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Il dibattito Clinton-Trump di Saint Louis, media mainstream e reti indipendenti, le contraddizioni di Bernie Sanders, l’indecisione dei suoi sostenitori tra la demexit e il go green da una parte e il lesser evil dall’altra. Il documentario The best democracy money can buy di Greg Palast e l’intervista alle scrittrici progressiste Dianne Feeley e Nancy Holmstrom. 

 

Scrivere un reportage sulle elzioni americane che vada al di là delle ultime notizie e contemporaneamente cercare di fornire aggiornamenti è piuttosto complicato, soprattutto in questi giorni. Le informazioni quotidiane sui vari incidenti di percorso e scandali Trump-Clinton si susseguono ad una tale velocità da rendere volatile ogni tipo di affermazione data per sicura anche solo il giorno prima.
Certo è che questa tanto inedita quanto spettacolare battaglia elettorale vede a confronto due potenziali presidenti che moltissimi elettori, e moltissimi spettatori internazionali, considerano come due mali tra cui gli americani sono chiamati a scegliere il minore.

 

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Iconografie  dei due "mali" tra  cui l'elettorato americano deve scegliere. Sul  cartonato di Hillary un elenco esaustivo di tutti i crimini di cui viene accusata. 

 

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"America was never great!" contraddice il motto di Trump "We’ll make America great again! " e quello di Hillary  "America never stopped being great!" .  Nella foto a destra la scritta sulla maglietta "Not me us",  accanto all’immagine stilizzata di Bernie, è una delle frasi ricorrenti anche sui cartelli ad indicare come  la gente riconosca la generosità della lotta di Sanders, combattuta esclusivamente per la gente.  Nel cartello dietro la bici :"Trump è un imbecille"

 

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A sinistra un cartello che riunisce alcune delle frasi simbolo del movimento di Bernie: "C'è una rivolta che sta prendendo fuoco. Abolite il fracking adesso. Unisciti alla rivoluzione politica oggi ." e l'immancabile "Feel the Bern". Nella foto accanto uno dei tantissimi riferimenti alla frode elettorale reso possibile anche dal conteggio elettronico dei voti. 

 

Ultimi scandali e impressioni a caldo dopo il secondo dibattito Trump-Clinton

A distanza di un mese dal voto dell’8 novembre ancora ci si interroga periodicamente se saranno veramente Trump e Hillary i candidati finali, visto che quasi ogni giorno c’è qualche nuovo tornado ad investire ora l’uno ora l’altra, ora tutti e due contemporaneamente.  

Già il tormentone sulle condizioni di salute di di Hillary, dopo il cedimento dell’11 settembre e la diagnosi di polmonite tenuta nascosta per due giorni, aveva scatenato ipotesi sul suo ritiro dalla campagna e aperto una specie di bagarre su chi potesse essere il candidato da mettere al suo posto. Gli schieramenti erano chiari: establishment pro-Joe Biden, vice di Obama, o pro-Tim Kaine vice nominato di Hillary, ed elettorato pro-Bernie Sanders
Poi però il rientro in pista e la verve dimostrata da Hillary durante il primo dibattito presidenziale del 26 settembre, con le sue sferzate  contro l'avversario e i suoi interventi da politica competente,  hanno scongiurato qualunque ipotesi, o speranza, di un suo ritiro e hanno reso quasi ridicola l’accusa rivoltale da Trump di mancare di stamina, ossia di forza fisica. 

Adesso  tutti e due sono nuovamente travolti da eventi minacciosi, scoppiati proprio alla vigilia del secondo attesissimo dibattito di Saint Louis, conclusosi da poche ore.  Le compromissioni di Hillary in diversi aspetti della  vita politica ed etica, comprovate dalla nuova ondata di email rilasciate da Wikileaks la settimana scorsa,  non sono cosa nuova, così come non sono novità le accuse a  Trump sulla sua considerazione delle donne

Tuttavia è proprio lui a rischiare di subire le maggiori penalizzazioni, soprattutto da parte dell’elettorato femminile. Una registrazione mezza audio mezza video del 2005 messo in rete venerdì 7 ottobre, con berlusconiane dichiarazioni relative ai suoi approcci sessuali con belle donne da cui è attratto magneticamente e che non aspettano altro che farsi sedurre da lui,  ha scatenato un putiferio.
E soprattutto ha portato allo scoperto personalità importanti del mondo repubblicano che avevano dovuto mandar giù a fatica la pillola Trump, ma che ora chiedono a gran voce  il suo ritiro e  minacciano di togliergli il sostegno in favore del suo vice Mike Pence. Persino lo stesso Mike Pence sembra schierarsi dalla parte di Mike Pence presidente! Ma Trump non ci pensa proprio ad abbandonare. Si è scusato in pubblico, ha tirato in ballo le vicende sessuali di Bill Clinton e ha ribadito che il suo seguito è impressionante.

Quanto alla registrazione del 2005 in cui l'allora 59enne Trump parla  in modo triviale con lo showman televisivo Billy Bush, parente stretto dei Bush politici,  del suo metodo  di "grab" (afferrare) le donne "by the pussy", come non notare quanto strategico sia stato il suo rilascio, guarda caso concomitante con le email di Wikilikeas. Ma il sesso ha una presa più forte e la registrazione,  tenuta chissà dove  per undici anni, non poteva essere usata in un momento migliore per distogliere l'attenzione dalle bugie di Hillary.

Se già  non fosse bastato tutto il resto, queste ulteriori concomitanze e dichiarazioni hanno reso lo scontro Hillary-Donald  di Saint Louis caldissimo in tutti i sensi, insomma un hot debate.  Nell'attesa di esaminare con più attenzione il dibattito iniziato con un Trump contrito e dalla salivazione azzerata e con una Hillary pimpante e sorridente, ma finito con un'apparente inversione di tendenza almeno sugli umori dei due candidati, basti dire qui che una sferzata particolarmente pungente e ironica messa a segno da Trump gli è stata praticamente servita da Hillary su un piatto d'argento. 

Ad attaccare è stato Donald parlando delle bugie di Hillary:

Donald:  Se vinco darò incarico al mio attorney general (il più importante  funzionario legale del governo) di nominare uno special prosecutor ( consulente legale non governativo nominato  dal general attorney) che indaghi a fondo nella tua situazione, perché non ci sono mai state così tante bugie.., così tanti imbrogli....

Hillary: ....è davvero una gran cosa che una persona col temperamento di Donald Trump non abbia un incarico legale nel nostro paese.

Donald: Perché tu saresti in prigione!

Come altri interventi pungenti da una parte e dall'altra, la battuta di Trump uscita con  spontaneità e naturalezza  ha scatenato  un inizio di applauo, nonostante  la moderatrice  Martha Raddatz della Abc  avesse invitato i presenti a non commentare e a non  applaudire per non togliere spazio alle domande. Accanto a Marta Raddatz a condurre il  dibattito nel format town hall, ossia  con domande dal pubblico presente selezionato tra elettori indecisi, c'era  Anderson Cooper, uno dei volti più noti della Cnn, oltre che figlio di Gloria Vanderbilt e protagonista insieme a lei del bel documentario di Liz Garbus Nothing left unsaid (tradotto in italiano con lo sviante titolo Confessioni di un'ereditiera), che ripercorre 90 anni di storia americana.  

 

Bernie Sanders e Jill Stein ignorati e/o utilizzati da Cnn e Foxnews ai proprio fini.

A proprosito della Cnn, la rete è pro-Hillary nonostante abbia in forza anche commentatori repubblicani e spesso ospiti nei vari tavoli di discussione personalità di rilievo dello staff di Trump.  Ciò che tuttavia indispone non è tanto l'attuale supporto alla Clinton, ma quello datole durante le primarie, quando Bernie Sanders sembrava quasi non esistere, se non in occasione degli inevitabili faccia a faccia. Il vergognoso trattamento riservato al senatore è continuato, come già rilevato nella prima parte di questo reportage americano,  durante la DNC (Democratic National Convention) di Philadelphia, quando le ininterrotte manifestazioni di protesta di migliaia di Sandersiani sono state prima minimizzate e poi ignorate. 

Se Cnn è  schierata con Hillary, la conservatrice e fiorepubblicana Foxnews è decisamente pro-Trump, sebbene con la rilevante eccezione di Megyn Kelly, una delle giornaliste più brillanti della rete, che ha alle spalle una storia di battibecchi  con Donald per averlo più volte messo in difficoltà  e che proprio in questi giorni è stata protagonista di una faida interna al network con il collega Sean Hannity per la servile intervista di quest’ultimo al candidato repubblicano. Hannity ha ribattuto accusando Kelly di votare per Hillary, come se la libertà di voto non fosse neppure contemplata per chi lavora a Foxnews. 

Faide interne a parte, è naturale che  Foxnews approfitti di  due armi a doppio taglio  quali Bernie Sanders e Jill Stein, altro personaggio ignorato da Cnn se non per una "doveroso" invito più di un mese fa, per cercare di  sottrarre a Hillary i voti dei sandersiani indecisi. Nella settimana precedente il primo dei tre confronti Trump-Clinton un lungo dibattito organizzato da Foxnews con la candidata del Green Party era praticamente sempre in onda, con lo scopo di dirottare verso di lei tutti coloro che sicuramente non daranno mai il loro voto né a Trump né al libertario Gary Johnson, quello che non sa che cosa sia Aleppo.   

 

 

 In un’ulteriore intervista a poche ore dall’inizio del faccia a faccia del 26 settembre, ancora Foxnews ha dato modo a Jill Stein di comunicare che avrebbe "aperto il dibattito ad una seppur parziale democratizzazione", rispondendo in tempo real alle stesse domande poste ai due candidati ufficiali. Cosa  successa anche  per il dibattito di saint Louis e che si ripeterà per il terzo. Il link  al sito di Democracy now!,  http://www.democracynow.org/2016/10/10/expanding_the_debate_jill_stein_debates , rimanda al dibattito di questa notte. 

D’altro canto Trump, nel tentativo di accaparrare addirittura per se stesso i voti di parte dei sandersiani, non manca occasione di giocare la carta Bernie Sandes, come ha fatto ad esempio nel rally del 1 ottobre a Manheim in Pennsylvania, quando ha citato le analoghe posizioni nei confronti del confronti del TPP (Trans Pacific Partnership) e soprattutto il modo ignobile in cui Sanders è stato trattato da Hillary e dal partito democratico. Concetti ribaditi  anche a Saint Louis di fronte alla sua avversaria, che ha apertamente accusato di avere vinto le primarie in modo scorretto, anche con la complicità di Debbie Wassermann Schultz e della DNC. Questa volta Trump si è spinto ancora più in là dicendo di non capire come Bernie abbia potuto "schierarsi con il diavolo".  

 

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Dettagli di due fotogrammi di una ripresa fatta a Filadelfia il 27 luglio 2016,  durante una conferenza cui ha preso parte la candidata verde Jill Stein.  Nella foto a destra  in piedi accanto a lei,  il giornalista, scrittore, attivista, professore universitario e pastore metodista Chris Hedges. Dichiaratamente socialista Hedges, che è arrivato all’auditorio insieme alla Stein, è stato contestato durante il suo primo intervento per avere espresso opinioni molto dure su Bernie per l’endorsment a Hillary.

 

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Tra la folla dei manifestanti riuniti intorno al City Hall le bandiere dei verdi che vorrebbero vedere Bernie Sanders e Jill Stein insieme, dati i molti punti di contatto delle loro piattaforme politiche.  

 

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Un divertente manifestante sul cui cartello è riportata una frase di Jill Stein: "Trump dice cose spaventose - deportazione degli immigrati, militarismo massiccio e nessuna considerazione per il clima. Hillary, sfortunatamente, ha comprovati precedenti di aver fatto tutte quelle cose."

 

Interrogativi  sulle macroscopiche contraddizioni nei giorni della DNC di Filadelfia e sul voto degli indecisi

Ed è proprio questo uno degli argomenti che  torniamo ad esaminare in questa sede, indagando da una parte  i motivi per cui sia Hillary Clinton invece di Bernie Sanders ad affrontare Donald Trump, e dall’altra la posizione degli indecisi, tra cui la tanto citata millennial generation. Mai percentualmente così numerosi gli indecisi sono considerati l’ago della bilancia di questo ciclo elettorale in cui i due candidati col tasso di gradimento più basso della storia sono ormai quasi pari, o perlomeno  lo erano fino a poche ore fa prima del video sessista di Trump. Ci ritorniamo con alcune testimonianze ed interviste personalmente raccolte a Filadelfia e con i contributi di alcuni siti di informazione indipendente. 

 Le domande che in quei giorni di fine luglio manifestavano l’urgenza di risposte vertevano in particolare su temi quali la frode elettorale ai danni di Bernie, il suo endorsement a Hillary, la possibilità o meno di conciliare due posizioni e soprattutto due elettorati per molti aspetti alquanto differenti confluiti, almeno per le primarie, nello stesso partito, e le future mosse dei sandersiani in previsione delle elezioni dell'8 novembre. Domande mirate al tentativo di dare una parziale sistemazione ad alcune delle molte contraddizioni annunciate e palesemente evidenziatesi in quei giorni.

Se rivoluzione è una delle parole chiave per definire per il fermento politico e sociale che pervadeva la città, contraddizione è infatti quella che meglio ne sintetizza le molteplici incongruenze.
Persino il più sprovveduto degli spettatori avrebbe potuto notare a distanza di poche decine di metri la contraddizione tra quanto avveniva intorno al City Hall, luogo di raduno della folla dei sandersiani con cartelli pesantemente anti-Hillary e l’interno del Convention Center, in parte affittato dal comitato democratico per eventi propagandistici aperti al pubblico,  trasformato in una specie di santuario in onore di Hillary e dell’unione del Partito. 

 

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Alcuni dei tantissimi cartelli e striscioni anti-Hillary.

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Impressionante il merchandize ufficiale, tutto pro-Hillary, al piano terra del Convention Center, soprattutto le spille. Lunghe tavolate apparecchiate con scatole di cartone ciascuna delle quali conteneva le patacche di riferimento per ogni possibile ed immaginabile categoria di persone. Destri e mancini, vegetariani e mangiatori di cheesesteak (la specialità di Philadelphia),  rocchettari e pop, coppie di giovani innamorati o di anziani coniugi e lgbt, mamme e papà, amanti di cani e di gatti, imprenditori e operai, nativi, afroamericani, asiatici, latini, rappresentanti di lavori e  sport di ogni genere  e chi più ne ha più ne metta. Perfino gli alieni e, con buona pace di chi nella tomba si stava sicuramente rivoltando, gli hipster rappresentati con con una sorridente faccia da cretino fornita di barba e baffoni.

 

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Composit realizzato con le spille fotografate sulle tavolate del Convention Center. 

 

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Alcune delle decine di scatole con le spille di Hillary.

 

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Per 25 dollari il bel manifesto ufficiale di Hillary, realizzato nello stile di Saul Bass, il  designer e pubblicitario americano che dagli anni ’50 ha trasformato in indimenticabili sequenze d'autore i titoli di testa dei film.  Tra i grandi registi con cui ha lavorato  Alfred Hitchcock, Otto Preminger  e John Frankenheimer.  A destra la clessidra "Now is the time", stampata su manifesti e magliette, con l'elenco degli anni che hanno segnato tappe importanti per le donne americane. Si comincia dal basso con il 1809, anno del primo brevetto femminile di un'invenzione, per arrivare ovviamente al 2016 con la prima donna presidente.

 

Tra la pletora di tipologie di spille pro-Hillary ce n'era soltanto una  in cui accanto lei figurava Bernie, quasi a testimoniare che se si fosse potuto cancellare con un colpo di spugna quello scomodo personaggio indipendente, progressista e socialista entrato a rompere le uova nel paniere democratico, lo si sarebbe fatto all'istante. 
Eppure ovunque ci si girasse si leggeva lo slogan Stronger together, che campeggia gigante anche sull'aereo usato da Hillary per la campagna elettorale.

Stronger Together. Più forti insieme.
Ma insieme a chi?

A tutte le categorie delle spille o a Bernie nel quale molte persone appartenenti a parecchie di quelle categorie si riconoscono? Persone che  alle primarie sono affluite nel partito democratico quando non  si sarebbero mai immaginate di entrarvi. Persone in gran parte proditoriamente eliminate dalle liste elettorali attraverso manipolazioni che in settembre sono state confermate e descritte nelle loro varie tipologie dall’Organizzazione non partisan Election Justice USA (electionjustice.net). 

 

L'informazione indipendente indaga sulle frodi elettorali

A tale riguardo numerose  sono anche le testimonianze di media  indipendenti. Tra di esse oltre alla  già citata Democracy Now!, figuran0 The Young Turks,  e Redacted Tonight, tre reti online differenti nell’aspetto formale ma simili nella sostanza e molto seguite dai sostenitori di Bernie.
Dopo le discusse primarie democratiche in California, The Young Turks per esempio ha prodotto Uncounted: The True Story of the California Primary, un documentario di Michelle Boyle e Taylor Gill, che raccoglie molte dichiarazioni sia di persone che nonostante una regolare registrazione si sono viste rifiutare l'accesso al voto perché non risultavano nelle liste, sia di impiegati ai seggi elettorali reclutati senza che si provvedesse ad una loro minima preparazione ma che hanno presenziato a diversi imbrogli. Come quello ai danni degli elettori No Party Preference, cioè coloro che possono registrarsi senza dover specificare un partito, previsti  dalle regole elettorali californiane almeno fino a queste primarie. In occasione del voto del 6 giugno però alcuni nebulosi e ambigui nuovi regolamenti per la registrazione voluti dal Segretario di Stato californiano Alex Padilla, hanno fatto sì che i voti degli NPP siano stati considerati provvisori e successivamente cestinati. Nonostante le querele ricevute, Alex Padilla, uno dei principali raccoglitori di fondi californiani per la campagna di Hillary, continua a starsene tranquillo nella sua posizione di potere.

Un altro documentrio, The best democracy money can buy: a tale of billionaires & ballot bandits (La miglior democrazia che il denaro può comprare: una storia di miliardari e truffatori elettorali),  appena uscito giorni nei cinema americani, allarga il campo delle frodi elettorali alle presidenziali 2016 e al gruppo di miliardari segreti, in pratica un nuovo Klu Klux Klan, che sta alle spalle di Donald Trump.
Il film, da pochi giorni in vendita online come l’omonimo libro, è l’ultima opera del giornalista, scrittore e documentarista investigativo Greg Palast, noto tra l'altro per aver investigato e comprovato la frode elettorale in Florida del 2000 che ha permesso a W. Bush di diventare presidente al posto di Al Gore, e mostra i metodi escogitati per truccare su larghissima scala le prossime elezioni presidenziali. Tra di essi il cross checking, un elaborato sistema che partendo dalla individuazione di omonimie negli stati da sempre repubblicani e in due stati oscillanti come l'Ohio e il North Carolina, i cosiddetti swing states, ha lo scopo di defraudare più di un milione di afroamericani, latini e asiatici del loro diritto di voto. Semplificando al massimo, gli omonimi  vengono accusati di aver votato più volte e i loro volti vengono annullati. Palast e gli investigatori che hanno lavorato all’indagine sono riusciti a reperire una lista  di 7 milioni e duecentomila nominativi in procinto di essere crosschecked
Famoso e scomodo quanto Michael Moore per il comune vizio di scoperchiare i pentoloni  dei malaffari,  Greg Palast costruisce i suoi documentari impersonando un reporter investigatore sullo stile dei detective anni '40, alla Sam Spade di  Dashiell Hammett  e alla Philip Marlowe di Raymond Chandler, e inserendo animazioni ed altri escamotage cinematografici. 

 

 

L'eclettico attivista (del quale in Italia sono stati pubblicati Democrazia in vendita. I padroni del mondo e Manicomi armati. Chi ha paura del lupo Osama?) si trovava a Philadelphia nei giorni della convention. 

Martedì 26 luglio al termine della lunga diretta delle dichiarazioni di voto dei vari stati seguita sui megaschermi del F.D. Roosevelt Park dalla folla dei sandersiani, Palast ha presentato il suo documentario dal palco lì allestito, ma ha anche raccontato di quanto avvenuto nelle primarie democratiche. In particolare dei quasi due milioni di voti non contati in California, dove “Hillary è stata data vincente con uno scarto di 400.000 voti addirittura prima che si finissero di contare i voti che sono stati effettivamente contati”. Quanto a quelli non contati, essi appartenevano in gran parte a giovani progressisti sandersiani trattati in quell'occasione come "se si fossero improvvisamente trasformati tutti in elettori di colore". Palast ha ironicamente invitato Hillary a stare attenta, perché i trucchetti che le hanno permesso di gioire della sua vittoria attuale non è niente rispetto a quello che il clan segreto dei miliardari repubblicani sta preparando contro di lei. Ciò che gli sta a cuore,  ha detto,  "non è proteggere Hillary ma il diritto al voto di ogni americano.”

 Con Greg Palast sul palco c’erano anche Michelle Boley, la già citata autrice del documentario sulle primarie californiane, ed altri due personaggi particolarmente amati e seguiti  dal tipo di pubblico lì presente. L’esuberante e comico commentatore politico Lee Camp, uno dei pilastri di Redacted Tonight e lo showman Tim Black, il cui Progressive News with Tim Black dà le notizie”, come recita letteralmente il  suo sito, “per coloro che non sopportano i notiziari e che tuttavia vogliono la verità che i canali news dei media mainstream non vogliono dare.”
Tutti e quattro, oltre a cercare di contrastare la tristezza per la morte della democrazia definitivamente celebrata pochi minuti prima con la nomina di Hillary, ne hanno simbolicamente ribaltato la situazione con la presenza sul palco di una cassa da morto bianca rossa e blu con la sigla DNC (Democrat National Convention), sottolineando come questo non sia il momento di arrendersi ma di rendere sempre più forte la battaglia per la democrazia, per quella Political Revolution cominciata da Bernie e che è solo all’inizio. 

 

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Greg Palast sul palco del F.D. Roosevelt Park  di Filadelfia il 26 luglio 2016 dopo la proclamazione di Hillary Clinton a candidata ufficiale.

 

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Lee Camp e Greg palast su un megaschermo del F.D. Roosevelt Park

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Due fotogrammi tratti dalla registrazione degli interventi di Greg Palast, Lee Camp, Michelle Boyle e Tim Black. Parte dei loro interventi, insieme alle molte testimonianze video  di quel martedì 26 luglio continuato fino a tarda notte con proteste che hanno raggiunto momenti di tensione, sebbene mai di violenza, sarà oggetto di una futura  puntata prevalentemente visiva.

 

Hillary, la famiglia Bush e la progressista Elizabeth Warren

 Hillary e lo slogan Stronger together, si diceva prima della digressione. 
Magari più forti anche insieme ai Bush.
La dinastia, che sembra essere sparita dalla circolazione da quando il terzo aspirante alla Casa Bianca Jeb si è ritirato dalle primarie repubblicane, non ha neppure presenziato  alla  National Convention del partito tenutasi a Cleveland dal 18 al 21 luglio.  Cosa insolita perché Bush senjor non solo nel 2000 e nel 2004 ha sostenuto, come è ovvio,  la campagna del figlio immortalato da Oliver Stone come W, ma ha fatto campagna attiva insieme al parentado  nel 2008 per John Mc Cain e nel 2012  per Mitt Romney. Se le indiscrezioni sulla preferenza di uomini e donne della famiglia Bush per Mrs. Clinton  circolate fin dal ritiro di Jeb erano supportate dalla loro assenza, un recente post di Kathleen Kennedy Townsend, una dei tanti figli di Bob, ne darebbe conferma. La Kennedy ha infatti pubblicato sulla sua pagina Facebook una foto che la ritrae mentre stringe la mano a Bush padre e con la scritta: "Il presidente mi ha detto che voterà per Hillary!" Nulla di cui stupirsi da parte di molti sostenitori di Bernie e dei verdi di  Jill Stein che vedono Hillary come una guerrafondaia tale e quale ai Bush.

 E poi Stronger together insieme alla progressista Elizabeth Warren, data come vicepresidente quasi certa nel caso di una nomination di Bernie e passata clamorosamente dalla parte di Hillary.

 

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Una eccentrica fan di Hillary all'interno del Convention Center. Sul suo soprabito la foto di Hillary e di Elizabeth Warren con la scritta Stronger Together.

 

 Quella Elizabeth Warren che avrebbe potuto mettere i bastoni tra le ruote del carro clintoniano nella sua corsa verso la presidenza e che si è mostrata invece così felice ed esultante sul palco insieme a Hillary il giorno dell’endorsment da lasciare a bocca aperta sandersiani e non, tanto da far supporre che su di lei sarebbe ricaduta la scelta del’ex-first lady per la vicepresidenza. 
Quella Elizabeth Warren che Hillary, una volta ottenuto il suo appoggio, ha invece ignorato tanto quanto ha ignorato Bernie nella nomina del VP, scelta ricaduta su Tim Kaine e vista dai Bernie supporters come uno schiaffo nei loro confronti. 
Quella Elizabeth Warren oltre il cui sorriso, ora forse forzato, sarebbe interessante poter vedere per scoprire le probabili lacrime di coccodrillo adesso che è rimasta a bocca asciutta.

 A bocca asciutta non è rimasta invece un'altra signora alla ribalta nei giorni di Filadelfia, Debbie Wassermann Schultz, dovutasi dimettere dalla presidenza della Convention a causa dello scandalo sulle sue mosse per favorire Hillary, provato dalle email rilasciate da Wikileaks a due giorni dalla manifestazione.  La sua gestione parziale e scorretta della DNC è stata "punita" con la carica di capo onorario della campagna presidenziale direttamente da Hillary il giorno stesso della sua nomina ufficiale, vale a dire quattro giorni dopo le dimissioni da chairwoman della convention.

 

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Debbie Wassermann Schultz. Finalmente riusciamo a vedere una sedia liberata”, recita il cartello a destra. La soddisfazione è durata ben poco! In quello a sinistra: “Non esiste un altro partito come il partito democratico perché il partito democratico è colluso con i media e dà appuntamenti federali ai grossi finanziatori”.

 

Insomma nei giorni di Filadelfia dentro il Convention Center il regno disneyano di Hillary.
Fuori il mondo reale di Bernie.

 E quest'ultimo non era solo in prossimità dei luoghi di protesta, dove era naturale che fosse, ma un po' dappertutto. Tanto per fare un esempio concreto il giorno della mia partenza per l'Italia con un vestito azzurro sul quale spiccavano tre spille di Bernie, non comprate a tre, cinque o sei dollari l'una come quelle di Hillary ma avute gratis nei banchetti improvvisati durante le manifestazioni, molte persone incontrate durante le operazioni di prassi hanno dimostrato apprezzamenti.  Innanzitutto il taxista afroamericano di uber che ha votato Bernie alle primarie ma che alle presidenziali darà il suo voto a Hillary perché la vittoria di Trump sarebbe una disgrazia. E poi l'impiegata al banco del check in, gli addetti  alla  security, la cassiera di un dutyfree.  Cenni d'intesa, sorrisi, brevissimi commenti che non solo stabilivano una momentanea relazione di intesa, ma erano indicativi del sentore della gente comune e della gratitudine per le cose “uniche” che Bernie è riuscito a fare nella campagna elettorale.

 Dell’unicità di Sanders e di molto altro mi hanno parlato Dianne Feeley e Nancy Holmstrom, due interessanti signore incontrate nella tarda mattinata di mercoledì 27 luglio nel bar del Pafa, Pennsylvania Academy of the Fine Arts (il più antico istituto e museo d’arte americano fondato nel 1805), che si trova sulla North Broad Street proprio di fronte al Convention Center e a due passi dal City Hall. Dopo una prima piacevole conversazione durante la quale si sono presentate semplicemente come editors di periodici progressisti, ho chiesto loro se potessi riprenderle e intervistarle per una rivista italiana di politica, ambiente e cultura. Purtroppo il volume altissimo di una band che si esibiva nella piazzetta a lato del Pafa Café ha disturbato parecchio la conversazione, qui trascritta eccezion fatta per due brevi clip.

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L'entrata principale del Convention Center sulla Broad Street nei giorni della DNC.

 

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Il Convention Center visto dalla piazzetta che separa i due edifici del Pafa, a destra l'accademia antica e a sinistra il museo con la caffetteria ed altri luoghi di studio. Il pennello è di Claes Oldenburg.

 

Intervista a Dianne Feeley e Nancy Holmstrom

 

 Dianne Feeley, attivista in organizzazioni di Detroit, ha lavorato fino alla pensione nel settore automobilistico del quale è particolarmente competente. È tra gli editori di Against the Current, rivista bimensile incentrata sul dibattito interno alla sinistra. Scrive articoli e saggi anche su altre riviste progressiste tra cui International Viewpoint e Jacobin  ed è co-autrice di Leon Trotsky and the Organizational Principles of the Revolutionary Party, pubblicato nel 2012. 

 Nancy Holmstrom, Professore Emerito ed ex preside del Dipartimento di Filosofia alla Rutger University di Newark, è autrice di numerose pubblicazioni. Anche lei scrive su Against the Current ed editorialista e saggista di altri periodici progressisti e ambientalisti e di riviste filosofiche e culturali. E’ autrice di The Socialist Feminist Project: A Contemporary Reader in Theory and Politics e coautrice di altri libri tra cui Not for sale: in defense of public goods,  Capitalism For & Against: A Feminist Debate  Socialist-Feminist Strategy Today in The Socialist Register 2013

 

Dianne Feeley parla di Bernie Sanders e della sua unicità.

 


Nancy Holmstrom parla della teoria del "lesser evil"

 

Dianne: Nelle primarie io sono stata attiva nel movimento "Labor for Bernie" a Detroit, un’organizzazione indipendente di   federazioni sindacali  con  7 sindacati nazionali che sostenevano Bernie e 105 sezioni locali comprese alcune i cui livelli nazionali erano pro-Hillary e con circa 12.000 lavoratori. Poiché il Michigan è uno stato con le primarie aperte, in cui cioè non è necessario essere iscritto ad un partito per registrarsi al voto, ho potuto votare Bernie sebbene io sia un’indipendente e non una Democratica.  In questo modo ho potuto sostenere Bernie nella sua corsa per la presidenza all’interno del Partito Democratico. Ma alle  presidenziali voterò  per Jill Stein, la candidata del Green Party. Penso però che molti sostenitori di Bernie sceglieranno Hillary a causa di questa propaganda del minore-dei-mali che si intensificherà sempre più nella campagna per le presidenziali.

 Si parla molto della frode elettorale ai danni di Bernie, soprattutto in  California. Che cosa potete dirmi a questo proposito?

 Dianne:  La California è il caso più discusso anche perché è lo stato con il maggior numero di delegati, ma scorrettezze ci sono state dappertutto. Nel mio stato, il Michigan, dicevano che Hillary era davanti a Bernie di 20 punti, ma in realtà Bernie ha vinto. Una differenza esagerata per delle previsioni…  Anche in California per tutta la settimana prima del voto i media dicevano: "Hillary ha vinto la nomination del Partito Democratico", cosa che  incoraggia la gente a votare per il vincente e non per il candidato preferito. In questo i media hanno dato un vantaggio a Hillary quando invece lei e Bernie erano più o meno pari. Per di più in California il giorno del voto hanno immediatamente dichiarato che Hillary aveva vinto, ma non avevano contato tutti i voti e successivamente è emerso che alcune delle contee in cui avevano dato la vittoria a Hillary le aveva vinte Bernie.

 Nancy:  Un altro fattore  che ha contribuito alla vittoria truccata di Hillary è stata la deliberata ambiguità della registrazione elettronica al voto, in particolare degli elettori che possono essere registrati come No Party Preference, che quindi non devono iscriversi come elettori di un partito. E' una cosa non consentita in tutti gli stati ma in California è sempre stato così. L’ambiguità di quest’anno ha fatto sì che migliaia e migliaia di voti siano stati considerati provvisori e poi non siano stati contati. Ed erano per la maggior parte voti per Bernie. Ci sono molti modi di rubare un'elezione e il computo dei voti è uno, anche perché i sistemi di voto sono tanti e  diversi da stato a stato. Il voto con carta e matita e col conteggio manuale sono più sicuri ma in molte contee di molti stati si vota con le macchine elettroniche  che sono facilmente manipolabili. 

Dianne: La stessa cosa è successa  nel 2000. Bush non ha vinto le elezioni ma è diventato presidente. Hanno truccato le elezioni a favore di Bush in Florida, ma il vincitore era Al Gore.

Non è stato contraddittorio per Bernie sostenere Hillary, anche se era consapevole di queste manipolazioni, comprese quelle di Debbie Wassermann Schultz e della DNC? Siete rimaste deluse da questo endorsement?

 Dianne:   No. Bernie ha fatto quello che fin dall’inizio ha dichiarato che avrebbe fatto. E’ un indipendente ma in Senato si riunisce con i Democratici. Quando ha deciso di correre nel partito democratico ha detto che avrebbe rispettato le regole  e rispettarle significava appoggiare Hillary che stava avviandosi a vincere.  E penso che  lui creda davvero nel dover bloccare il candidato peggiore col male minore. Lui vede Hillary come il male minore e così la sostiene. Ha già sostenuto candidati democratici, anche  prima di Obama, e quindi non è cosa nuova per lui.

Nancy:   Bernie è entrato nel partito democratico perché voleva focalizzare l’attenzione su questioni che altrimenti sarebbero  state ignorate o poco considerate come la lotta alle corporazioni, il cambiamento climatico, il sistema sanitario pubblico, l’università gratuita,  il debito degli studenti,  il salario minimo. E gli interessa portare in Congresso e ai vari livelli governativi federali e dei singoli stati persone progressiste. Come ho detto il nostro sistema elettorale è profondamente ingiusto. Non è basato sulla proporzionalità come in Europa. E per  entrare nei dibattiti elettorali ed avere quindi visibilità nei media mainstream bisogna avere il 15%  secondo una precisa serie di previsioni elettorali che rende la cosa molto difficile.  Il bipartitismo col sistema del chi-vince-prende-tutto non consente a un indipendente di avere alcuna possibilità di inserirsi nella corsa elettorale con qualche concreta possibilità di vittoria, almeno per adesso. Noi speriamo che questo possa cambiare in futuro. 

A quanto sto vedendo in questi giorni molti sostenitori di Bernie che sono qui voteranno per Jill Stein come voi. E immagino che molti repubblicani cui Trump non piace voteranno per l’altro candidato indipendente, il libertario Gary Johnson. Quali sono le vostre previsioni per il Green Party e più in generale per il movimento che mi viene spontaneo sintetizzare con Join the revolution  now dato che compare su moltissime magliette insieme al nome di Bernie?

Nancy:  Per quanto riguarda Gary Johnson credo che possa  dar fastidio a Trump come Jill Stein a Hillary nel loro testa a testa. Per quanto riguarda il Green Party che condivide molte delle posizioni di Bernie e che noi sosterremo con il voto per Jill Stein è ancora presto per fare previsioni proprio a causa della teoria del male minore che alla fine porterà molti a votare per Hillary.

Dianne:  Bernie non ha un ruolo particolare nel il partito democratico. E’ sempre stato un indipendente e sono sicura che appena potrà tornerà ad essere indipendente. Ma il movimento continua. La questione è quanto riesce a crescere il voto per Jill Stein, perché quanto più cresce  e quanto più il movimento si ingrandisce e si fa sentire tanto più il nuovo presidente, democratico o repubblicano che sia, dovrà tenere conto di noi e del movimento che stiamo costruendo. Non dimentichiamo che il movimento contro la guerra in Vietnam ha vinto non con presidenti progressisti ma con Nixon che ha dovuto porre fine alla guerra. Comunque Bernie ha fatto cose uniche, che nessuno prima di lui aveva fatto.  Per esempio ha condotto una campagna nel partito democratico senza servirsi dei soldi delle corporazioni. E’ stato in grado di raccogliere milioni di dollari fuori dalle corporazioni ed è la prima volta che avviene.

Non l’aveva fatto anche Obama con la raccolta fondi porta a porta?

Dianne:  Gli attivisti di Obama avranno anche raccolto soldi porta a porta, ma è stato sostenuto dalle corporazioni. Obama era un candidato mainstream del partito democratico. Ma era afroamericano e questo faceva la differenza.
Però poi non ha saputo approfittare della situazione  a lui favorevole
nei primi due anni della sua presidenza.  Il suo grande errore è stato credere di poter collaborare con i repubblicani. Nei primi due anni ha avuto una specie di luna di miele con i repubblicani quando invece quel periodo è stato l’unico della sua amministrazione in cui i Democratici avevano la maggiorana nella House of Representatives (più o meno corrispondente alla nostra Camera dei Deputati). E negli ultimi due anni i democratici hanno perso la maggioranza anche al Senato. Avrebbe potuto fare molte cose che nei sei anni successivi  con l’avanzata dei repubblicani nel Congresso, non ha potuto fare. Avrebbe potuto far passare leggi progressiste, avrebbe potuto chiudere Guantanamo.
Dopo il salvataggio di General Motors e Chrysler nel 2008-2009 con soldi pubblici
i lavoratori avrebbero dovuto avere un ruolo nelle decisioni sulle  produzione future delle industrie dell’auto. Nella maggior parte delle città statunitensi il sistema dei trasporti è  molto carente e lo è ancor più a livello nazionale. Poche industrie americane producono treni e autobus. Ma Gm e Chrysler erano ancora nelle mani dei dirigenti ai quali non interessava produrre mezzi di trasporto di massa. Ai lavoratori è stato chiesto dal governo di fare sacrifici per le industrie dell’auto! I lavoratori non avevano nulla a che fare con le cause della crisi. Non avevano alcuna responsabilità in merito alle decisioni produttive. Tuttavia i costi del lavoro stavano per essere tagliati drasticamente e l’idea che i lavoratori potessero avere delle proposte migliori su che cosa produrre e su come produrre non è neanche stata presa in considerazione. Ma visto che il governo stava salvando le industrie queste proposte avrebbero dovuto essere discusse. Invece  ai lavoratori è stato detto che dovevano fare dei sacrifici, e il fatto che sia stato detto non dalle compagnie ma dalla nostra stessa Tesoreria di Stato è stata una cosa davvero orrenda. 

Potete spiegare meglio questo punto? Non c'è stato anche l'intervento di Sergio Marchionne a salvare la Chrysler con un'operazione che molti italiani hanno considerato come un affronto all'Italia e l'uccisione della Fiat? 

Nancy:  Marchionne  è intervenuto in Chrysler nel 2009, dopo però precedenti cospicui esborsi di denaro dei contribuenti americani da parte di Bush e di Obama alle “Big Three” di Detroit per salvare General Motors e Chrysler dalla bancarotta e per aiutare la Ford in serie difficoltà, anche se quest’ultima non ha avuto bisogno di un bailout.  Poi quando è arrivato Marchionne lui ha preso in carico la Chrysler, ma l’intero salvataggio di GM, che è la compagnia più grande,  è stato fatto con una tale quantità di denaro pubblico da poter essere considerata una nazionalizzazione. A quel punto invece di continuare la produzione di grosse automobili a benzina altamente inquinanti per l’ambiente e richiedere un sacco di sacrifici ai lavoratori, il governo poteva dire: “Ok, ora che GM è proprietà pubblica visto che abbiamo usato soldi pubblici per salvarla, manteniamo l’occupazione e facciamo produrre autobus e treni a altre cose ad energia solare.” E’ questo di cui abbiamo bisogno adesso per l’ambiente in maniera massiccia, di una riconversione.

Dianne:  Bisognava fare come nella seconda  guerra mondiale. Non si sono prodotte automobili per tutta la seconda guerra mondiale. Subito dopo l’attacco di Pearl Harbor le industrie automobilistiche hanno convertito la produzione in carri armati, navi, aerei… Per esempio hanno speso moltissimo nel progetto Boeing 29, il tipo di aereo che ha anche sganciato le bombe  atomiche. Nel 2009 ci sarebbe dovuta essere una nazionalizzazione che reindirizzasse l’economia, che riducesse l’uso di combustibili fossili. Pertanto il bailout è stato davvero un’occasione mancata. 

Quindi la vostra opinione su Obama è del tutto negativa?

Dianne: No, perché una cosa da capire è che i repubblicani lo hanno attaccato in un modo molto vizioso e razzista. Io non ho votato per Obama nel nel 2008 e 2012 ma per candidati del Green Party. Ciononostante è stato davvero disgustoso il modo in cui Obama è stato attaccato. Il fatto per esempio che i repubblicani all’unanimità si siano rifiutati persino di ascoltarlo riguardo la sua nomina di un giudice della Corte Suprema è stato un tale abuso di potere che penso che la comunità nera in particolare si renda conto che si è trattato di un vero e proprio attacco razzista verso il primo presidente afroamericano. 

 E' successo dopo la morte un giudice conservatore, è così?

Nancy:  Sì, dopo la morte di Antonin Scalia, nel febbraio di quest’anno. Scalia era uno dei giudici più dichiaratamente conservatori della Corte Suprema.  Barak Obama ha proposto la nomina di un  nuovo giudice perché è  il presidente in accordo col Senato che ha questo compito secondo la Costituzione, ma i senatori repubblicani hanno deciso di non prendere neppure in considerazione alcuna proposta di Obama e di lasciare il posto vacante fino all’insediamento del nuovo presidente alla Casa Bianca. Questa è una cosa che non si è mai vista prima. Molte altre volte presidenti in scadenza come Obama, che vengono chiamati anatre zoppe, hanno nominato di giudici della Corte Suprema. E’ stato davvero un attacco razzista, anche perché Obama aveva ancora quasi un anno intero di presidenza. 

 

 Sentite via email il giorno successivo al primo dibattito Clinton-Trump tanto Nancy quanto Dianne hanno espresso il loro disgusto per l’ignoranza e l’assoluta impreparazione dimostrata da Trump, concordando invece sulla bella figura e preparazione di Hillary che, dice Dianne, "sembra davvero credere nelle cose che dice". Nancy in particolare ha dimostrato grosse preoccupazioni per i collaboratori diretti di Trump che costituirebbero una grossa minaccia per la vita democratica americana. Nancy, ambientalista di ferro e anti-hillariana convinta, è arrivata al punto di affermare che se vivesse in uno swing state,  persino lei darebbe il voto a Hillary. Non lo farà e voterà per Jill Stein dal momento che lo stato di New York, come del resto lo stato del Michigan dove vive Dianne, è uno stato blu, cioè del partito democratico.

 continua...

 

Gli autori di Vorrei
Elisabetta Raimondi
Elisabetta Raimondi
Disegnatrice, decoratrice di mobili e tessuti, pittrice, newdada-collagista, scrittrice e drammaturga, attrice e regista teatrale, ufficio stampa e fotografa di scena nei primi anni del Teatro Binario 7 e, da un anno, redattrice di Vorrei.
Ma soprattutto insegnante. Da quasi quarant’anni docente di inglese nella scuola pubblica. Ho fondato insieme ad ex-alunni di diverse età l’Associazione Culturale Senzaspazio.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.