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Noam Chomsky e Bernie Sanders sanno che quando si lotta “per e con” la gente, quando l’onestà dice do no a soldi, pressioni, scambi e corruzioni, quando la passione diventa contagiosa, dal basso si può vincere: gli esempi di Alexandria Ocasio Cortez e Benjamin Jealous. 

 

Domenica 2 luglio i messicani hanno eletto presidente il progressista Andrés Manuel López Obrador, confidenzialmente chiamato AMLO dai suoi sostenitori, e ormai definito dai media il Bernie Sanders del Messico.

Ha scritto il New York Times:

La vittoria di Mr. López Obrador pone un leader di sinistra a guida della seconda principale economia dell’America Latina per la prima volta in decenni, una prospettiva che ha riempito di speranze milioni di messicani e di preoccupazioni l’élite della nazione. 

Le preoccupazioni che affliggono l’élite messicana non saranno in futuro estranee nemmeno a Trump, il cui atteggiamento verso i vicini di casa è stato paragonato dal neopresidente López Obrador a quello di Hitler  nei confronti degli ebrei nella fase precedente l’Olocausto, e che ha già dichiarato che le ambasciate messicane negli Stati Uniti avranno presto un ruolo molto attivo nel prendersi cura, anche  legalmente, dei loro concittadini. 

Per il momento tuttavia  le paure della casta messicana di perdere i suoi privilegi   devono assomigliare a quelle dell’establishment del Partito Democratico il quale, nelle primarie svoltesi finora in vista delle elezioni generali del prossimo 6 novembre per il rinnovo dei 435 deputati della Camera, di 35 dei 100 senatori, di 36 dei 50 governatori e di molti altri incarichi statali e locali, ha visto diversi suoi candidati conservatori e moderati sconfitti dai progressisti.

 

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Foto dalla pagina facebook di Human Reform Politics 

 

Da queste pagine, nel nostro piccolo, abbiamo più volte espresso la convinzione che l’onda lunga, in questo caso l’onda di “medio termine”, della Political Revolution di Bernie Sanders del 2016 prima o poi si sarebbe fatta sentire,  confortati dall'illustre parere di Noam Chomsky.  Fin dall'elezione di Trump il professore si dichiarava  convinto della possibilità di Bernie Sanders di riprendersi le tantissime persone della working class che hanno votato l'attuale presidente. Persone che dall'introduzione delle politiche neoliberiste, che Chomsky data al 1979, hanno visto ridursi sempre più la qualità della vita. Persone che hanno creduto nell'Hope and Change di Barack Obama, ma che ne sono poi rimaste profondamente deluse. La strategia per ricreare fiducia nel cambiamento era, secondo Chomsky,  la capillare organizzazione sul territorio del  movimento della Political Revolution,  con attivisti capaci di coinvolgere la gente ascoltandone i  problemi e mostrando i modi concreti per risolverli. Proprio come successe negli anni '30 quando la  rinascita di movimenti di attivisti, sindacati e lavoratori,  spazzati via nei gli ruggenti anni '20,  mise  le basi per le riforme del New Deal.

Considerando le  vittorie pogressiste che sono cominciate ad arrivare e la moltitudine di movimenti sandersiani che sono sorti pronti a coordinarsi tra di loro, pare che ciò sia successo. E attivisti e candidati hanno spesso portato la  politica di F.D. Roosevelt negli anni della Grande Depressione  come un virtuoso esempio da seguire insieme ad una serie di pratiche da cui c'è molto da imparare. 

 

20180707 Noam Chomsky

Noam Chomsky in un fotogrammma del trailer del documentario Requiem for the American Dream

Alcune vittorie hanno avuto più di altre risonanza internazionale, come ad esempio quella dell’afroamericana  Stacey Abrams, che il 22 maggio si è aggiudicata la corsa  per la carica di Governatore della Georgia, uno degli stati culla di schiavitù, segregazione e razzismo. Eppure la sua nomina, definita di portata storica essendo la prima volta che una donna nera sconfigge candidati democratici bianchi (in questo caso un’altra Stacey di cognome Evans), Stacey Abrams non l’ha ottenuta parlando di razza, ma di una “nuova Georgia” in cui le esigenze della gente comune, indistintamente bianca e di colore, ridotta ai minimi storici quanto a welfare e dignità della vita, diventino la priorità della politica. 

Ma è di due personaggi  usciti vincitori dalla tornata elettorale del 26 giugno, entrambi ex organizzatori della campagna presidenziale di Sanders, che ci occuperemo qui più dettagliatamente: Alexandria Ocasio Cortez, nominata per la Camera dei Deputati nel 14° distretto di New York (Bronx e Queens), praticamente già sicura della sua futura elezione, e Benjamin Jealous, in corsa per il governatorato del Maryland (lo stato di Baltimora),  che il 6 novembre se la dovrà vedere con il giovernatore repubblicano in carica Larry Hogan.

La vittoria di Alexandria Ocasio Cortez  sul deputato Joe Crowley,  numero 4 dei Dem alla Camera, rieletto per vent'anni consecutivi,  gli ultimi 14 dei quali senza neppure avere uno sfidante alle primarie, è la più eclatante. Quella che in un baleno ha fatto il giro di tutte le reazioni del mondo con termini  quali "sconvolgimento senza precedenti",   “terremoto”“apocalisse democratica”.  Una vittoria inaspettata che ha seminato il terrore  per l’effetto traino che potrà avere sulle restanti primarie, le quali  si concluderanno il 13 settembre con una delle sfide più attese, quella  tra Andrew Cuomo e Cynthia Nixon per il governatorato dello Stato di New York, di cui ci occuperemo prossimamente. 

 

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Uno dei manifesti elettorali di Alexandria  Ocasio Cortez

Nata e cresciuta nel Bronx, americana di prima generazione di una modestissima famiglia di origini portoricane, laureata alla Boston University dove ha fatto uno stage all'Ufficio Immigrazione del Senatore Ted Kennedy,  attivista sandersiana  nel 2016, insegnante e contemporaneamente cameriera,  Alexandria Ocasio Cortez ha vinto (57% contro 42% dei voti)  con un budget, interamente frutto di piccole donazioni, di dieci volte inferiore a quello raccolto senza sforzi  tra il "big money" dal "Boss del Queens", soprannome che  Joe Crowley mantiene nonostante viva in Virginia fin dal suo primo mandato.

 Tipico esemplare di quei “corporate politicians", foraggiati con milioni di dollari da Wall Street di cui diventano inevitabilmente “yes men” o “yes women”, nel 2010  Croeley era stato indagato dalla Commissione Etica del Congresso perché nello stesso  giorno in cui  aveva accettato assegni molto cospicui da lobbisti di ditte finanziarie si era precipitato in aula giusto in tempo per votare contro alcuni emendamenti, proposti da esponenti del suo  partito, che avrebbero imposto restrizioni a Wall Street. Ma ciò non è mai stato di intralcio alle sue elezioni successive.
Ed anche questa volta Crowley  era  talmente  sicuro della vittoria da avere  preventivamente elargito generose donazioni  ad altri democratici, convinti come lui della propria rielezione,  in cambio del loro appoggio  per strappare  a Nancy Pelosi la carica di prossimo speaker dei Dem alla Camera.  

 

20180707 Ocasio Cortez e Joe Crowley

Un fotogramma tratto da TBTV (Tim Black TV), in cui il progressista Tim Black commenta il dibattito tra Alexandria Ocasio Cortez e Joe Crowley andato in onda su Spectrum News NY.

La sua sicurezza però, e forse anche l'abitudine a non avere sfidanti aggiunta alla sottovalutazione del "nemico", gli hanno giocato un brutto tiro, a partire dalla figuraccia fatta nel confronto diretto del 15 giugno organizzato dalla  rete Spectrum News New Yorkquando  Alexandria lo  ha messo platealmente all’angolo sui temi scottanti come appunto quelli del big money e della effettiva conoscenza del suo distretto.
Le risposte di Crowley avrebbero suscitato l’imbarazzo anche di un imbecille, tanto sono risultati evidenti i suoi tentativi di salvarsi con delle bugie, ma soprattutto cercando maldestramente di  portare  il discorso su argomenti che nulla avevano a che fare con i temi in questione, come il  provvedimento di Trump che ha separato bambini dei migranti dalle loro famiglie. Strumentalizzazione  che è risultata tanto patetica quanto vergognosa.

Del resto parlare di Trump e dei suoi peggiori comportamenti per invocare la necessità dell’unità democratica è  la tipica strategia di quei politici del partito che non vogliono cambiare lo status quo dei loro privilegi. 
Ma la Political Revolution ha dato vita a gruppi e movimenti che non solo  hanno impostato le loro campagne sul contatto diretto con le persone e sui loro bisogni,  ma hanno coinvolto nell'attivismo e nelle candidature persone comuni che tra la gente comune vive e della quale conosce e spesso condivide le difficoltà. 

Il  bellissimo video promozionale  di Alexandria si apre con queste parole:  

 «Non ci si aspetta che le donne come me possano entrare in politica.  Non sono nata in una famiglia ricca o potente. Mamma di Portorico, papà  del Sud Bronx. Sono nata in un luogo dove il tuo codice postale determina il tuo destino

E più avanti:

«Entrare in politica non era nei miei piani. Ma dopo 20 anni della stessa rappresentanza dobbiamo chiederci: per chi è cambiata la città di New York? Ogni giorno è sempre più difficile per famiglie lavorarici come la mia tirare avanti, gli affitti aumentano, la copertura sanitaria diminuisce e il nostro reddito è sempre lo stesso. E' chiaro che i cambiamenti non sono satti fatti per noi.»

E in un altro video: 

«C’è differenza nel dire nel dire “Votate per me, sono latina” e nel dire “I latini meritano di essere rappresentati e di sedersi al tavolo”. E questo è particolarmente importante in una città come New York dove il 56% della popolazione è di colore e in un distretto dove la sua percentuale è del 70%. (…) Il nostro deputato in carica vive  stabilmente in Virginia da 20 anni. Come puoi sapere quali siano i nostri bisogni se i tuoi figli non vanno nelle nostre scuole? Quando non bevi quest’acqua? Quando non prendi la metropolitana? Quando telecomandi a distanza da 20 anni? Il gioco sta cambiando e i metodi con i quali si è entrati in politica finora non devono essere gli stessi con i quali entrarci oggi. Se provieni dalla working class, se sei di prima generazione, se sei una donna, se sei una persona di colore, o qualunque altra cosa, il motivo per cui noi non abbiamo mai avuto posizioni politiche è perché pensavamo di non poterne avere. Non avevamo accesso ai soldi, non avevamo le conoscenze giuste e tutte quelle cose che venivano richieste. Penso che la cosa principale che stiamo mostrando ora è che siamo all'inizio di un nuovo giorno.»

 

Il video promozionale per la campagna di Alexandria Ocasio Cortez.

 

Insomma vuoi per la sfida ad un pilastro dell’establishment come Joe Crowley, vuoi per la preparazione e la personalità che Alexandria sprizza da tutti i pori, vuoi pure per la sua bellezza semplice e pulita, il 26 giugno scorso  la giovane latina si è trovata di punto in bianco non solo ad essere la breaking news di tutte le redazioni del mondo, ma anche l’emblema del miracolo progressista. In effetti la sua vittoria, come quella degli altri progressisti, ma anche come la popolarità che altri sandersiani, vincitori o meno, stanno acquistando sempre più in questo processo di cambiamento, deriva da fattori molto più concreti che miracolosi.  

Si tratta insomma delle pratiche dalla politica dal basso, quella che, come da sempre afferma Noam Chomsky, è l’unica in grado di permettere che i cambiamenti sociali accadano. 

E questo nonostante le difficoltà che spesso persone come Alexandria incontrano, anche per gli ostacoli imposti da regole studiate ad arte per scoraggiare la partecipazione di tutti alla vita politica, tranne poi parlare di indifferenza e lamentare l’astensionismo. Dice ancora Alexandria:

«Conosco la mia comunità, vivo qui e so che tutte queste storie sulla gente che non vota sono false. So che se le persone  non votano  non è perché non sono istruite o disinformate o perché non capiscono. Le persone non votano perché nessuno parla con loro. E allora noi abbiamo deciso, sapete cosa?, che è ora di finirla!
Il problema a New York è che è difficilissimo accedere alla candidatura. La maggior parte dei candidati paga dai 20.000 ai 40.000 dollari per essere ammessi alla corsa elettorale. Assumono consulenti che raccolgono tutte le firme che sono richieste, ma noi non avevamo tutti quei soldi da buttar via. Il giorno prima della chiusura delle candidature nessuno a New York pensava che noi avessimo le firme. Ci avevano detto: ”Questo è un problema che dovete risolvervi da soli.” E noi siamo arrivati lì e abbiamo messo sul tavolo del comitato elettorale 5.480 firme raccolte con zero soldi. Perché è esattamente questo che si può ottenere quando ci si mette tutti insieme.»
 

Quando ci si mette tutti insieme, dice Alexandria. Perché è la forza dell’unione delle persone a fare la differenza. Persone che dopo l’eliminazione di Bernie dalla corsa presidenziale (ottenuta con comprovati imbrogli dell'establishment di cui a suo tempo abbiamo  portato testimonianze su queste pagine), si sono rimboccati le maniche ancor più di prima e, all’insegna del suo  Not me, us! e dei consigli di Noam Chomsky,  hanno contrapposto a rabbia e rassegnazione la forza delle idee e sono organizzati con ancor maggiore capillarità, costituendo una rete di gruppi pronti al momento del bisogno a combattere insieme "al motto", come dice Ben Jealous, "dei tre moschettieri: uno per tutti, tutti per uno”. 

 

20180707 Cenk Uygur e BenJealous

Un fotogramma dell'intervista di Cenk Uygur (a sinistra) sulla  rete The Young Turks a Benjamin Jealous dopo la sua vittoria per la nomina democratica alla corsa per il governatotrato del Maryland.

Sebbene la vittoria di Ben Jealous sia stata molto meno visibile a livello internazionale, è una di quelle che contano moltissimo a livello nazionale. Nato 45 anni fa, l'aspirante governatore del Maryland  è praticamente venuto al mondo con l’attivismo sangue, avendo una mamma nera e un papà bianco, entrambi impegnati a livello sociale,  conosciutisi a Baltimora ma sposatisi a Washington poiché fino al 1967 il Maryland non consentiva matrimoni interrazziali. La determinazione con cui Ben ha portato avanti le sue lotte fin da ragazzo lo ha fatto presto considerare uno dei più promettenti leader del Movimento per i Diritti Civili, e le sue conquiste nell'introduzione di alcuni di essi lo hanno portato a soli 35 anni ad essere eletto  presidente della NAACP (National America Association of Coloured People), portando nel movimento una rivitalizzazione che non conosceva da tempo. Un’esperienza  che gli è servita anche per imparare molte cose utili per la sua campagna elettorale attuale, che anche lui ha vinto senza contributi  di corporation, lobbisti e big money.

«Il rischio l'ho corso fin dall'inizio quando mi hanno detto: “Senti un po’, quando raccogli i soldi per una campagna elettorale è come se stessi costruendo una bici. Una bici ha due ruote. Una è quella dei contributi che arrivano dalle persone e l’altra è quella dei contributi delle corporation.” Al che io ho risposto: “Io voglio correre con un monociclo e se ciò significa perdere contro una bici, allora perderò la gara.” E poi invece è successo che abbiamo raccolto più contributi individuali di tutti gli altri candidati messi insieme. Il 99,9% dei soldi è arrivato dalla gente e il restante 0,1% è arrivato da sindacati e da piccole attività che ci hanno fornito cibo e bevande per la campagna

Nell’intervista rilasciata a Cenk Uygur della rete di informazione indipendente The Young Turks (più volte citati nei nostri articoli americani) Ben racconta come anche la sua campagna nelle primarie si sia svolta battendo a tappeto il territorio palmo a palmo.
Alla domanda  sulla eventualità di scendere a compromessi con le ali conservatrici e moderate del Partito Democratico se vorrà battere un governatore  repubbicano popolare come Larry Hogan, Jealous ha risposto:

«Noi continueremo a muoverci in una sola direzione che, onestamente, non va né verso sinistra, né verso destra, ma verso la gente. Sono arrivato a questa convinzione  durante la mia carica di presidente della NAACP.  Quando ho lavorato in stati di gran lunga più conservatori del nostro per ridurre il loro sistema carcerario più rapidamente, l’abbiamo fatto con un appoggio bipartisan, perché abbiamo ascoltato la gente e abbiamo messo insieme le persone. C’erano conservatori tradizionalisti che erano preoccupati per il continuo aumento delle prigioni; c’erano libertari che erano d’accordo con noi su una serie di questioni relative alla giustizia criminale. E c’erano anche dei conservatori cristiani che si sono uniti ai progressisti e alla comunità dei diritti civili perché, occupandosi delle funzioni e delle pratiche religiose in carcere, avevano capito  ciò che poche persone capiscono. Ossia che noi non solo abbiamo il maggior numero di incarcerati di colore del pianeta, ma abbiamo anche il maggior numero di incarcerati bianchi del pianeta. E questa è una cosa che distrugge tutte le famiglie, che  in comune hanno il fatto di essere così povere da non potersi permettere di assumere avvocati.  [per approfondimenti sul tema Noam Chomsky, Ava DuVernay e la "giustizia" americana]  

L’esperienza di dirigere il NAACP per me è stata una grande lezione. Mi ha insegnato che quando vai nella direzione della gente  puoi creare un nuovo centro. Un centro fondato sul coraggio e sul buon senso, ed è quello che stiamo facendo in questa corsa. Soffrire per famigliari che hanno problemi di dipendenza dall’eroina o dalle pasticche non è un problema di parte, è un problema  della gente. Combattere per eliminare i debiti degli studenti non è una problema di parte, è un problema della gente. Preoccuparsi perché i tuoi bambini non hanno una buona istruzione nelle scuole pubbliche non è un problema di parte, ma un  prolema della gente. E lo stesso vale  per il nostro sistema fiscale nel quale abbiamo  i top manager  che pagano meno tasse delle loro segretarie. Mentre abbiamo contemporaneamente cittadini anziani con pensioni  fossilizzate o che si vedono sequestrare la  casa, come qui a Baltimora, perché non hanno i soldi per pagare la tassa sulla proprietà. Tutti questi non sono problemi di parte, sono problemi della gente. Ecco perché  condurremo la nostra campagna rivolgendoci direttamente alla gente e avremo il coraggio di mettere le soluzioni reali sul tavolo.»

Come dice la scritta sulla foto di apertura, una delle tante di Bernie Sanders che circolano in rete,  I veri leader non creano  seguaci, creano altri leader. 

Bernie Sanders un vero leader lo è.
Ci sembra che anche Ben Jealous e Alexandria Ocasio Cortez lo siano.
E' in questo modo che la catena può continuare.
E, come l'elezione di Ablo ha dimostrato in Messico, la catena può oltrepassare i confini limitrofi.  
Ci auguriamo possa oltrepassare anche l'oceano. 

 

1) Bernie Sanders 2018: dove eravamo rimasti?

2) Bernie Sanders 2018: la Walt Disney e la "flat tax"

 

 

Gli autori di Vorrei
Elisabetta Raimondi
Elisabetta Raimondi
Disegnatrice, decoratrice di mobili e tessuti, pittrice, newdada-collagista, scrittrice e drammaturga, attrice e regista teatrale, ufficio stampa e fotografa di scena nei primi anni del Teatro Binario 7 e, da un anno, redattrice di Vorrei.
Ma soprattutto insegnante. Da quasi quarant’anni docente di inglese nella scuola pubblica. Ho fondato insieme ad ex-alunni di diverse età l’Associazione Culturale Senzaspazio.

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