20220406 roosevelt

                                                

Nel suo ultimo libro (The Rise and Fall of the Neoliberal Order. America and the World in the Free Market Era, Oxford University Press, 2022) lo storico dell’economia Gary Gerstle descrive magistralmente le vicende economiche degli Usa e non solo, dai tempi del New Deal ad oggi.

Secondo Gerstle, le società sono dominate per lunghi periodi da un determinato “Political Order”, che si protrae indipendentemente dal susseguirsi di amministrazioni partitiche diverse, formalmente contrassegnate da destra o sinistra. Così «Ronald Reagan è stato l’architetto ideologico del Neoliberal Order. Ma Bill Clinton ne è stato il principale facilitatore». Lo stesso si può dire di Margaret Thatcher e Tony Blair nel Regno Unito e, sia pure con una particolare specificità tutta italiana (e si parva licet), di Craxi, D’Alema, Berlusconi.

Un cambio di “ordine politico” non avviene però da un giorno all’altro: è frutto di un progressivo manifestarsi, nell’ordine precedente, di effetti negativi, di nuove elaborazioni scientifico-culturali, dell’emergere di figure politiche che interagiscono con il diffondersi nell’opinione pubblica di nuovi orientamenti, razionali e non. Ha una lunga fase di gestazione, una di auge e una di caduta, altrettanto lunga.

Così è stato per il New Deal, dagli anni trenta agli anni settanta del secolo scorso, con la rivoluzione scientifico-culturale di John M. Keynes, applicata da John K. Galbraith, tradotta in politica da Franklin D. Roosevelt e dai suoi successori, sia democratici sia repubblicani. Così è stato per il "Neoliberal Order” (che noi chiamiamo “neoliberismo”) dagli anni ottanta del novecento al primo decennio del nuovo millennio, ispirato da economisti della scuola austriaca (Ludwig Von Mises, Friederick Von Hayek) e dell’Università di Chicago (Milton Friedman), e tradotto in politica da Reagan (la cosiddetta “reaganomics”). E proseguito, anche in questo caso, sia da presidenti sia repubblicani sia democratici, fino allo stesso Barak Obama. Ed esportato in tutto il mondo occidentale.

 

20230406 regan

Ronald Regan  -  Foto di Micael Evans

 

Il neoliberismo è in crisi da oltre un decennio, condannato dal crollo bancario del 2008 e dai suoi lasciti disastrosi sul piano delle crescenti disuguaglianze e del deterioramento dell’ambiente naturale.

La situazione attuale è caratterizzata da uno stato di “disordine” nel quale ancora prevale la visione neoliberista, ma sfilacciata e degradata, con segnali ambigui di cambiamento.

Il superamento in corso dell’ordine neoliberista ha infatti aspetti non certo entusiasmanti. La vittoria di Trump negli USA, il fiorire di movimenti e governi populisti altrove, il protezionismo dilagante, l’erezione di nuovi muri dopo la caduta di quello di Berlino nel 1989, la crisi dei sitemi democratici, non sembrano delineare un “ordine” definito, e tanto meno positivo per la convivenza civile all’interno dei diversi paesi e nelle loro relazioni. Gli effetti negativi della globalizzazione non hanno spinto a governarla meglio, ma al contrario a farne una sorta di capro espiatorio di tutti i mali.

Non vi è dubbio che la globalizzazione, con la liberalizzazione della finanza e degli scambi internazionali, ha portato grandi sconvolgimenti soprattutto nelle economie dei paesi sviluppati. Ma si è tenuto poco conto sia della sua inesorabilità, figlia della rivoluzione digitale in corso, sia dei suoi frutti positivi, costituiti dall’uscita di centinaia di milioni di esseri umani dalla povertà in molti paesi una volta definiti “sottosviluppati” o “terzo mondo”.

Invece di sottoporre la globalizzazione a nuove regole e istituzioni a livello planetario, si è cercato di contrastarla, soprattutto con politiche commerciali protezioniste, di stampo nazionalista, e di chiusura dei confini contro i flussi migratori.

Si può rilevare che questa involuzione non è sorretta da una elaborazione culturale e scientifica riconducibile, come negli ordini politici precedenti, a centri di ricerca, brain trust, studiosi e scienziati prestigiosi e influenti. Cosa che, se da una parte ne mostra la debolezza e la auspicabile di breve vita, dall’altra allarma perché esprime uno stato di “disordine politico”, di carenza di governo globale, che potrebbe sfociare in esiti incontrollati.

 

20230406 debenedetti

Carlo De Benedetti -  Foto di Niccolò Caranti

 

Ma sotto il disordine e gli aspetti conflittuali e distruttivi della situazione attuale, di cui la guerra in Ucraina è una tragica testimonianza, non mancano i segnali di una tensione verso un nuovo ordine della convivenza umana. Un nuovo ordine che ho cercato di evidenziare nei miei articoli degli ultimi anni, orientato a contrastare i due problemi fondamentali per la sopravvivenza del genere umano: la riduzione delle disuguaglianze nei singoli paesi e a livello mondiale, e uno sviluppo compatibile con le risorse finite del nostro pianeta.

Ormai uno stuolo di studiosi progressisti ha posto le basi di una nuova economia, che tarda tuttavia ad essere accompagnata da una nuova generazione di leader politici e soprattutto da un nuovo “sentimento” nell’opinione pubblica.

E’ in corso un radicale ripensamento del ruolo della scienza economica nel nuovo contesto sociale. Esistono studi e proposte per profondi cambiamenti nei suoi paradigmi fondamentali, che tendono verso una maggiore  integrazione con le altre scienze sociali, un suo maggiore orientamento al benessere degli uomini e delle comunità piuttosto che ai modelli econometrici spesso astratti, agli aspetti qualitativi piuttosto che quantitativi. Gli studi sono particolarmente orientati a contrastare i frutti avvelenati del neoliberismo: l’esplosione delle disuguaglianze e il degrado ambientale.

Molti di questi studiosi, come Anthony Atkinsons, il premio Nobel Joseph E. Stiglitz, Thomas Piketty, hanno proposto sistemi di interventi concreti da attuare nel quadro di strategie globali, rispondenti ai criteri che oggi sono riassunti nell’acronimo ESG (Environment, Social, Governance).

Ormai da molto tempo si parla dell’insufficienza dell’indicatore del PIL (Prodotto Interno Lordo) come capace di riassumere in un solo dato l’andamento del benessere. E’ come se il pilota di un grande aereo di linea intercontinentale avesse un solo indicatore dell’andamento del volo. Joseph E. Stiglitz, Jean.Paul Fitoussi e Martine Durand, In un loro recente libro (Misurare ciò che conta. Al di là del PIL, Giulio Einaudi Ed., 2021) hanno rendicontato sulle ricerche in atto per definire un “cruscotto” essenziale che segnali non solo l’andamento del reddito, comunque prodotto, ma quello del reale benessere di una comunità, nel quale la riduzione delle disuguaglianze di ogni tipo, pur nella diversità, gioca un ruolo fondamentale.

Kate Raworth ha descritto un nuovo paradigma economico come una “ciambella”: una circonferenza che segna il limite esterno, invalicabile, delle risorse del pianeta. E che all’interno contiene un grafico a stella composto da raggi/indicatori del grado di conseguimento del benessere (reddito, disponibilità di acqua, di cibo, istruzione, sanità, energia, equità sociale,…). La tendenza al centro lungo i raggi segna un peggioramento delle condizioni di benessere fino alla povertà. La tendenza verso la circonferenza la loro ottimizzazione.

Importanti, a supporto dei nuovi orientamenti della scienza economica, sono i segni concreti di una diversa visione della “governance” delle imprese. E’ vero: dell’opportunità e convenienza per le imprese di una gestione orientata non solo agli “shareholder”, cioè al profitto degli azionisti (con i manager nel ruolo di famelici pesci-pilota), bensì di tutti gli “stakeholder” coinvolti nelle sorti dell’impresa (dai clienti, ai dipendenti, ai fornitori, fino al contesto sociale e territoriale) si parla da decenni, ma marginalmente. Io stesso, già negli anni novanta del secolo scorso, lo proponevo nelle mie consulenze per gli aspiranti imprenditori e nei corsi sulle strategie aziendali. E’ vero: molte enunciazioni in questo senso si sono tradotte in politiche di green washing, in argomento di marketing e di pubbliche relazioni. Tuttavia anche queste strumentalizzazioni sono il segnale di una tendenza. E ancor più lo è il fatto che gruppi importanti di imprenditori e manager, come ad esempio i ricchi e potenti membri della Business Roundtable, abbiano cambiato in questo senso gli statuti di associazioni e imprese. E non per un sussulto etico, ma per la constatazione che una governance più equa e compatibile produce nel tempo un vantaggio competitivo sostenibile.

Per più scettici, il fatto che recentemente i maggiori gestori di patrimoni abbiano cominciato ad orientare i propri investimenti in imprese rispondenti a indicatori ESG, fino a percentuali molto consistenti dei capitali globalmente gestiti, dovrebbe costituire un segnale indiscutibile di un cambiamento in atto dell’ordine economico e politico.

 

20230406 greta tunberg

Greta Thunberg, in una recente protesta in Germania

 

Questo orientamento si profila anche nel nostro Paese. Un recentissimo pamphlet di Carlo De Benedetti,(Radicalità. Il cambiamento che serve all’Italia, Solferino 2023) ne è una testimonianza, non certo unica. Agli argomenti sulla convenienza, per un imprenditore, di uno sviluppo equo e compatibile, egli aggiunge quello della bellezza, stabilendo un ponte ideale tra Adriano Olivetti e Steve Jobs. «La bellezza è un incentivo non trascurabile», dichiara in modo pragmatico. De Benedetti è un capitalista di 88 anni molto discusso, ma contrassegnato da un emblema molto positivo: è l’opposto di Berlusconi, l’anticipatore nostrano di Trump. De Benedetti fa parte, per l’Italia, di coloro che possono fornire a un nuovo ordine politico uno degli elementi che Gerstle ritiene segnaletici dell’affermarsi di un nuovo ordine: il fund-raising, l’attrazione di risorse essenziali per il successo.

Le premesse scientifico-culturali e le proposte per un nuovo ordine politico sono quindi consistenti. Ma i problemi e gli ostacoli lo sono altrettanto, e tuttora prevalenti.

La guerra in Ucraina ha compromesso la probabilità che, dopo la pandemia da Covid 19, ci fosse una potente resilienza dell’economia e della convivenza globali. Questa guerra di Resistenza, con la erre maiuscola, contro il bullismo internazionale, distoglie purtroppo grandi risorse da destinazioni di sviluppo equo e sostenibile. Essa preme in direzione opposta a quello che dovrebbe essere un percorso obbligato e permanente: la riduzione progressiva delle spese militari. Il clima attuale di convivenza non è certo ispirato a uno spirito di collaborazione e di costruzione di istituzioni globali. E’ dominato dalla mancanza di fiducia reciproca e di potenziale aggressività. Il multilateralismo proposto dalla Cina come superamento degli imperialismi del passato sarebbe auspicabile se non sospetto di strumentalità.

 

20230406 movimento 68

1968, manifestazione del Movimento Studentesco a Milano - Foto di Carla Cerati 

 

Un importante fattore d’incertezza è costituito dall’intelligenza Artificiale (AI) come ultimo sbocco della rivoluzione digitale in atto. «Essa trasformerà la trama della nostra realtà e della nostra società», dichiara Mira Murati, Chief Executive Officer di Open AI, società che ha creato il molto discusso ChatGPT (la Repubblica, 5 aprile 2023). Quanto il suo inesorabile affermarsi sarà uno strumento o una minaccia per la convivenza umana è sotto osservazione, e dipendente dagli interventi umani per governarla.

Ma forse l’aspetto più problematico per il maturare di un nuovo ordine politico è costituito dal sistema di valori e comportamenti delle nuove generazioni. Valori, simboli, riti, modelli comportamentali del passato sono sostanzialmente cancellati. Le capacità intellettuali appaiono straordinariamente aumentate e modificate rispetto a quelle delle generazioni precedenti. Ma gli esiti delle libertà rivendicate e conquistate fin dai movimenti degli anni sessanta del secolo scorso sono ancora in gran parte misteriosi.

Forse è latente un’esigenza di trascendenza, di sublimazione, un’aspirazione alla “fratellanza”, il valore fondante delle democrazie insieme alla libertà e all’eguaglianza, ma il più dimenticato. Un’esigenza che si sfoga nel tifo sportivo, nei grandi concerti rock, nella costituzione di gruppuscoli “eroici”, fino al culto della violenza. Una esigenza a cui la politica illuminista di sinistra non dà risposta, e che invece costituisce un terreno fertile per le manipolazioni populiste.

Alla fine, non posso che condividere la conclusione di Gerstle che attualmente «regna il disordine». E non resta che aspettare il maturare un nuovo e diverso sentimento del tempo, incarnato nelle nuove generazioni, e l’avvento di nuovi leader. Io sono per natura e determinazione ottimista, nonostante tutto. Ma purtroppo il nuovo ordine non lo vedrò. Il che mi secca molto.

 

Foto di copertina: Franklin Delano Roosevelt, 1935, Courtesy: Library of Congress.

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.