20180510 staino

Settima parte delle interviste sugli errori, i partiti, i valori, da chi e cosa ripartire dopo la catastrofe di marzo. Rispondono Giacomo Correale Santacroce, Rossana Currà, Emmanuele Curti e Rodolfo Profumo

Alle elezioni dello scorso marzo la Sinistra italiana, in tutte le sue sfumature, ha toccato il fondo. Una sconfitta su tutti i fronti e a tutti i livelli (locale e nazionale) per un numero di voti mai così basso. Era un risultato prevedibile? Era inevitabile? Ma, soprattutto, conseguenza di cosa, di quali errori? E cosa fare ora? Rassegnarsi all'estinzione, all'irrilevanza, ricominciare dalle elementari?

Da questi interrogativi è nata la necessità di raccogliere le idee, le riflessioni di chi è impegnato in prima persona (amministratori e uomini di partito) ma soprattutto di chi la politica la vive da semplice cittadino. Così ho pensato di rivolgere 5 domande per la Sinistra a persone note e non, su quello che sta succedendo a Monza o in Lombardia o in Italia. Persone interpellate non in rappresentanza di, ma come singoli punti di vista singolari. A partire da oggi e a più riprese su Vorrei troverete le risposte. Ad accompagnarle saranno in apertura una vignetta di alcuni dei più importanti autori satirici italiani e poi uno dei manifesti o delle foto delle lotte storiche della Sinistra, perché — la butto lì — c'è anche una questione di linguaggio e di immagini/immaginario dietro questa catastrofe.

I quattro intervistati di oggi sono Giacomo Correale Santacroce, dirigente d'azienda e nostro redattore, Rossana Currà, operatrice sociale del'accoglienza, Emmanuele curti, manager culturale, Rodolfo Profumo, docente e storico dell'arte.

Nei prossimi giorni, a cadenza irregolare, seguiranno tanti altri. Le domande per tutti sono queste cinque:

  1. Cos'è successo a Monza, in Lombardia e in Italia. La Sinistra ha perso su tutti i fronti. Quali sono gli errori più grossi commessi?
  2. Perché così tanti partiti e così pochi voti a sinistra?
  3. Davvero Destra e Sinistra sono concetti sorpassati?
  4. Quali sono i cinque valori per cui la Sinistra dovrebbe battersi oggi.
  5. Da cosa e da chi ripartire?

 

Giacomo Correale Santacroce, dirigente d'azienda

1 - Penso che sia utile partire dalla nascita dell’Ulivo, dalle speranze che suscitò e dalle delusioni successive. Penso che Prodi pensasse a una sorta di sintesi degli opposti: ex PCI e ex DC , una reazione chimica che avrebbe dovuto dare luogo a una cosa altra dai due opposti: una nuova sinistra, laica, non ideologica. Ma la reazione non c’è stata, ed è rimasto un miscuglio tra le due componenti originarie. Nessuna delle due aveva capito (o voluto capire?) il progetto di Prodi: una Margherita sospettosa non colse l’opportunità che le si offriva, un PDS ansimante se ne appropriò immaginando che l’Ulivo poteva essere cavalcato per farne l’ultima versione del PCI e l’occasione per andare finalmente al potere. Facendo fuori Prodi. il PD è stato la continuazione di questo coacervo, che dopo Prodi ha fatto fuori Veltroni. Due o tre sprazzi (governi Prodi, elezioni europee con Renzi), subito spenti.

Non sono state capaci di adeguare il riformismo alla società liquida, oscillando tra cedimenti al liberismo imperante e la conservazione ideologica.

Ma la sorte del PD è stata anche quella delle altre sinistre europee: non sono state capaci di adeguare il riformismo alla società liquida, oscillando tra cedimenti al liberismo imperante e la conservazione ideologica. La “terza via” di Giddens non è stata convincente.
Le ondate migratorie e la perdita di peso dell’Europa hanno a loro volta generato paura, e la paura alimenta la destra populista.
La carenza di riformismo, cioè di capacità di cambiamento ispirato a una visione di sinistra, è stata “glocal”, internazionale e locale. Anche a Monza l’amministrazione Scanagatti è stata per lo più una gestione dell’esistente, senza infamia e senza lode.

2 - La sinistra ha continuato con la tradizione frazionista propria dei partiti marxisti, quando non tenuti insieme dal "centralismo democratico” o da qualcosa di più duro. Prima di colpire il “nemico di classe”, occorre colpire i “compagni che sbagliano”. Lotte di potere personale o di fazione sotto spoglie ideologiche. I voti diminuiscono perché la classe operaia è ormai in buona parte in paradiso, e i lavoratori dipendenti (surrogato della classe operaia) sono sempre meno, mentre aumentano i lavoratori autonomi. Ma i lavoratori autonomi sono o dimenticati o tartassati dalla sinistra, omologati e quindi regalati a priori alla destra.

I lavoratori autonomi sono o dimenticati o tartassati dalla sinistra, omologati e quindi regalati a priori alla destra.

3 - No. C’è da lottare contro le disuguaglianze e la povertà, e questo è di sinistra. La destra crede nella “mano invisibile”, tende a favorire i ceti più abbienti senza distinguere tra rendite improduttive e profitti frutto di attività produttive.
Non mi sono mai piaciute le espressioni “centro-sinistra” e “centro destra”, mi piacciono di più “destra” e “sinistra”, è più chiaro. Certo, occorre distinguere tra destra democratica e destra eversiva, cosa che in Italia è piuttosto difficile, perché non si sono mai fatti i conti con il fascismo. Ma mi piacerebbe che il 25 aprile, festa della Liberazione, non fosse solo della sinistra, ma riunisse tutto il popolo democratico contro i rigurgiti fascisti.

4 - Lotta alle disuguaglianze e alla povertà, istruzione e cultura (quest'ultima importantissima, perchè portatrice di pace), difesa dell’ambiente, lavoro, impegno civile e solidarietà diffuse. Ma con una visione d’insieme capace di smuovere la gente.

La sinistra non deve cercare di recuperare “il suo popolo”, che non c’è più.

5 - Il riformismo è più difficile della rivoluzione. Kennedy, Martin Luther King, Aldo Moro, Falcone e Borsellino, molti giuslavoristi ammazzati erano tutti riformisti. I veri avversari (guerrafondai, affaristi finanziari, criminalità) non hanno etichette ideologiche (banche, finanza, capitalisti, eccetera). Troppo spesso la sinistra abbaia all’albero sbagliato, come dice un detto inglese. Personalmente non credo che Zuckerberg, creatore di Facebook, o Warren Buffett, grande finanziere, siano avversari solo perché fanno parte dell’uno per cento più ricco del mondo. La sinistra non deve cercare di recuperare “il suo popolo”, che non c’è più. E nemmeno fare regalie al ceto medio, magari a danno dei meno abbienti, per averne il consenso. Deve parlare a tutti “gli uomini di buona volontà”, convincendoli che la lotta contro le disuguaglianze e la povertà, la spesa per l’istruzione eccetera sono nell’interesse di tutti, fatta eccezione per i poteri oscuri che non li vogliono. La guerra contro questi ultimi richiede potenza di fuoco nella comunicazione veritiera, contro l’imperversare di narrazioni fake. La capacità di suscitare un’ampia partecipazione. Ma anche leadership e alleanze fuori dagli schemi.

 

Rossana Currà, operatrice sociale dell'accoglienza

1 - Il primo errore è stato quello di partecipare alla tornata elettorale. Sembra una boutade, ma non lo è.
Il campo della sinistra è ormai da alcuni anni tutto da ridefinire, punto per punto. Un lavoro questo che non è stato fatto. Si è arrivati alle elezioni di marzo stanchi, spossati dalle diatribe intestine, che si manifestano nei partiti, così come nell’associazionismo, e persino nell’ampia fascia dei delusi dal sistema istituzionale attuale riconducibile, per sommi capi, ai cosiddetti movimenti.
Presentarsi alle elezioni offrendo all’elettorato partiti svuotati di senso e di missione, incapaci di parlarsi, attorcigliati attorno a questioni interne, che poco hanno da offrire in termini di orizzonte e di proposte realmente alternative. Partiti scissi in rivoli, che dicono le stesse cose, ma con parole diverse; o cose simili, ma non uguali; oppure a volte, peggio, che fanno finta di dire le stesse cose, pur pensando cose diverse, al fine di sedurre l’elettorato (come se l’elettorato fosse un corpo morto, non sensibile, non capace di distinguere progetti sensati e lungimiranti).
Se questo è il quadro, non ci si poteva aspettare da queste elezioni niente di meglio del disastro cui abbiamo assistito.
Ma tutto questo ha radici molto profonde.
Dopo lo spartiacque degli anni Novanta, tra la caduta del muro di Berlino, la “morte delle ideologie” e il Berlusconismo, si è arrivati ancora carichi degli entusiasmi post-comunisti al G8 di Genova.
Intanto gli eredi partitici degli ideali della sinistra erano troppo impegnati nell’inseguire la destra un po’ più a sinistra, e talvolta anche deragliando oltre il campo degli altri, per soffermarsi ad ascoltare gli avvertimenti sempre più allarmati provenienti dai movimenti sulla deriva della situazione generale, soprattutto in ambito ambientale, ma non meno per quel che riguarda il benessere di miliardi di persone su questo pianeta, tra sfruttamento, disuguaglianze, guerre, post-colonialismo. Movimenti e partiti hanno preso strade distinte. Così abbiamo da un lato movimenti che agiscono o provano ad agire in ambito politico sociale, ma che mancano – per scelta o per forza – di un riferimento istituzionale, dall’altro partiti con una base sempre più ristretta che non sanno più né parlare né stare nella società. In alcuni rari casi questi due mondi si intersecano.

Movimenti e partiti hanno preso strade distinte. Così abbiamo da un lato movimenti che agiscono o provano ad agire in ambito politico sociale, ma che mancano – per scelta o per forza – di un riferimento istituzionale, dall’altro partiti con una base sempre più ristretta che non sanno più né parlare né stare nella società.

Poi c’è il PD (acronimo ormai largamente e goduriosamente storpiato), che oggi non è più, non solo a mio modo di vedere, definibile “di sinistra”: si tratta in tutta evidenza di una nuova (Social)Democrazia Cristiana, che può far bene il suo lavoro nel mondo, ma che, è evidente, non è il nostro lavoro. 
La sfiducia nei confronti di istituzioni e partiti è profonda. 
Personalmente non credo dobbiamo necessariamente considerare morta la forma partito in sé. Ciò che credo sia importante riconoscere è che solo dalla messa a sistema di lotte e rivendicazioni territoriali e tematiche può emergere un soggetto che sia strumento di azione e di cambiamento, per dare voce e rappresentare queste istanze. Non il contrario. E non in questa fase di crisi identitaria ed ideologica.

2 - La risposta a questa domanda è sostanzialmente implicita nella precedente. Per riassumerla con una metafora: si sta sbagliando l’infrastruttura. Si costruiscono ponti laddove occorrono muri e muri dove occorrono ponti. E per di più non si ha un piano completo dell’opera. Si naviga a vista. Con parole d’ordine confuse e prive di consistenza e orizzonte, nel migliore dei casi. 

3 - Questa idea è diffusa sempre più. Compagni insospettabili (si, si è ripreso a usare con gusto questa parola, nelle sue varie forme contemporanee quali compagn* o, per i più spericolati, compagnu – rivendichiamo il valore della bistrattata vocale U) compagnu insospettabili, dicevo, iniziano a nutrire il germe della semantica sbagliata. È certo che, come dicevo, il campo va ristabilito. Il campo della sinistra è assai vago oggi, e sempre più pare perdere di significato.
Io resto convinta che ci sia uno spartiacque tra chi si considera di destra e chi di sinistra, che esso sia una questione di responsabilità morale nei confronti di chi lotta e ha lottato per i diritti, per l’eguaglianza, per la libertà.
Questo spartiacque costituisce un baluardo del campo in cui vogliamo muoverci, e trova la sua migliore espressione contemporanea nel motto “Stay Human” di Vittorio Arrigoni.
Si tratta di un piano umano e morale che inevitabilmente si riverbera sul piano economico, in termini di idea di società, di organizzazione della comunità umana in cui viviamo. Sono questioni ampie. Che non vanno perse di vista. Che anzi forse oggi più che mai è necessario sviscerare, e non sono pochi anche i giovani che sentono questa impellenza.

Rimettiamo una buona volta in discussione il capitalismo come sistema economico basato sullo sfruttamento delle risorse, del lavoro, dell’ambiente?

Rimettiamo una buona volta in discussione il capitalismo come sistema economico basato sullo sfruttamento delle risorse, del lavoro, dell’ambiente? E sul profitto dei pochi sui molti? Quante diseguaglianze genera questo sistema, quanti disastri sociali e ambientali dobbiamo ancora accettare passivamente prima di riprendere in mano la barra del timone e orientarla verso un sistema economico più avanzato, capace di affrontare le sfide del presente tenendo salde le basi di eguaglianza, solidarietà, mutuo-aiuto, reciprocità che ci sono state date in eredità?
Abbiamo smesso di credere che un altro modo di fare società (e quindi economia) sia possibile. Questo fa apparire i concetti di destra e sinistra superati.
Possiamo, e anzi dobbiamo, affrontare la questione semantica. Ci sono parole svuotate, abbandonate come cenci stanchi. Possiamo anche scegliere di non rivificarle, di inventare parole nuove, non ci vedo nulla di male personalmente. Visto lo stato in cui siamo ci possiamo concedere di riportare al ground zero anche il linguaggio della politica.
Al ground zero della politica e del linguaggio, tuttavia, restano immutati i valori, gli ideali, che ci indicano la direzione e che costituiscono la nostra identità comune, come compagnu. Credo sia su questi valori, su queste parole chiave che ci rendono un “noi” che dovremmo interrogarci collettivamente. Anzi, dirò che sta già accadendo.

4 - Quali sono gli orizzonti, e di conseguenza gli obiettivi, di un campo di sinistra oggi?
Quali sono i riferimenti, i valori comuni? Da cosa ripartire?
Quando facciamo riferimento alla sinistra, in ultima istanza è il corpo intellettuale di Karl Marx a muoversi.
L’ideale, il valore del pensiero marxista è insindacabile. Eguaglianza tra tutti gli uomini, stesse opportunità, e il rifiuto dell’oppressione data dalla diseguaglianza economica e sociale, che in definitiva si traduce nell’oppressione dell’“eteronormato” sul “diverso”.
In un sistema competitivo come il capitalismo, solo coloro che hanno le caratteristiche per eccellere godono dei privilegi che esso produce. Tutti gli altri devono sbarcare il lunario o soccombere. Sì, il capitalismo è precisamente un sistema che produce privilegi, e di essi si alimenta.

Sì, il capitalismo è precisamente un sistema che produce privilegi, e di essi si alimenta.

Invece noi dovremmo avere ancora il coraggio di affermare che tutte le donne e tutti gli uomini hanno al pari diritto alla felicità, qualsiasi sia il loro credo, il colore della pelle, le abitudini sessuali, l’azzardo del luogo di nascita sul pianeta, la loro ascendenza o eredità.
Il che si deve tradurre in politica economica: dovremmo tornare a chiederci che tipo di organizzazione societaria e quindi di sistema economico sia allineato ai valori e funzionale agli obiettivi.
La chiave marxista è necessaria per leggere il presente. Per esempio, sulla questione migratoria, interpretandola nel contesto globale di ingiustizia in cui si inserisce. E agire partendo da questa prospettiva.
Un modo? Battersi, a livello europeo, per l’equiparazione dei passaporti di tutto il mondo, orientando in questo senso l’azione globale dell’Unione Europea, allo scopo di affrontare la migrazione come un fenomeno reale, ma non problematico in sé. Questo dovrebbe fare una sinistra che merita di scampare all’anatema dell’assenza di significato.
La questione ambientale, poi, dovrebbe diventare il fulcro di ogni riflessione, piano d’azione, intervento. Bisogna ripartire dalla tutela, e dal ripristino ambientale.
Fare cultura attraverso la partecipazione e partecipazione attraverso la cultura, in tutte le sue forme, dalle scuole alle università, ai musei, alle biblioteche, ai circoli di quartiere. Rimettere in sesto il patrimonio artistico e intellettuale. Ricostruire coscienza civica e cultura politica, nel senso etimologico del termine, di “polis”.
Diritti. Diritto al lavoro, diritto alla casa, diritto allo studio, diritto al benessere e alla felicità, dove è implicita la libertà, sempre nel rispetto dell’altro e della comunità.

5 - Innanzitutto va affrontata la questione semantica e valoriale di cui ho detto sopra. E per farlo bisogna ripartire dai territori, dalle analisi del contesto, nella loro specificità e globalità. Quindi dalla messa a sistema delle piccole e grandi rivendicazioni locali. Possiamo e dobbiamo ripartire da ciascuno di noi. Da partecipazione e confronto più ampi, da un maggior interesse alla nostra vita comune. La sindrome dell’animale da tastiera del terzo millennio colpisce tutti, lo diciamo ma non lo facciamo: “Anche se voi vi sentite assolti, siete lo stesso coinvolti”.
Nel costruire reti tra rivendicazioni territoriali, dovremmo puntare a immaginare modelli, condividere pratiche, riflessioni, documenti. Il campo della sinistra non si ricostruisce nelle segreterie dei partiti. Le segreterie chiudetele. E buttate le chiavi. Non ne abbiamo bisogno.

Spegnete i computer e uscite di casa. La vita, il futuro, l’orizzonte da disegnare assieme sono là fuori, nelle strade, nelle piazze, nei luoghi di aggregazione, di cultura, di lavoro.

Spegnete i computer e uscite di casa. La vita, il futuro, l’orizzonte da disegnare assieme sono là fuori, nelle strade, nelle piazze, nei luoghi di aggregazione, di cultura, di lavoro. È lì che ogni militante di sinistra ha il compito di seminare, elaborare, costruire, scevri da etichette o bandiere, ma densi di parole chiave condivise e valori.
Si tratta di un lavoro ampio, di lungo respiro, complesso, certo, che non si fa dall’oggi al domani. Ma prima iniziamo, prima otterremo risultati. Fino ad allora, non mi spauro nell’affermare che saltare qualche giro elettorale potrebbe solo fare bene al campo della “sinistra” (o come vorremo chiamarla...) in costruzione.
In verità devo riconoscere che questo processo sta già avvenendo.
Il luogo in cui ciò avviene è l’ambito dell’antifascismo, indissolubilmente correlato all’antirazzismo e all’antisessismo.
Oggi la società è investita da una forte carica di rivendicazione femminista, che determina questo processo di costruzione di un’identità comune, e ciò è un bene. La rivendicazione femminil-femminista si basa sulla constatazione di come il patriarcato influenzi molti, troppi aspetti della nostra esistenza, che vanno dalle questioni salariali alle relazioni intime. La messa in discussione del patriarcato (che è dentro di noi) da parte delle donne in lotta potrebbe fungere da faro e guida per una netta e pragmatica messa in discussione del sistema capitalistico che ne deriva (e che è dentro di noi...).
Dice Marx: “Che cosa dimostra la storia delle idee, se non che la produzione intellettuale si modifica con la produzione materiale?”

 

20190510 prudenza

Uno striscione nel Teatro Valle occupato di Roma 

 

Emmanuele Curti, manager culturale

1 - La Sinistra ha perso il contatto con la comunità, non sa più leggerla. È rimasta ai padri (madri?… anche qui non si pone il problema) fondatori, rimanendo incastrata nel ‘900. Non si rende conto che le categorie fondamentali sulle quali ha costruito il percorso novecentesco (e prima quello fondativo ottocentesco) non esistono più: a partire dalla categoria del lavoro, che non è più, come dice la costituzione, elemento di definizione della cittadinanza. La vecchia sinistra poi lavora ancora per ‘classi’, per slogan (da ultimo ‘potere al popolo’) che semplicemente non sono più rappresentativi di nulla. La società sta cambiando profondamente, e per la prima volta, dopo la grande evoluzione del pensiero occidentale fra ‘800 e ‘900 (costruito sulla strutturazione dello stato moderno), siamo fermi: non abbiamo più strumenti per immaginare il futuro. E la sinistra non è più in grado di farlo.

La vecchia sinistra poi lavora ancora per ‘classi’, per slogan (da ultimo ‘potere al popolo’) che semplicemente non sono più rappresentativi di nulla.

2 - Perché la comunità ragiona oggi in forme diverse. Il sapere, precedentemente ‘arma’ della sinistra (per me la sinistra si è sempre distinta per costruire ricerca rispetto al ‘dubbio’ - mentre la destra procedeva per categorie della ‘certezza’ -, usando il ‘conflitto’ come strumento di superamento) non è più strumento di visione collettiva, guidata, curata, precedentemente, dalla sinistra stessa. Oggi la stessa cultura dell’internet risponde ai singoli: e la sinistra non si domanda più come lavorare su categorie del ‘collettivo’ (l’idea stessa di ‘pubblico’, ad esempio), a partire dall’idea di forme nuove di rappresentanza rispetto ad un percorso di costruzione di senso che si è perso.
Il fallimento dei partiti (superati delle ‘certezze’ di una finta destra estrema e da un partito liquido), deve essere superato ricreando categorie diverse dell’espressione collettiva.

3 - Per me non sono superati come eredità, ma, essendo ormai noi l’era della conservazione (lo dico da (ex)archeologo, non ci rendiamo conto che la preservazione del passato non ci permette di guardare al futuro. Il DNA deve essere invece usato per immaginare altro, che ora non sappiamo vedere. Poi se destra e sinistra rimangono (com’era) anche un posizionamento spaziale (non solo dentro al Parlamento), in effetti sono superati perché non sappiamo più dove siamo: andare a destra e sinistra di che cosa, se non sappiamo cogliere l’essenza dello spazio che viviamo?

Andare a destra e sinistra di che cosa, se non sappiamo cogliere l’essenza dello spazio che viviamo?

4 - Comunità. Bene pubblico (l’occidente questo ha inventato… la piazza, nella definizione della distinzione fra pubblico e privato, distinzioni oggi saltata). Rideclinazione del lavoro come elemento di cittadinanza. Rideclinazione delle categorie dell’economia come pensiero culturale. Capacità, in fondo, di tornare ad esprimere una visione del futuro

5 - … traspare da quanto detto sopra

 

 Rodolfo Profumo, storico dell'arte

1 - I governi della sinistra hanno proseguito imperterriti a in una politica che prevedeva il taglio delle risorse e delle possibilità di spesa degli enti locali e l’espansione delle spese gestite dalla struttura centrale dello Stato, fino a pregiudicare lo stesso buon funzionamento di servizi fondamentali. Una scelta suicida per il partito che gestiva gran parte delle istituzioni locali (Monza compresa). In Lombardia un'opposizione flebile, figure sbiadite (Alfieri chi?), incapacità di saldare un fronte di opposizione non sono state in grado di mettere in evidenza i limiti e i clamorosi scandali della gestione clientelare e ideologica della destra. Sul piano nazionale la personalizzazione dell’azione di governo, nelle mani di un gruppo dirigente, avido di impadronirsi delle leve di potere, di insediarsi “nella stanza dei bottoni”, ma incapace di graduare e definire azioni concretamente efficaci ha determinato scelte incomprensibili, all’inseguimento delle richieste degli imprenditori, con un rovesciamento totale di vent’anni di politica, per di più operato nel momento in cui la crisi economica indeboliva gravemente il potere contrattuale dei lavoratori. Agli elettori che avevano dato alla coalizione Italia bene comune, nel 2013, la vittoria e la maggioranza, assoluta alla camera, relativa al senato, si era chiesto di firmare un testo che tra l’altro riportava queste parole:

In Lombardia un'opposizione flebile, figure sbiadite (Alfieri chi?), incapacità di saldare un fronte di opposizione non sono state in grado di mettere in evidenza i limiti e i clamorosi scandali della gestione clientelare e ideologica della destra.

« […] Cuore del nostro progetto è la dignità del lavoratore da rimettere al centro della democrazia, in Italia e in Europa. Questa è anche la premessa per riconoscere la nuova natura del conflitto sociale. Fulcro di quel conflitto non è più solo l’antagonismo classico tra impresa e operai, ma il mondo complesso dei produttori, cioè delle persone che pensano, lavorano e fanno impresa. E questo perché anche lì, in quella dimensione più ampia, si stanno creando forme nuove di sfruttamento. Il tutto, ancora una volta, per garantire guadagni e lussi alla rendita finanziaria. Bisogna perciò costruire alleanze più vaste. La battaglia per la dignità e l’autonomia del lavoro, infatti, riguarda oggi la lavoratrice precaria come l’operaio sindacalizzato, il piccolo imprenditore o artigiano non meno dell’impiegato pubblico, il giovane professionista sottopagato al pari dell’insegnante o della ricercatrice universitaria.
Il primo passo da compiere è un ridisegno profondo del sistema fiscale che alleggerisca il peso sul lavoro e sull’impresa, attingendo alla rendita dei grandi patrimoni finanziari e immobiliari. Quello successivo è contrastare la precarietà, rovesciando le scelte della destra nell’ultimo decennio e in particolare l’idea di una competitività al ribasso del nostro apparato produttivo, quasi che, rimasti orfani della vecchia pratica che svalutava la moneta, la risposta potesse stare nella svalutazione e svalorizzazione del lavoro»

Questo patto, firmato dagli stessi elettori che indicavano in quell’occasione i propri parlamentari è stato evidentemente sfregiato e vilipeso dal nuovo gruppo dirigente. D’altra parte la personalizzazione e l’accentramento, i provvedimenti affrettati e incompleti determinati dall’attivismo sconsiderato, (su lavoro, fisco, assistenza, codice appalti, scuola, università, riorganizzazione delle autonomie locali e della pubblica amministrazione, tardivi interventi sul sistema bancario, gestione efficace dell’immigrazione) non hanno consentito un effettivo recupero di efficienza, nonostante la dispersione di risorse ingenti (spesso incentivi e bonus), che pesano sui bilanci dello Stato con poco giovamento. Ancora più grave se non spaventosa è l’assenza di sensibili recuperi di efficienza nella gestione della Giustizia: viviamo in uno Stato in cui un cittadino corretto e in buona fede, non ha alcuna certezza di vedere affermato il proprio buon diritto in tempi ragionevoli, tanto che si può dubitare che il nostro sia ancora effettivamente uno “stato di diritto”.

2 - Da una parte la costruzione di strutture e legami opachi, attraverso la spartizione del potere, in forma non democraticamente trasparente ma utile ad ottenere gratificazioni personalistiche, e dall’altra, l’abitudine a sostituire (idealisticamente) schemi e contrapposizioni ideologiche alla valutazione concreta delle situazioni, determinano il moltiplicarsi di correnti e partiti.

3 - Sono ancora principi opposti: da un parte si vuole il prevalere dell’autorità, dall’altra la condivisione delle scelte e la solidarietà nell’affrontare i problemi. Solo la seconda modalità, se praticata nel rispetto di regole ben definite, può garantire una vera libertà.

La necessità di impegnarsi per la difesa dell’ambiente e per la riconversione in forma sostenibile del modello di sviluppo economico. 

4 - Battersi innanzi tutto per l’affermazione di uno stato di diritto efficiente (anche attraverso l’efficace amministrazione della giustizia) che garantisca l’affermazione dei principi costituzionali di uguaglianza, il diritto al lavoro e a un reddito commisurato e comunque dignitoso, con il superamento della povertà, e i corollari del diritto alla salute e alla casa.  E ancora, come fondamento dell’uguaglianza, il diritto all’istruzione e alla cultura. A questi principi va aggiunta, e oggi sottolineata con grande evidenza di fronte all’esaurimento delle risorse ambientali e alla crisi del clima, la necessità di impegnarsi per la difesa dell’ambiente e per la riconversione in forma sostenibile del modello di sviluppo economico. 

5 - Sicuramente dai giovani e dal loro entusiasmo: noi “anziani” dobbiamo, con generosità, lasciar spazio alla loro iniziativa, lasciar esprimere la loro creatività e la loro inventiva, imparando a farci da parte senza contrapposizioni, piuttosto attraverso un dialogo costruttivo, evitando le semplificazioni superficiali.

 

 

In apertura Sergio Staino, tratta da notizie.tiscali.it

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5 domande

Gli autori di Vorrei
Antonio Cornacchia
Antonio CornacchiaWebsite: www.antoniocornacchia.com

Sono grafico e art director, curo campagne pubblicitarie e politiche, progetti grafici ed editoriali. Siti web per testate, istituzioni, aziende, enti non profit e professionisti.
Scrivo soprattutto di arti e cultura.

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