20180717 pd

Amici e compagni, l'Unità, la Ditta, il Partito della Nazione, Centro-sinistra, Fronte repubblicano, il rosso.

Ho sempre pensato che dietro una parola ci sia un contenuto complesso, definitivo. Che in questo senso le parole siano pietre. Ma ho anche visto stravolgerne spesso i significati, fino all’opposto del senso originario.

Mi è sembrato che nell’agone politico le sinistre siano  più propense a usare le parole come pietre, come valori in sé, mentre le destre siano più portate ad usarle in modo strumentale, occasionale, spregiudicato. Vedi ad esempio  la promessa di “riforme” da parte di forze politiche conservatrici.

Vorrei applicare questi ragionamenti alle vicende del PD. Forse tardivamente, ma forse  facendo cosa utile per recuperarne il senno che deve essere volato sulla luna, e anticiparne la definitiva dissoluzione.

Se le parole sono pietre, è importante una riflessione profonda prima di sceglierle per significare un cambiamento, un’adeguatezza allo spirito del tempo, per rispondere alle nuove esigenze della convivenza umana. Ma è altrettanto importante rimuovere le pietre vecchie, segni d’altri tempi, spesso macigni che intralciano il cambiamento.

Ed ecco alcune pietre che a mo parere sono da rimuovere dal linguaggio del PD, e quelle che potrebbero sostituirle:

“Amici e Compagni” Questa espressione avrebbe dovuto sparire fin da quando Prodi lanciò l’Ulivo. Al suo esordio l’Ulivo attrasse moltissimi cittadini, tra cui il sottoscritto, che non facevano parte in precedenza dei due grandi partiti agonizzanti: il PCI e la DC. Doveva valere per l’Ulivo la dialettica hegeliana degli opposti: alla tesi e all’antitesi doveva seguire una sintesi del tutto nuova. Molto più che una reazione chimica: gli opposti dovevano scomparire. Gli aderenti all’Ulivo potevano essere chiamati semplicemente “Ulivisti”. All’Ulivo è seguito il PD. Per fortuna nella sua bandiera è stato conservato il simbolo dell’Ulivo. Ma l’uso dell’espressione “Amici e Compagni” ha continuato a gravare come una palla al piede della novità politica del PD. E già che si poteva e si potrebbe semplicemente usare la parola “Demnocratici”.

L’Unità. Questa parola, con la sua inconfondibile veste grafica, ha avuto una enorme valenza. È stata sinonimo del PCI e del suo fondatore, Antonio Gramsci, della sua storia, dei suoi valori. Peccato che è storia del passato. È un macigno contro il cambiamento. Eppure si è cercato di tenerla in vita con un giornale che nulla aveva a che fare con il glorioso passato, e quindi non poteva sopravvivere. E ancora si insiste nell’organizzare “Feste dell’Unità”, che odorano di stantio, sono controproducdenti. Non si capisce perché non si facciano delle “Feste democratiche”.

La Ditta, IL Partito della Nazione. Due espressioni per fortuna già obsolete, antitetiche, simbolo di un decadimento, di uno scivolamento a destra. “La Ditta”, che ha un’assonanza con l’espressione “Partito azienda” berlusconiano,  presenta il partito come proprietà di qualcuno; “Il Partito della Nazione”, espressione che più di destra non si può.

Centro-sinistra. Questa parola composta trasmette di per sé la percezione di un compromesso al ribasso e risponde a una preoccupazione rozzamente elettoralistica: siccome la classe proletaria, fondamento della sinistra del passato, si è andata assottigliando con la terza rivoluzione industriale, allora bisogna allettare il ceto medio. Il risultato è stato uno straniamento della politica riformista propria della sinistra, tale da deludere i meno abbienti senza convincere i benestanti. Perché non offrire a tutti i cittadini una proposta semplicemente di “sinistra”?

Interessante, ma sbagliata, è la proposta recente di un “Fronte repubblicano” avanzata dal neo-PD Carlo Calenda per il rinnovamento del PD. Anche la parola “repubblicano” è gravida di significati, pietre inadatte per il PD. Essa evoca in primo luogo il Partito Repubblicano degli USA, conservatore, cioè l’opposto del Partito Democratico dello stesso Paese, a cui è legato il nostro PD nel nome e nei valori. La parola riporta il pensiero anche al vecchio, glorioso PRI, Partito Repubblicano italiano, erede delle formazioni partigiane antifasciste di Giustizia e Libertà e del Partito d’Azione. Io mi ritrovo a casa con questa tradizione (mi sono politicamente formato leggendo “Il Mondo” di Mario Pannunzio), ma anche in questo caso si tratterebbe di un ritorno al passato. Quindi no al termine “repubblicano”.

Ciò che vale per le parole, vale anche per i colori e i canti. È chiaro che il rosso ormai è un segno di altri tempi. Ad esempio, sono sparite ormai “le regioni rosse”: tutte le regioni sono ormai uguali, politicamente contendibili. Che il rosso non susciti più i sentimenti del passato è dimostrato anche dal fatto che nelle recenti manifestazioni promosse da Don Ciotti, presidente di Libera e del Gruppo Abele, la scelta di indossare una maglietta rossa è stata senza equivoci riferita alle vite umane perse nei naufragi dei migranti. Nel momento in cui la Lega sembra abbandonare il verde, trasmigrando nell’azzurro, non sarebbe male che del verde si appropriasse la sinistra, anche in considerazione del fatto che i problemi dell’ambiente saranno sempre più urgenti nel futuro, alla pari di quelli delle disuguaglianze, delle povertà, della cultura.

Tra i canti, “Bandiera Rossa” è ormai cantata da pochi nostalgici, mentre sarebbe auspicabile che “Bella Ciao” fosse cantata ancora e sempre e non solo dal popolo di sinistra.

 

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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