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Breve saggio sul paesaggio

Disarticolate meditazioni
attorno ai nuovi modi di esperire lo spazio

 

 

Prefazione

Al di là del titolo, questo non è propriamente un saggio. E’ meglio che ve lo dica subito, prima che siate voi ad accorgervene. E’ questo un compendio di idee, idee che negli anni si sono raccolte attorno ad un tema particolare, quasi raffinato, ma, invero, che ci coinvolge tutti: il paesaggio, lo scenario delle nostre recite, lo sfondo dell’esistere!

L’idea di riassumere e elaborare un breve scritto attorno a questo tema, nasce da una mail ricevuta da un lettore del blog che abitualmente curo. Costui si lamentava del fatto che, da qualche tempo, non trovava più in rete i miei commenti alle vicende del paese (Casatenovo), commenti che a lui piacevano e che si era abituato a veder comparire con una certa frequenza. Inconsapevolmente, questo insospettato seguace (mi sorprendo ogni volta che il pubblico si “materializza”), sottolineando una mia certa latitanza, ha generato un moto prolifico di dubbi e domande. Lui mi chiedeva di raccontare (anche solo descrivendolo) un paese, e io mi accorgevo di avere tra le mani solo ferri vecchi, strumenti passati, inadatti a render conto del paesaggio contemporaneo, anche solo del paesaggio casatese. E’ nata, in quel preciso istante, la primordiale idea di questo “saggio”: volevo fare un’introduzione alla descrizione, alla narrazione del mio paese e dei suoi fatti, son finito a chiedermi attraverso quali strumenti indagare, e attraverso quali regole tradurre, il dato rilevato. Post dopo post (o per voi lettori di carta: paragrafo dopo paragrafo) ho infilato una più o meno lunga digressione, che parte dalle principali, storiche, teorie e dispute sul paesaggio, per arrivare infine a sondare il futuro, cercando nuove lenti per leggere le trasformazioni in corso e quelle a venire.

Il coraggioso che si approccia a questo scritto deve, quindi, tenere presente che il saggio è un saggio breve, un saggio facile, un po’ piacione, che rifugge il citazionismo, nasce su un blog ed è gioco-forza un prodotto 3.0 (categoria che, anche se non vi è immediata, avremo tempo di conoscere).

Dalle mie peregrinazioni sulla carta e sul territorio è, nel susseguirsi dei vari interventi, emersa un’analisi abbastanza semplice: siamo in allerta per via del disordinato cambiamento che ci coinvolge, siamo vagamente spaventati, come ogni qualvolta ci troviamo davanti a qualcosa che non ci è noto e di cui non riusciamo a comprendere le cause prime. Nelle pagine che seguono il tentativo è stato quello di gettare un ponte tra l’uomo e il paesaggio, legando insieme i due elementi e cercando di ipotizzare una possibile chiave di lettura. Capire le trasformazioni del nostro vissuto sociale sembra, pagina dopo pagina, diventare l’unico modo per capire i cambiamenti fisici e il disordine del nuovo paesaggio.

Chiudo questa fin troppo lunga prefazione con doverosi riconoscimenti e una precisazione.

Come detto, questo è un prodotto 3.0, che rifiuta il citazionismo, le nozioni, gli schemi seri: non aspettatevi nessuna bibliografia. L’assenza di riferimenti formali, però, non sta a significare che le idee e le vedute, le regole riassunte, rielaborate, esposte, qui dentro, non abbiano padri con nomi e cognomi.

Ecco, ci tengo a citare quattro testi che, più di altri, hanno particolari crediti nei confronti delle prossime pagine. Sicuramente Paesaggi della Geografia di Maria Chiara Zerbi, da cui è tratto l’abc della geografia umana esposto nelle prime parti; Il Paesaggio come Teatro di Eugenio Turri, che, meglio di tanti altri, sa nelle sue pagine cogliere il nesso tra attore, palcoscenico e spettatore; La Lentezza di Milan Kundera, da cui ho mutuato l’assunto portante delle ultime pagine; infine, I Barbari di Alessandro Baricco, libricino che apertamente ispira l’impostazione e le terminologie contenute di seguito.

Da ultimo, la precisazione annunciata: queste pagine nascono per pensare, riflettere, tentare di vedere un poco oltre la curva. Non hanno ambizioni sistemiche, non cercano di modelizzare la realtà. In atletica si direbbe che il nostro ruolo, qui, è quello della lepre: perdiamo fiato per alzare il ritmo della gara e poi ci facciam da parte, ben prima che si veda il traguardo. Insomma, più che ad una scala che porta alla meta, siete davanti ad un trampolino di lancio. A un certo punto le pagine finiscono, poi, ad andare avanti, tocca a voi.

A.S.
Casatenovo, 27 luglio 2008