ammaccato come se fosse stato masticato dall’inferno.
Mio padre aveva usato quella cravatta una sola volta per la cerimonia di conferimento del premio di poesia assegnatoli da un giornalino letterario. “Vuol sapere qualcosa delle sue poesie?”
Povero Comico si trucca davanti allo specchio in un lago di lacrime. “Passatemi il cinabro!” e gli passano il cinabro. “Passatemi l’ocra!” e gli passano l’ocra
Il portiere intinge la penna nel calamaio: “Dove sei nato?” L’interrogato tace. “Dove sei nato e in quale anno?” sul viso del viaggiatore appare un finto sorriso.
Muto era invece il camaleonte che appariva sul davanzale della finestra e mi fissava con occhi da coccio di bottiglia.
I due ascoltatori non sapevano che pensare, per un po’ si erano dondolati sulle sedie finché la donna si era fatta coraggio e aveva levato la mano. Aveva chiesto quale fosse la città ricordata nelle poesie. “Londra.” “Londra?” “Sì, Londra.” “Ci siamo stati anche noi.” aveva aggiunto il vecchio
All'Arci Area di Carugate e all'Arci Blob di Arcore questa settimana si ritireranno vestiti e altri beni di prima necessità da destinare ai migranti ospitati nel centro di accoglienza di Agrate.
Agesilao socchiude l’anta centrale. Suo padre è là, gli occhi pieni di lacrime, le mani tremanti che stringono la risma dei suoi fogli manoscritti sui quali si raggrinzano vaste macchie di muffa.
Le quattro del mattino! E’ l’alba. Il fuoco sui monti non c’è più. Menippo ha fatto un brutto sogno, si stropiccia gli occhi. Gli scarafaggi? Spariti! All’ora dovuta si presenta nell’aula. Davanti a lui una classe di svogliati
Con le scarpe in mano aveva disceso la scaletta scricchiolante, sussurrando una “madonna” ad ogni sospiro dei gradini. Con le scarpe in mano si era calato in cucina dove l’aspettava la cartolina del re con l’ordine di presentarsi domani alla caserma più vicina
Le sue dita scorrevano sui fogli, ne percepivano la scrittura esitante, come una risacca che sfocia sulla riva ma subito si ritrae e, poco per volta, ne decifravano il senso.
Hamelin s’ingobbì stringendosi nel suo cappotto e rialzò il bavero fino agli occhi. Quanto tempo restò così porgendo l’orecchio a remoti tuoni? Si distolse quando la terra sospirò e si fece man mano più riconoscibile il sussultante avanzare di una carovana.
Poi era cominciato a scorrere il tempo, anni e anni, forse millenni, senza che il professore venisse chiamato. Lui stava là, in paziente attesa, sulla sedia di ferro smaltato, meravigliandosi che non ci fosse nessun altro nell’ambulatorio.
“Sono il marito della zia Giusepppina.” L’indiano non aveva capito, aveva aggrottato la fronte e aveva ripetuto: “Peppina…?” E lo zio Ivo: “No Peppina! Giuseppina, Giuseppina Malossi. Ci siamo sposati il giorno prima della mia partenza per la guerra.”
Usellino se ne va, valica il Vesuvio, traghetta il Trasimeno, si ferma a Colleferro per una boccata d’aria, arriva a Roma sudato fradicio. Lavora come lucidascarpe, mangia e beve nel retrobottega di qualche caritatevole.
Passo dopo passo il nonno Siro e i Re Magi si mettono in cammino guardinghi: ad ogni svolta potrebbero esserci ladroni in agguato. Sì, proprio ladroni in agguato