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Metti un’equipe educativa diversificata, aggiungi bimbi italiani e bimbi stranieri, prendi uno spazio nel centro di Monza e ottieni Bimbinsieme, un nido davvero speciale. LabRedazione Mondo ha intervistato Anna Martinelli e Ilaria Cavenati, le coordinatrici.

 

Sole d’autunno, scelte scottanti per le famiglie monzesi e non solo: c’è da decidere a quale nido  affidare i propri cuccioli per il nuovo anno scolastico.

«Vorremmo che le persone che passano da noi si sentano a casa loro». Parola di Anna Martinelli e Ilaria Cavenati, coordinatrici di Bimbinsieme. A confermarlo, il sorriso di Rabia, giovane marocchina che, con capo velato e fare gentile, riceve e fa accomodare. All’ingresso un variopinto crocifisso, di fattura latino americana, appeso al muro e, sulla parete opposta, un quadro con versetti del Corano, scritti a caratteri dorati, su sfondo blu.

Tutto qui, persone e arredi, esprime accoglienza, persino il caffè servito su vassoio con cioccolatino. «Abbiamo imparato che cosa è accogliere dalle colleghe straniere» spiega Martinelli, ex educatrice comunale prima e ora, in pensione, coordinatrice volontaria a Bimbininsieme.

Continua “quando veniva qualcuno ci chiedevano «Non offri il caffè?!?» e noi rispondevamo «Siamo un servizio pubblico!». “In effetti l’accoglienza passa da piccole cose e gesti che compiamo” ammette Cavenati che è un altro punto di riferimento del nido.

Tra le realtà accreditate, Bimbinsieme è unico nel suo genere: è sorto per andare incontro a famiglie di stranieri con bisogni particolari e diverse problematiche. Per rispondere a questa esigenza Caritas, con la cooperativa NovoMillennio e in partnership con il Comune di Monza, ha intrapreso il progetto “Bimbininsieme”, sotto il cui nome sono nate anche iniziative come Spazio Colore e “Il cortile delle mamme”.

Inaugurato il 26 gennaio 2003 da Tettamanzi come centro per l’infanzia, il nido vanta un’equipe “variegata”, come ripete Martinelli: due coordinatrici, educatrici italiane ed operatrici straniere - Rabia, Tahani, detta Titti, di provenienza egiziana, e Reda, detta Rita, di origine copta - che «aiutano a leggere la multietnicità, collaborano nell’attività di sala, curano l’igiene e la qualità dell’ambiente».

«Il nostro metodo è interculturale» sottolinea Cavenati «richiede ascolto e curiosità, a partire dalla nostra equipe. Se dobbiamo fare cultura dobbiamo comunicare vicendevolmente e, per farlo, è necessario adottare un metodo e una condotta professionale che non lasci nulla al caso. Valorizzare le diversità non è automatico, comporta fatica e dialogo ma dà grandi soddisfazioni».

 

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«Non si è mai neutrali» aggiunge Martinelli, «qui ciascuno si mette in gioco, consapevole del proprio retroterra culturale che è ineliminabile, anzi è la propria ricchezza. Dubbi e differenze li sciogliamo sì» argomenta e incalza «nel confronto costante in staff, con la psicologa che affianca. Per capire non giudichiamo ci apriamo al dialogo. Quando non comprendiamo il comportamento di un bimbo lo scambio con la famiglia è chiarificatore».

Non si tratta, prosegue Cavenati, «di negare le differenze né di estremizzarle ma assimilare i reciproci lati positivi».

Come? Attività, incontri e percorsi tematici con il personale educativo o autogestiti dai genitori portano a una naturale conoscenza e interrogano su «che cosa abbiamo in comune?» per arrivare a “che cosa ci mette in comune?”, continua Cavenati.

Con Expo il cibo è stato veicolo efficace, nel progetto gnam-gnam, ad esempio: «In un piatto c’è il racconto di una storia, un modo per aprirsi all’altro e portare un pezzo di sé» riprende Martinelli. Così nelle riunioni organizzate di sera e il sabato mattina per favorire i lavoratori, negli aperitivi gestiti dalle famiglie o nei picnic a fine anno. Poi vi sono i momenti per le famiglie come i laboratori di teatro per i genitori che tiene Milena, mamma di una bimba ormai grande, che inscenano la diversità.

Un menù abbondante per costruire reti di relazioni tra famiglie che diventano amicizie. Martinelli chiosa: «Anche gli italiani hanno più che mai bisogno di integrarsi in un tessuto sociale sempre più frammentato. Quando c’è bisogno, comincia il tam-tam dei genitori che si ritrovano in gruppi whatsapp e facebook per darsi appuntamenti o scambiarsi informazioni, così funziona la rete, una volta messa in piedi».

Negli anni è cambiata l’utenza, padri e madri hanno tempi di lavoro più lunghi, altre figure educative sono subentrate e si sono estesi i tempi di permanenza dei piccoli presso la struttura.

«Il progetto di sostegno alla genitorialità» asserisce Cavenati «supporta in questa fatica genitori sempre più lontani da casa».

Un nido interculturale, come evidenziano le coordinatrici, nella routine quotidiana con bimbi e genitori, in percorsi mirati, graduali e personalizzati: con la lettura di frasi in arabo, ad esempio, i bambini accolgono il diverso così come è in modo spontaneo poiché si rendono più familiari alcuni suoni linguistici diversi da quelli a cui sono abituati.

«La lingua è un patrimonio d’identità essenziale da preservare», accenna Martinelli, «permette di entrare in contatto vero con l’altro, se viene meno non c’è integrazione possibile. Lo constatiamo consegnando avvisi e regolamento del nido solo in italiano, dopo aver verificato che persone presenti da molto tempo in Italia non avevano imparato una parola della nostra lingua e facevano fatica ad inserirsi».

Precisa Cavenati, con un pizzico di ironia: «Quello che facciamo con le famiglie è un percorso di crescita insieme. Ad esempio, un papà sudamericano, molto serio, con cui faticavamo ad entrare in sintonia, ha stupito travestendosi da Babbo Natale alla festa della scuola e commuovendosi al colloquio finale».

E Martinelli conclude: «Invitiamo già i genitori stranieri, che gradiscono, a parlare con i figli nella lingua madre, abbiamo visto che a tre anni tutti i bambini parlano correttamente italiano, ma suggeriremo sempre più a madri e padri di utilizzare la lingua del cuore, l’unico codice che supera provenienze, differenze e diffidenze culturali».