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Washington Post: Sanders spina nel fianco di Mrs. Clinton. Presidente della Camera Paul Ryan: Sanders vero pericolo da fermare. Ma dopo le rivelazioni dell’FBI sulle email vaganti nel computer di Anthony Weiner, ben altri sono gli incubi di Hillary

 

Donald Trump ha superato Hillary nel voto popolare e anche se per il modo in cui funzionano le elezioni americane la cosa potrebbe non essere rilevante ai fini della conquista della presidenza, il sorpasso rappresenta un pericolo molto grave per Hillary, che fino a venerdì 28 ottobre poteva ritenersi relativamente tranquilla della sua supremazia. Ora, nei pochissimi giorni che separano gran parte dell’elettorato americano dal voto, Mrs. Clinton dovrà fare salti mortali per evitare a Trump di conquistarsi quella decina di stati ancora oscillanti, in particolare quelli più popolati ed in particolare la Florida che potrebbe dare ad Hillary una buona garanzia di vittoria.  Nonostante l’impressionante rimonta del rivale, Hillary mantiene ancora un vantaggio, seppur sensibilmente ridotto, rispetto alla probabilità di ottenere i 270 dei 538 grandi elettori, determinati percentualmente secondo il numero di abitanti di ogni stato, necessari per ottenere la presidenza. 

 

Il capo dell’FBI James Comey e il caso Weiner

 

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Tutto è cominciato  venerdì 28 ottobre quando il capo dell’FBI, il repubblicano James Comey, ha inviato ad alcune importanti cariche del Congresso la comunicazione di dover riaprire il caso delle email classificate, contenenti informazioni sensibili per la sicurezza nazionale, che l’ex segretario di stato inviava da un server di posta privato negli anni in cui era a capo del ministero degli esteri. Un caso che lo stesso Comey aveva chiuso il giugno scorso, almeno così aveva dichiarato, con la sollevazione di Hillary da imputazioni di reato.
La dichiarazioni di venerdi scorso, che sono diventate pubbliche in un battibaleno e che ora rischiano di regalare al mondo o la presidenza di Mr. Trump oppure quella di una Mrs. Clinton messa sotto inchiesta legale ancor prima di entrare nella stanza ovale come first lady di se stessa, riguardano ancora una volta un imprecisato numero di sue email vaganti. Il rinvenimento parrebbe essere avvenuto giovedì 27 nel computer di Anthony Weiner  (ex-deputato democratico ed ex-marito di quell’Huma Abedin che da vent’anni è braccio destro di Hillary) durante un’indagine riguardante messaggi e foto osé che Weiner avrebbe scambiato con con una minorenne. 

 

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Pur non conoscendone il contenuto, e quindi neppure la eventuale rilevanza  penale, Comey ne ha comunicato l’esistenza contro il parere di alte cariche del bureau che temevano  l'effetto deflagrante le sue rivelazioni avrebbero avuto a undici giorni dalle elezioni.
La bomba ha subito scatenato un putiferio senza fine, almeno sino all'election day di martedì 8 novembre.
C’è chi esulta e chi grida ad un complotto tra FBI e repubblicani per  affossare  Hillary. C’è chi parla  di un tormentato problema di coscienza di un funzionario onesto e zelante e chi di una egoistica questione di convenienza personale mirata alla salvaguardia da un’eventuale accusa di aver nascosto fatti rilevanti. C'è chi  accusa Comey di aver commesso lui un reato nel rivelare particolari di un’indagine in corso senza averne autorizzazione dagli organi giudiziari, visto che l’FBI è un ente solo investigativo soggetto alla segretezza sulle indagini in corso. Nel rivendicare la sua fedeltà esclusiva all'FBI e al proprio dovere di imparzialità rispetto alla politica, Comey addirittura peggiora la sua situazione ammettendo la vaghezza delle informazioni e la concreta possibilità che le email non contengano nulla di penalmente rilevante per Mrs. Clinton.

 

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La cosa certa è che l’effetto ribaltamento è di proporzioni enormi. Sondaggi rivoluzionati, Trump che vola e Hillary che precipita,  mentre la borsa, che teme Trump più del diavolo per la sua imprevedibilità, scende, testimoniando ancora una volta la stranezza di queste elezioni in cui il mercato azionario, contraddicendo le sue stesse leggi fisiologiche, si sente più al sicuro con una democratica che non con un repubblicano.

Hillary intanto cerca di mascherare il terrore chiedendo insistentemente che venga subito comunicato il contenuto delle email, mentre Trump, galvanizzato dall’euforia delle colonnine rosse che salgono e di quelle blu che scendono, si rivolge ad altrettanto euforiche platee di fanatici assomigliando sempre di più alla fantastica imitazione di se stesso fatta da Alec  Baldwin

 

 

 Obama dal canto suo si precipita ad aiutare Hillary con un comizio dietro l’altro dai discorsi  sempre più infuocati, emozionanti e passionali. Prima l’ammonizione all’FBI per avere agito sulla base di insinuazioni, informazioni incomplete e fughe di notizie, oltretutto durante un’indagine in  corso. Poi il confronto tra Trump e i suoi precedenti avversari:

Io ho corso contro John Mc Cain e Mitt Romney ritenendo di poter essere un presidente migliore di loro, ma non ho mai pensato che la Repubblica corresse dei rischi con la loro elezione.

E giovedì per la seconda volta in Florida nel giro di sette giorni, in un impetuoso discorso a braccio tenuto a Miami davanti ad un caldissimo pubblico di giovani

Se vinciamo la Florida, vinciamo le elezioni. (…) Ci sono momenti in cui la storia si muove, in cui le cose si possono migliorare o peggiorare. Questo è uno di quei momenti e quell’incredibile potere è nelle vostre mani. (…) Così, Florida e soprattutto giovani, vi chiedo quello che vi ho chiesto dodici anni fa, di credere nella vostra capacità di cambiare le cose. (…)

Perché l’ufficio ovale non è un reality show, e la posta in gioco è l’onestà, la decenza, la giustizia, la democrazia. 

 

C’è Weiner e wiener

 

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Quanto all’Anthony Weiner che sta all’origine del peggior incubo di Hillary, costui è un bizzarro personaggio che per ben due volte ha mandato all’aria la sua promettente carriera politica per questioni di sexting e che ha voluto raccontarsi in un documentario vincitore del premio della giuria al Sundance Festival 2016, intitolato appunto Weiner. Sebbene uscito quest’anno il film è stato girato nel 2013 quando Anthony, ottenuto il perdono della quasi seconda figlia di Hillary Huma, stava cercando il riscatto pubblico correndo per la carica di sindaco di New York. Il piacente se non proprio bell'Antonio, molto somigliante ad Adrien Brody, nel film racconta tra ironia e dolore le ascese e le cadute della sua vita, scherzando tra l’altro sulla sua forzata convivenza con un cognome da barzelletta, praticamente identico al termine  wiener che, oltre a significare salsiccia viennese o wurstel, i bambini usano per indicare il pene e che curiosamente compare nella puntata Wieners out di South Park andata in onda proprio due settimane prima del fatidico 28 ottobre.

 

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 Un ironico gioco del caso certamente molto più innocuo di quello crudele che ha messo Hillary nella posizione più difficile non solo della campagna elettorale ma di tutta la sua vita, considerata la perseveranza e la bramosia con cui ha perseguito il sogno di diventare la prima donna presidente degli stati Uniti.
Ma la macroscopica ironia della situazione, nello stesso tempo alquanto deprimente, è che ciò che potrebbe privare Hillary della presidenza non sono le sue ben note carenze etiche legate agli affari della  Clinton Foundation, o al modo in cui è stata condotta la sua campagna elettorale contro Bernie Sanders o alla doppiezza delle sue dichiarazioni a seconda che parli con gli elettori o con Wall Street. Ciò che sta frantumando il suo sogno, in un fatale riproporsi di corsi e ricorsi storici, è lo scandalo sexy di un altro dei molti uomini di potere che non sono capaci, o se ne fregano ed è ancor peggio, di tenere a bada il loro wiener.  Negli anni '90  fa le umiliazioni dovute alle intemperanze di suo marito Bill, vent'anni dopo,  in un capovolgimento di situazione quasi magico, le stesse intemperanze di Donald sembrano ripagarla delle umiliazioni subite in passato garantendole la vittoria nel traguardo più ambito di tutta la vita. E adesso, dagli eventi di quel fatidico 28 ottobre, davanti a Hillary di nuovo il precipizio. Per gli stessi squallidi motivi. Difficile, da donna, non essere solidale con lei al di là di qualunque considerazione di tipo politico.

 

Bernie Sanders: un pericolo per i repubblicani  e per l’establishment democratico

 

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E proprio per tornare alle questioni politiche, alla luce di questa grana che di politico ha ben poco, si può ipotizzare che, casomai Hillary avesse il tempo per pensarci, irrilevanti le sembrerebbero in questo momento le preoccupazioni che deve avere avuto nelle ultime settimane per il ritorno in scena di un Bernie Sanders più agguerrito mai. Un Bernie Sanders che, se da una parte ha continuato a sostenerla apertamente incitando tutti i suoi a votare per lei, dall’altra non ha mancato occasione per ricordarle altrettanto apertamente che una volta eletta non potrà fingere che lui non esista. Dovrà immediatamente mantenere le promesse fatte sulle rilevanti questioni sociali concordate insieme nella piattaforma programmatica. E dovrà stare ben attenta alla scelta delle persone cui affidare posizioni chiave di politica interna perché, soprattutto nel caso le venisse in mente di piazzare qualche figura legata a Wall Street, dovrà vedersela con lui.

 

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Il più visibile dei vari richiami all’ordine è l’articolo del Washington Post del 24 ottobre intitolato Bernie Sanders è pronto ad essere la spina liberal nel fianco di Hillary Clinton, che ribadisce la ferma intenzione di Bernie di far valere il rilevante peso politico conquistatosi con una campagna elettorale i cui numeri parlano da soli per gli stati vinti, per i delegati conquistati, per i milioni di elettori e per la “maggioranza dei giovani, che sono il futuro del paese” che hanno votato per lui.  Si legge nell’articolo:

 Se i Democratici vincono il Senato, è sicuro che Sanders avrà una maggior voce in capitolo,  è in lizza per diventare capo della Commissione Bilancio, anche se ha detto che le la sua preferenza sarebbe prendere la direzione della Commissione Sanità, Istruzione, Lavoro e Pensioni, che ha giurisdizione su salario minimo, su sanità pubblica e su molte delle questioni per cui si è battuto durante il suo quarto di secolo al Congresso. 

 La notizia era già stata diffusa con fondate paure dal repubblicano Paul Ryan, il corrispettivo della nostra Laura Boldrini, durante un comizio:

Se perdiamo il Senato, sapete chi diventa presidente della commissione Bilancio del Senato? Un tipo di nome Bernie Sanders. Ne avete mai sentito parlare?

Quelle domande avevano innescato una guerra a distanza a colpi di email che, sebbene inviate ai rispettivi sostenitori e raccoglitori di fondi, hanno la prerogativa di diventare immediatamente di dominio pubblico. Scrive Bernie il 19 ottobre:

 Ho sentito quello che Paul Ryan ha detto di me: che se i repubblicani perdono il Senato io sarò il capo della commissione bilancio. Mi sembra una gran bella idea. Significa che possiamo stabilire priorità per la classe lavoratrice e non solo per i miliardari. E come sarebbe eccitante se i democratici si riprendessero anche la camera e Ryan non ne fosse più il presidente. Significherebbe avere la strada spianata per mettere in atto la nostra agenda - l’agenda più progressista di qualsiasi partito nella storia americana. (…) In questo momento la maggioranza repubblicana sta usando il suo potere per bloccare ogni azione significativa riguardante l‘ineguaglianza della distribuzione del reddito o il cambiamento climatico. (…) Ciò di cui Paul Ryan ha particolarmente paura è il potere della commissione bilancio. Quella commissione stabilisce le priorità di spesa di tutto il governo. Il lavoro di quella commissione stabilisce quanti soldi dovrebbe avere il governo, e dove i soldi dovrebbero andare. Ho qualche idea su come il governo dovrebbe spendere le sue risorse. Sono sicuro che anche voi ne avete.

 Il giorno seguente, allegando la email di Bernie, Paul Ryan a sua volta chiama a raccolta i suoi:

 La settimana scorsa ho parlato di quello che succederebbe se perdessimo la nostra maggioranza al Senato, Sembra proprio che Bernie Sanders stesse ascoltando, perché un collaboratore mi ha fatto vedere il messaggio che ha mandato ieri ai suoi sostenitori… (…)
Dobbiamo impedire a Bernie Sanders, a Nancy Pelosi e ai democratici progressisti di impadronirsi del Congresso.
Per favore considerate di fare una donazione oggi stesso per fermare questo pericoloso programma progressista
AIUTATE A FERMARE SANDERS

 E’ interessante notare che Paul Ryan è uno dei repubblicani più ostili a Trump, al quale ha dato il sostegno quando ormai era non poteva farne a meno, ma che ha comunque continuato ad attaccare. Da qui la decisione di Ryan di concentrare i suoi sforzi sulla campagna elettorale di rappresentanti e senatori, affinché il partito repubblicano possa mantenere il controllo del Congresso che, guarda caso, anche è l’unico organo in grado di controllare e limitare il presidente, come ben si è visto nell’amministrazione Obama.

 

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Alla luce delle ultime mosse di Bernie  il suo endorsment a Hillary arrivato a primarie concluse, cioè dopo che lo sconosciuto personaggio si era trasformato in una rock star dimostrando all’establishment democratico di saper catalizzare milioni di elettori, sembra quasi essere parte di un’abile “strategia del ragno”. E questo a dispetto delle molte contraddizioni e divisioni che il sostegno a Mrs. Clinton ha creato tra i suoi sostenitori e che sono state ampiamente testimoniate da queste pagine.

E sebbene tra i sandersiani confluiti nel nuovo movimento Our Revolution (che dà il titolo al suo ultimo libro Our Revolution: a future to believe in in uscita il prossimo 15 novembre) ci siano gli irriducibili never Hillary che si asterranno o daranno il voto a Jill Stein e alcuni persino a Trump, Bernie si dichiara convinto che la grande maggioranza di loro alla fine seguirà le sue indicazioni.

 

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Early voting

 

Anzi forse sono già state in parte seguite visto che negli stati che lo consentono si si è aperto l’early voting, pratica risalente ai tempi postrivoluzionari per favorire l’accesso alle urne di persone che dovevano percorrere lunghe distanze per raggiungere le postazioni elettorali per i più vari motivi. Sicuramente preferito dai democratici poiché facilita il voto alle classi sociali più deboli, che devono spesso affrontare lunghissime code ai seggi e che hanno oggettive difficoltà a trovarsi nel luogo di residenza nel martedì successivo al primo lunedì di novembre stabilito per le elezioni generali, è già stato preso di mira da Trump che sull’onda della continua escalation  di questi giorni vuole dare agli early voters la possibilità di rivotare. Da notare come molti gli afroamericani  abbiano lamentato la diminuzione del numero di postazioni elettorali aperte nei loro quartieri residenziali soprattutto in alcune parti del paese. 

Naturalmente i media si sono subito scatenati a confrontare le varie percentuali di persone che hanno approfittato dell’early voting nelle varie categorie di elettori. Si è riscontrato per esempio che rispetto a quattro e otto anni fa la percentuale dei neri è calata, ma è anche vero che le involontarie “coalizioni elettorali” da una parte e dall’altra questa volta sono suscettibili di altre variabili e soprattutto sono molto diverse da tutte quelle precedenti. La  presenza di sue personaggi così discussi ed in particolare di uno così anomalo come Trump rende queste elezioni talmente strane e d imprevedibili da superare in colpi di scena persino egregie serie tv come House of cards e Scandal.

Forse meglio di qualsiasi commento vale la vignetta qui sotto in cui il barman si rivolge ai due clienti disperati che intuisce abbiano approfittato dell’early voting e chiede Contro chi avete votato?

 

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 La CNN e il caso Donna Brazile

 

Prima di concludere, un aggiornamento su Donna Brazile, alta sfera del partito democratico e giornalista della CNN, citata nel primo di questi articoli americani scritto da Filadelfia alla fine di luglio.
 In quell’occasione si citava la sua temporanea sospensione dalla CNN alla vigilia della National Convention, in seguito ad alcune sue email vagamente compromettenti rinvenute nella prima tranche della lunga serie che Wikileaks ha continuato a rilasciare testimoniando così  le mosse vergognose del partito democratico per favorire Hillary ai danni di Bernie durante le primarie. In quel primo cospicuo pacchetto, le email davvero compromettenti riguardavano Debbie Wassermann Schultz, la presidente della DNC (Democratic National Convention), costretta a dimettersi dalla carica lasciando la carica alla sua vice che era appunto Donna Brazile. Le recenti ondate di altre migliaia email, oltre a dimostrare una imbarazzante compromissione anche del presidente della campagna elettorale di Hillary John Podesta, hanno attestato che il coinvolgimento di Donna Brazile era molto più che vago. Tra le molte scorrettezze, quella gravissima di aver passato a Hillary le domande che il pubblico le avrebbe fatto in almeno due confronti televisivi con Bernie Sanders gestiti dalla CNN, cosa puntualmente verificatasi. E’ notizia di questi giorni che Donna Brazile ha finalmente rassegnato le sue dimissioni. Atto dovuto, e probabilmente sollecitato, se non altro per salvare la faccia agli occhi di chi ancora crede che la rete sia imparziale. 

 

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Gli autori di Vorrei
Elisabetta Raimondi
Elisabetta Raimondi
Disegnatrice, decoratrice di mobili e tessuti, pittrice, newdada-collagista, scrittrice e drammaturga, attrice e regista teatrale, ufficio stampa e fotografa di scena nei primi anni del Teatro Binario 7 e, da un anno, redattrice di Vorrei.
Ma soprattutto insegnante. Da quasi quarant’anni docente di inglese nella scuola pubblica. Ho fondato insieme ad ex-alunni di diverse età l’Associazione Culturale Senzaspazio.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.