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Seconda parte delle interviste sugli errori, i partiti, i valori, da chi e cosa ripartire dopo la catastrofe di marzo. Rispondono Fabrizio Bottini, Milena Bracesco, Paolo Loscalzo e Bertram Niessen

Alle elezioni dello scorso marzo la Sinistra italiana, in tutte le sue sfumature, ha toccato il fondo. Una sconfitta su tutti i fronti e a tutti i livelli (locale e nazionale) per un numero di voti mai così basso. Era un risultato prevedibile? Era inevitabile? Ma, soprattutto, conseguenza di cosa, di quali errori? E cosa fare ora? Rassegnarsi all'estinzione, all'irrilevanza, ricominciare dalle elementari?

Da questi interrogativi è nata la necessità di raccogliere le idee, le riflessioni di chi è impegnato in prima persona (amministratori e uomini di partito) ma soprattutto di chi la politica la vive da semplice cittadino. Così ho pensato di rivolgere 5 domande per la Sinistra a persone note e non, su quello che sta succedendo a Monza o in Lombardia o in Italia. Persone interpellate non in rappresentanza di, ma come singoli punti di vista singolari. A partire da oggi e a più riprese su Vorrei troverete le risposte. Ad accompagnarle saranno in apertura una vignetta di alcuni dei più importanti autori satirici italiani e poi uno dei manifesti o delle foto delle lotte storiche della Sinistra, perché — la butto lì — c'è anche una questione di linguaggio e di immagini/immaginario dietro questa catastrofe.

I quattro intervistati di oggi sono Fabrizio Bottini, urbanista e blogger (www.cittaconquistatrice.it), Milena Bracesco già consulente finanziario ora vicepresidente dell'ANED Monza e Sesto San Giovanni, Paolo Loscalzo gestore delle Officine Libra e Bertram Niessen, sociologo e direttore scientifico di cheFare, agenzia per la trasformazione culturale.

Nei prossimi giorni, a cadenza irregolare, seguiranno tanti altri. Le domande per tutti sono queste cinque:

  1. Cos'è successo a Monza, in Lombardia e in Italia. La Sinistra ha perso su tutti i fronti. Quali sono gli errori più grossi commessi?
  2. Perché così tanti partiti e così pochi voti a sinistra?
  3. Davvero Destra e Sinistra sono concetti sorpassati?
  4. Quali sono i cinque valori per cui la Sinistra dovrebbe battersi oggi.
  5. Da cosa e da chi ripartire?

 

Fabrizio Bottini, urbanista

1 - Senza riferimento particolare ad alcun territorio specifico (non è il mio mestiere l'analista delle discrasie domanda-offerta) sono convinto che esistano due problemi: il primo delle forme di comunicazione, il secondo, complementare ma con una sua autonomia, dei gruppi socio-culturali di riferimento. Da un lato si presume esista ancora un cosiddetto «zoccolo duro» per quanto parecchio ridimensionato, a cui non è sostanzialmente necessario comunicare alcunché salvo la propria esistenza, e qui la questione messaggio e forme non si pone. Dall'altro la totale improvvisazione su chi dovrebbe essere il ricettore privilegiato dall'altra parte del messaggio (fasce di età, di reddito, di istruzione, posizione nel mondo del lavoro, aspirazioni …) frammenta e banalizza. Il famoso spot con la famiglia in auto e Renzi che alla fine di una serie di messaggi «schegge» fa capolino dal finestrino, mi pare emblematico di questa specie di schizofrenia, o quanto meno frammentazione.

2 - Scendendo dalla medesima logica della Domanda n. 1 la proporzionalità diretta tra moltiplicazione delle sigle e delle proposte (anche difficili da distinguere nei contenuti) che si classificano di sinistra, e calo anche vistoso dei consensi, ai singoli marchi come all'insieme, deriverebbe dalla scarsa fiducia che ispirano, programmi e strategie con una immagine di parzialità, a volte addirittura  cercata e perseguita. La sinistra per il ceto medio, quella per le famiglie, quella per le irrequietezza giovanili o professionali, l'altra che punta tutto sui diritti della persona distinguendosi e quasi scontrandosi con un'altra ancora dove brilla la rinuncia implicita a qualche diritto individuale in cambio di una avvolgente solidarietà. Difficile, a volte impossibile, trovare qualcosa di simile all'antico messaggio-contenitore rassicurante. Ma anche difficile trovare davvero il nuovo, inteso come rivisitato «sole dell'avvenire»: qualche rivendicazione, qualche rimpianto, rassicurazioni e sfide, ma che evidentemente coinvolgono sempre meno.

Difficile trovare davvero il nuovo, inteso come rivisitato «sole dell'avvenire»: qualche rivendicazione, qualche rimpianto, rassicurazioni e sfide, ma che evidentemente coinvolgono sempre meno.

3 - Destra e sinistra sono «concetti sorpassati» se le si considera come il coacervo naturale e contrapposto, da un lato di individualismo, competitività, conservazione sociale; dall'altro comunità, solidarietà, innovazione in ogni campo strumentale al progresso. Questi tipi di chiare agglomerazioni di sicuro non esistono più, basta pensare a quante «identità» territoriali, economiche, professionali, culturali, decidono di autocollocarsi nell'uno o nell'altro campo, addirittura spesso finendo col qualificare il «marchio». A volte davvero in termini ridicolmente simili a quando anni fa qualcuno (profeticamente?) spiegava che tifare per una certa squadra di calcio significava di fatto schierarsi politicamente.

4 - a)  restare naturalmente saldi nel «mondialismo» (uso deliberatamente il termine spregiativo considerato dalla destra sinonimo di ambiguo meticciato) contro divisioni e artificiose guerre tra poveri a carattere identitario, quelle che generano gli stupidi e masochisti sovranismi, assai simili al marxiano «idiotismo della vita rustica» nell'epoca dell'urbanizzazione globale e della smart land; b) ribadire la strumentalità del progresso economico, che senza un orizzonte sociale e umano più ampio finisce per assomigliare sempre troppo al progetto capitalista liberale con vaghe sfumature religiose; c) ribadire la propria alterità (magari anche complementare ma nettamente distinta) al tipo di valori solidali, familiari, di convivenza, di aspirazioni, espresse dalle fedi religiose, ovvero proporsi come politica, non fede (sono due cose molto diverse, ce lo siamo proprio scordato andando al traino per lustri con la scusa della «crisi delle ideologie»); c) perseguire e far propria ogni tipo di innovazione a carattere scientifico, tecnico, sociale, culturale e in generale di conoscenza, distinguendosi in ciò dalla destra politica anche nell'idea di «conservazione» dello stato di cose esistente; d) desacralizzare il lavoro inteso come mistico sudore della fronte per «portare a casa il pane», ricordandosi che non esiste nulla di più conservatore, o addirittura reazionario, di questa idea: lavoro è espressione di talento e contributo al progresso, non la condanna divina dopo la cacciata dall'Eden; e) considerare l'innovazione scientifico-sociale, ambientale, delle relazioni interpersonali e dei rapporti di potere, come un campo aperto e disponibile, anziché oscuro tabù, o puro strumento per raccogliere qualche effimero consenso da qualche altrettanto effimero segmento di mercato politico. 

Lavoro è espressione di talento e contributo al progresso, non la condanna divina dopo la cacciata dall'Eden

5 - Leggo il verbo «ripartire», spero correttamente, come orientamento verso obiettivi stabiliti altrove, e quindi di nuovo a valle di strategie e valori. Si può in questo senso ripartire da diverse cose, e vorrei qui proporre le città. Città in primo piano per via della nota urbanizzazione planetaria, che ovviamente significa più e altro, che non la «cementificazione» (termine da destra qualunquista) del mondo, ma la sua civilizzazione, a comprendere non solo esseri umani ma altre specie e risorse naturali-ambientali. Città in primo piano proprio per la ripartenza della sinistra, se pensiamo a quella sorta di neo Lega Anseatica dei progressisti urbani contro le armate delle tenebre reazionarie vandeane (la distinzione ben nota tra le città che votano in tutto il mondo «a sinistra» e gli hinterland trumpiani, leghisti, sovranisti, integralisti religiosi. Città laboratorio della nuova convergenza tra classe media (nel senso culturale più che di reddito, anche se la fascia di reddito ahimè conta parecchio) centrale e periferie disagiate non più «zoccolo duro operaio» di consenso ai partiti tradizionali di sinistra. Ricomporre in modo avanzato quella antica alleanza, ovvero l'idea di progresso necessariamente elaborata da una élite, proposta a una massa che la accetta strumentalmente per migliorare le proprie condizioni materiali ma soprattutto per entrarci, in quella condizione elitaria, cambiandone i termini, mi pare un discreto punto di «ripartenza».

 

Milena Bracesco, vicepresidente dell'ANED Monza e Sesto San Giovanni

Sono domande complesse di non facile risposta. Io, che giovane non lo sono più, penso che i giovani che vedono un futuro non sostenibile e precario e che si sentono dimenticati da quelle forze che nel passato hanno invece lottato a fianco di studenti e lavoratori per migliorare le condizioni di vita penso, fatichino a capire che cosa sia la sinistra e quale differenza proponga la destra. Valori di ieri, quali rispetto libertà giustizia sociale garanzia di un lavoro sembrano oggi solo parole. Detto questo, io non sono pessimista e venerdì 4 accompagnero 150 studenti in visita ai lager nazisti perché credo molto nelle intelligenze fresche, vanno solo meglio guidati e indirizzati ad una società che metta ancora l'uomo al centro e non sempre e soltanto il profitto. 

 

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Milano, 1977 - Foto tratta da www.lastampa.it

 

Paolo Loscalzo, gestore delle Officine Libra

1 - Credo che non si possa fare lo stesso discorso per Monza (e -più in generale- per la Lombardia e il Nord-Italia) e il resto del paese. Qui a Monza a mio parere la sinistra ha perso nella tattica per non essere riuscita a distinguersi per una proposta di gestione del territorio (verde, mobilità, servizi, sicurezza) forte e riconoscibile e nella strategia per una cattiva gestione delle (possibili) alleanze - vedi Piffer -, unita ad una proposta nelle candidature di basso appeal.

2) Nei momenti di maggiore confusione è difficile far emergere soggetti ed obiettivi comuni. Quando non si sa dove andare non solo non si ha nessun vento a gonfiare le vele ma si assiste alla moltiplicazione dei nocchieri. Scompariranno veloci come sono apparsi quando la prua sarà salda e l'approdo certo. Insomma senza Itaca nessun Ulisse è possibile e viceversa. Per il resto il quotidiano è fatto di Proci alla radio o in Tv.

A Monza la sinistra ha perso per non essere riuscita a distinguersi per una proposta di gestione del territorio (verde, mobilità, servizi, sicurezza) forte e riconoscibile e per una cattiva gestione delle (possibili) alleanze - vedi Piffer -, unita ad una proposta nelle candidature di basso appeal.

3) Si. In senso politico, sociale, metagenerazionale. Vanno ridefiniti valori e contenuti di parole tipo “Sinistra”. Però attenzione non tutta l'eredità politica del '900 è andata, alcune ricette per la pacificazione sociale (leggi Fascismo, nel senso non militare del termine) sono ancora - secondo me - pericolosamente attuali.

4) L'idea che una società nuova, migliore perchè più libera e giusta è più attuale che mai. La Sinistra dovrebbe riconoscersi in alcuni valori universali da declinare nel concreto in maniere differenti a seconda dei territori.
a) Diminuzione della sperequazione della ricchezze a livello locale e come corollario a livello globale.
b) Rifiuto della guerra, in qualsiasi forma si manifesti come forma di soluzione dei conflitti.
c) Diritti inalienabili della persona ovunque essa nasca. Diritto alla mobilità, all'istruzione, alla sanità di base, all'accesso al minimo vitale garantito per tutti.
d) Ridefinire il rapporto con l'ambiente, ponendo in primo piano la vivibilità e la salubrità dell'ecosistema.
e) Ripensare l'istruzione. La scuola deve formare i cittadini, non sfornare i commercialisti.

5) A Monza? In Italia? In Europa? A Monza dal Libra, in Italia dal PD, sfidando l'attuale dirigenza con un programma di belle ed attuabili riforme. In Europa sinceramente non saprei, anche perché penso che il nostro futuro prossimo è più legato al Mediterraneo piuttosto che all'Oltralpe...

 

Betram Niessen, Direttore scientifico di cheFare

1 - La sinistra (in Italia ma non solo) da decenni si propone in una serie sempre più limitata di salse, tutte più o meno stantie.
Per molti è la scelta del buonsenso, della ragionevolezza, della temperanza: virtù moderate e programmaicamente antiutopiche che non scaldano più i cuori di nessuno. Per altri è la commemorazione di valori più o meno subculturali radicati in un mondo ormai passato. Per altri ancora è l'ergersi a baluardi sempre "contro" qualcosa e mai "per" qualcos'altro. Per moltissimi, infine, è la rincorsa di modelli e valori conservatori che non fanno altro che portare acqua al mulino delle destre.

2 - La cosa più sorprendente della proliferazione di partiti è la completa autoreferenzialità nei quali sono immersi. Appena fuori dai circoli degli appassionati, per la maggior parte dei potenziali elettori molte scelte appiaono come oscuri burocratismi senza tattica o strategia evidenti. Una parte enorme di elettorato potenziale si sente non rappresentato e sceglie di votare diversamente o di astenersi. Per non parlare poi della latitanza cronica dai territori più periferici, che invece vengono battuti costantemente (e, bisogna riconoscerlo, molto abilmente) dalle destre.

Una parte enorme di elettorato potenziale si sente non rappresentato e sceglie di votare diversamente o di astenersi. Per non parlare poi della latitanza cronica dai territori più periferici, che invece vengono battuti costantemente (e, bisogna riconoscerlo, molto abilmente) dalle destre.

3 - Ovviamente no. Sono concetti dinamici, perché hanno a che fare con i posizionamenti di potere nello spazio e nel tempo. Quello che mi sorprende di più è che sembra che nessuno si interroghi sullattualità del concetto di "centro": oggi buona parte del centro-sinistra è  collocato al centro dal punto di vista politico, e l'ambiguità che deriva da questa confusione mi pare che depotenzi costantemente dibattiti e pratiche. La rincorsa al centro continua a fallire da decenni, eppureci si continua a sbattere la testa sopra.

4 - 1) Critica dell'esistente. C'è bisogno di un ripensamento radicale di come diamo valore alle cose, di quali tipi di capitali entrano in circolo nell'economia contemporanea, di chi li gestisce e perché. Di come funziona il potere nel XXi° secolo.
2) Reti. Esistono pratiche locali che possono insegnarci molto. Possono essere replicate e messe in contatto tra di loro per costruire nuove forme di capitali che siano al tempo stesso radicate localmente ed efficaci globalmente.
3) Cultura. Perché non c'è niente di più manipolabile di chi non ha studiato. E perché la natura del valore contemporaneo è sempre più basata sia sull'immateriale che sulla tecnologia: due dimensioni che senza un'elaborazione culturale non sono neanche avvicinabili.
4) Territori. Perché c'è una quantità enorme di persone, là fuori, che hanno voglia di sinistra. Solo che sono fuori dai circoli e non vivono in centro.
5) Collaborazione. E' un valore tradizionale della sinistra che oggi trova moltissime nuove declinazioni e del quale, sorprendentemente, nessuno sembra volersi fare carico.

5 - Ci sono molte figure di spessore nelle amministrazioni pubbliche che spesso continuano a pensare in modo ancora troppo locale. Forse ci sono sfide più ambiziose su cui ragionare. E l'Italia è costellata di organizzazioni (nuovi centri culturali, riviste, spazi di discussione) che sono già oggi le piattaforme su cui costruire un dibattito. Queste stesse discussioni inoltrestanno avvenendo in tutto il mondo, e forse è il momento di iniziare a guardare oltre la punta del nostro naso.

 

In apertura Vauro, tratta da Left.

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Gli autori di Vorrei
Antonio Cornacchia
Antonio CornacchiaWebsite: www.antoniocornacchia.com

Sono grafico e art director, curo campagne pubblicitarie e politiche, progetti grafici ed editoriali. Siti web per testate, istituzioni, aziende, enti non profit e professionisti.
Scrivo soprattutto di arti e cultura.

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