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Teatro. L'interpretazione epica di un personaggio mostruoso, eppur commovente nella sua lotta massacrante per una qualche forma di possesso e felicità.

 

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na figura attraversa la scena a fondo palco. La sagoma in controluce è minuta, vulnerabile, minacciata dai caratteri cubitali neri che compongono un nome. Il suo. Anna Cappelli procede insicura, quasi spaventata dall'ignoto che la circonda e la attende.

Non proprio giovanissima, ha lasciato la sua cameretta nella casa di famiglia a Orvieto e si è trasferita a Latina, dove – non potendo permettersi altro – vive nella casa della odiata signora Tavarini. Il lavoro da impiegata è ripetitivo e polveroso, fortuna che c'è il Rag. Tonino Scarpa con cui civettare un po'. Lui è gradevole, scapolo e vive in una casa con dodici stanze. Vale la pena insistere, anche se il Ragioniere è uno spirito libero, vale persino la pena di fare compromessi e accettare una convivenza nella casa con 12 stanze splendidamente arredate. Ed è opportuno farlo con il sorriso, nascondendo la preoccupazione per le male lingue (sono pur sempre gli anni Sessanta), dissimulando i propri reali desideri, compiacendo, accondiscendendo, nella speranza che un giorno cambi idea e accetti di legarsi con un contratto inscindibile che la renda padrona proprietaria, possidente inconfutabile di lui, della casa, dei mobili.

La regia di Pierpaolo Sepe si esprime al massimo nei cambi scena, scene a loro volta, visive e sonore, con tracce musicali perfette, qualche suggestione dal cinema muto e una spolverata di colore noir. Si tratta di veri e propri trait d'union calibrati alla perfezione che traghettano lo spettatore da un quadro al successivo. Mentre i mesi e gli anni trascorrono, la scontentezza, la frustrazione, la paura profonda di Anna si intensificano e in un crescendo inesorabile fomentano un'esasperata infelicità, carica di livore, rancore, aggressività.

Oltre al fondale, nessuna scenografia, nessun oggetto di scena oltre ai capi d'abbigliamento perbene della signorina Cappelli: cappottino giallo, scarpe decolleté bicolor, guanti bianchi, borsetta nera, valigia color crema, abito castigato e, sotto, una sottoveste per le discussioni difficili da affrontare con Tonino.

Bastano questi pochissimi oggetti a Maria Paiato per un'interpretazione che lascia senza respiro. Con tempi scenici esatti, il suo monologo intesse dialoghi con gli altri personaggi; le sue scelte vocali, cesellate, e la sua espressività fisica, precissima, tengono lo spettatore proteso e confuso tra amarezza, pietà, disprezzo e persino genuina ilarità. Più delle parole stesse, voce e corpo raccontano l'oscillazione – al limite del bipolarismo – tra l'autocontrollo e lo sfogo, tra la menzogna e l'esplosione feroce della brutalità.

Il finale, per chi non ha letto il copione di Annibale Ruccello, è un totale coup de théâtre.

Lo spettacolo è stato al Piccolo Teatro Studio fino ad oggi. Ma vale senz'altro una gita a Torino ( Teatro Stabile, dal 7 al 12 maggio) o a Bologna (Arena del Sole dal 19 al 21 aprile) o ancora a Parma TeatroDue, 23 e 24 aprile).

Per dare un'occhiata al trailer

Autore Annibale Ruccello
Regia Pierpaolo Sepe.
con Maria Paiato

scene Francesco Ghisu
costumi Gianluca Falaschi

luci Carmine Pierri
trucco Vincenzo Cucchiara
aiuto regia Sandra Conti
Una produzione Fondazione Salerno Contemporanea Teatro Stabile d'Innovazione

Gli autori di Vorrei
Anita Pepe