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4. Il PRG di Piccinato: dal ‘64 al ‘71

 

Mentre era in salvaguardia il PRG adottato nel ‘59 che peraltro non aveva avuto parere favorevole dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, venne dato incarico di redigere la nuova variante generale a Luigi Piccinato, probabilmente il più prestigioso professionista di quegli anni. Le linee guida per la revisione del piano erano già state indicate dallo stesso C.S. dei LL.PP. che chiedeva di rompere la forma accentrata della città, prevedere un Centro Direzionale, formare un grande parco a sud.I primi studi del nuovo PRG risalgono al ‘61, ma incontrano fin da subito alcune difficoltà sia per questioni di livello sovracomunale (la nascita del Piano Intercomunale Milanese) sia per l’entrata in vigore della legge 167 del ‘62 per l’edilizia economica e popolare con i suoi piani di zona. La prima proposta del nuovo piano, secondo alcuni non più reperibile negli uffici, rimase comunque bloccata fino all’autunno del ‘63, quando la variante generale venne portata in Consiglio Comunale, illustrata da Luigi Piccinato nel giugno ed adottata tra il 5 e il 6 ottobre del ‘64.Monza aveva, alla data del censimento del ‘61, 84.445 abitanti, che passarono nel ‘71 a 114.327 (+ 35%), passando poi, nel 1981, a ben 123.145 (+ 45% dal ‘61).

 

Da quel picco, la popolazione di Monza si è praticamente fermata, attestandosi intorno a valori di 120.000 abitanti, soglia poi fluttuante (mille persone, in più o in meno). Gli anni Sessanta erano quelli del “boom economico”, dei grandi flussi migratori e della speculazione immobiliare, mirabilmente narrata da Francesco Rosi nel suo film: “Le mani sulla città”. Anche Monza non ne era esente ed i suoi piani urbanistici, sia quello del ‘59 che quello del ‘64, ne erano l’espressione più evidente. Non mancavano le ricadute edilizie ancora oggi ben visibili in città, con edifici isolati di 10/12 piani, fuori scala rispetto al contesto storico dove si collocavano, frutto appunto di quel periodo storico.Anche gli addetti ai settori produttivi crescevano dai 34.039 del ‘61 a 38.002 del ‘71 (+ 11%), ma molto di più aumentò la popolazione attiva, cioè persone che risiedevano a Monza, ma lavoravano anche altrove (da 36.660 persone nel ‘61 a 44.527 nel ‘71: + 21%). La città conobbe fin da allora una lenta terziarizzazione ed in particolare, in quegli anni, vi fu un passaggio dall’industria manifatturiera del tessile e dell’abbigliamento a quella meccanica e dell’elettronica, anch’essa poi in declino.

 

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il Piano Piccinato del 1964


Torniamo però al Piano Piccinato. Questo ricalcava per certi aspetti quello del ‘59: la maglia viaria era costituita da un’abnorme rete di strade e circonvallazioni che arrivavano a coprire persino il canale Villoresi nel quartiere di San Donato ed a sventrare quartieri per lambire il centro storico e raggiungere la via Lecco, al confine con Villasanta e il Parco. Si prevedeva la formazione di un grande centro direzionale tra le vie Cavallotti, Europa, Solferino nonché sulle aree del vecchio Ospedale Umberto I, che avrebbe dovuto essere trasferito (come di fatto avvenne), nella zona nord di Monza, al confine con Lissone e Vedano, nel quartiere Cazzaniga. Gli indici fondiari di edificabilità previsti per quel Centro direzionale arrivavano sino a 7,5 metri cubi per metro quadro, una sorta di piccola Manhattan di Monza. Lì avrebbero dovuto essere trasferite anche le attività terziarie del Centro Storico, i cui interventi edilizi venivano comunque subordinati all’approvazione di un Piano Particolareggiato da redigersi a cura dell’amministrazione, fatto mai avvenuto, nonostante qualche sporadico tentativo.

 

La capacità residenziale teorica di quel piano era per oltre 300.000 abitanti (meno dei 500.000 del PRG ‘59) ed invadeva senza alcun ritegno le zone agricole ad ovest, verso Muggiò e il canale Villoresi al Rondò dei Pini; la zona della Cascinazza a sud, dove, ricordiamo, era stato approvato nel ‘62 il famoso Piano di lottizzazione per ben 1.7000.000 mc (20.000 nuovi abitanti), area che veniva però azzonata da Piccinato per “soli” 760.000 mc, ma paradossalmente definita nella relazione e nelle norme come “parco Lambro sud”. Anche le aree agricole di Sant’Albino, tra Brugherio e Concorezzo, erano interessate da pesanti interventi edificatori lungo la via Adda ed altre corpose edificazioni erano previste ad est lungo il viale delle Industrie (allora inesistente) ed nel quartiere Libertà, verso Villasanta. Più di 2.500.000 metri cubi di nuove espansioni residenziali in aree libere coltivate, senza contare le volumetrie nel resto della città, comunque previste con indici altissimi. Persino molte industrie esistenti ed allora in attività, venivano classificate come “zone residenziali”. Si dava così attuazione alla cosiddetta “vocazione residenziale” di Monza, mentre in realtà si trattava di una vera e propria “orgia del mattone”.

 

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Sciopero e manifestazione in Corso Milano fine anni '60


Un aspetto interessante era contenuto nelle Norme Tecniche del piano, che anticiparono sia la successiva legislazione regione (n. 51 del ‘75) che quella nazionale (n. 10 del ‘77) cioè l’obbligo per il Comune, di redire un Programma annuale - pluriennale di attuazione del PRG, che doveva stabile “dove, come e quando” costruire. Veniva inoltre individuato il Piano particolareggiato di iniziativa comunale come lo strumento principe di attuazione del piano stesso, norma rimasta poi praticamente sulla carta, salvo qualche raro recente esempio. Curiosa infine la chiara e lapidaria soluzione normativa prevista per il Parco di Monza, dove si stabiliva: “nel parco di Monza, nessuna nuova costruzione”. Questa disposizione provocò sino ai giorni nostri il ricorso a deroghe “per pubblica utilità”, ben visibili nelle sue ricadute edilizie, soprattutto all’autodromo.Il PRG, adottato nel ‘64, venne poi pubblicato e vennero raccolte 575 osservazioni. Nel ‘66 fu incaricato Piccinato per il loro esame e il (controverso) parere. Nel ‘67 il Piano venne inviato al Ministero (C.S. LL.PP.) per la sua approvazione definitiva; questo, pur favorevole in linea di massima, si riservò di verificare la rispondenza del piano adottato agli standard urbanistici fissati dal Decreto interministeriale del 2 aprile ‘68 n. 1444, uscito nel frattempo, che stabiliva le quantità minime di aree per servizi pubblici comunali (istruzione, attrezzature, verde e gioco, parcheggi, pari a 18 mq/abitante) da calcolarsi in rapporto agli abitanti insediabili nonché per gli insediamenti produttivi, industriali e commerciali, con rapporti diversi.Dopo lunghe e laboriose verifiche, a salvaguardie del piano adottato ormai scadute da tempo, il 13 marzo del ‘71, vennero inviate al Comune alcune proposte di modifica, tra le quali anche la richiesta di riduzione delle zone residenziali nel “parco Lambro” (in zona della Cascinazza), che vennero accettate dal Consiglio Comunale nella seduta del 26 luglio del 1971.

 

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Il Piano Piccinato del 1971 (versione digitalizzata del 2003)

 

 

A fronte di questo, il 22 novembre del 1971, il Ministro Lauricella firmò il decreto che approvava in via definitiva il nuovo Piano regolatore di Monza, con alcuni stralci e modifiche sia per alcune zone che per alcuni articoli delle norme tecniche di attuazione. Finiva così un iter, tra l’adozione e l’approvazione, durato più di sette anni. Dieci anni dopo, nel 1981, con una “delibera quadro” del Consiglio Comunale, partì la sua revisione generale. Una vera avventura.

 

 

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Gli autori di Vorrei
Giorgio Majoli
Giorgio Majoli

Nato nel 1951 a Brescia, vive a Monza dal 1964. Dal 1980 al 2007, ha lavorato nel Settore pianificazione territoriale del Comune di Monza, del quale è stato anche dirigente. Socio di Legambiente Monza dal 1984, nel direttivo regionale nei primi anni ’90 e dal 2007, per due mandati (8 anni). Nell’esecutivo del Centro Culturale Ricerca (CCR) di Monza dal 1981. Ora pensionato, collabora come volontario, con associazioni e comitati di cittadini di Monza e della Brianza, per cercare di migliore l’ambiente in cui viviamo.Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.