« ...preferisco rimanere un'impressione,
preferisco le impressioni. Le impressioni emozionano.
È inutile conoscere: molto meglio supporre. »

Vinicio Capossela, Non si muore tutte le mattine

 

 

Introduzione

Raccontare Casatenovo. Raccontare il paesaggio. Saggio sul paesaggio. Ci sono diversi collegamenti tra queste tre brevi proposizioni, o almeno ci sono nella mia testa. Mi spiego: qualche giorno fa mi ha scritto un tizio, dicendo che da un po’ non parlo di Casatenovo, dicendo che a lui piaceva leggere i miei commenti e che i miei commenti sono ora diminuiti, o, comunque, non parlano di Casatenovo. Certo le voci che parlano di Casatenovo non sono tante, o forse lo sono, ma rimangono volentieri nell’ombra, come nell’ombra, o almeno in penombra, vorrei rimanere io. Ci sono molti commentatori segreti, c’è una rete sotto la cappa brianzola, quella perbenista, precisa, inquinata e lavoratrice, che si muove, che pensa, che medita il paese. C’è, ci sono anche dei giovani che lo fanno, già vedo lo sconcerto sui vostri volti, ma sono invisibili dalla piazza pubblica.

<>Il tizio mi scrive anche che è importante raccontare, qualsiasi dettaglio scritto rimane sulla carta e poi, col tempo, diventa patrimonio, diventa memoria. Il tizio dice una cosa che condivido. Ah! dimenticavo… lo chiamo tizio per una questione di privacy, non per mancanza di rispetto. Lui lo sa, e ora anche voi.

Raccontare un paese, che idea buffa, che idea preziosa, impegnativa. Se dovessi farlo - e questo incipit presuppone, ormai ci siete caduti, che io stia per farlo – incomincerei cercando di definire la modalità di racconto e sottolineando che il tentativo, in quanto tale, non va assunto con troppo rigore; insomma, serve a smuovere i pensieri, più che a formulare sistemi. Mi raccomando, leggete tenendovi stretti questa indicazione: pensieri stesi per riflettere.

<>Torniamo a come racconterei io un paese: un geografo, specie un geografo umano, racconta il paese attraverso il paesaggio, il paesaggio per il geografo è un po’ come la poesia per il letterato, è il prodotto fisico e tangibile di una serie di moti e presupposti teorici, anche rigorosi, è insieme di figure retoriche che hanno la capacità, dietro codici piuttosto chiusi, di aprire a nuove percezioni del visibile. Sì, detta così suona un po’ freak, ma tenetevela lì, per il momento.

Io, non in quanto geografo, ma in quanto persona che tenta di far sue le tecniche del geografo, racconterei un paese attraverso il suo paesaggio; certo, mi tocca ora spiattellarvi il perché a mio parere si possa raccontare un paese, e quindi i suoi abitanti, attraverso un paesaggio. Sto già andando lungo ed eviterei volentieri di riassumervi la mastodontica bibliografia che analizza questi temi a partire dai classici greci, arrivando a un surmoderno Crepet, passando per Vidal de la Blache. Magari un’altra volta.

Ora, partiamo dalla mia personale esperienza, che non sarà dissimile dalle vostre: se penso al mio paese, Casatenovo, lo associo a immagini, a qualche flash: una camminata di notte in viale Don Rossi, con l’odore di carne essiccata e salata che fuoriesce a flutti dalla Vismara, un centro paese che sembra un centro industriale novecentesco, muri graffitati malamente.

Poi, poi accanto a questo schifo, con cui in qualche modo siamo cresciuti (che marcò nell’infanzia le differenze tra il centro e la campagna, il centro urbano, l’immonda città, e la campagna, la bella, armoniosa e pulita campagna, gli spazi aperti), a cui in qualche modo abbiamo fatto l’abitudine e a cui, infine, ci siamo affezionati, accanto a questo, svoltato l’angolo, sotto la coltre, Casate ci sorprende con gli antichi tratti, si scopre ancora un angolo, le gloriose armonie, un muro di sassi, una villa, un giardino, un albero secolare. Basti dire che, sempre più rari, ma a Casatenovo sopravvivono alcuni punti dove è tuttora possibile fare un giro su se stessi e non vedere l’ombra di una casa o di un uomo.

 

Area Vismara (Casatenovo, estate 2008)

<>Oggi quelle categorie apprese durante l’infanzia sono divenute molto più labili, non ci sono più urbano e rurale, cioè, diciamo che ci sono ancora, ma se si procede di questo passo, bè, non ci saranno più. La città diffusa, generata da quello che gli inglesi chiamano urban sprawl, si sta prendendo tutto e non c’è verso di fermarla, basta una piccola strada, un capannone, una villetta fuori posto, una piccola, singola, scelta, per minare l’integrità di un’intera area; questa modalità fatta di reti e collegamenti indiretti, espansioni puntiformi, a macchia di leopardo, non si fa scrupoli e quando attacca, ripercuote gli effetti del suo attacco su tutto l’intorno.

Sì, ok, così sembra un po’ apocalittica, ma il senso è quello lì.

Un senso che riprenderemo ad analizzare nella prossima puntata; per ora è meglio fermarsi qui. La caduta delle categorie, la necessità di una nuova modalità di interpretazione, o forse, e più semplicemente, la necessità di avere una bussola che guidi il nostro sguardo sul visibile presente, che non si fermi in superficie: di questo, parleremo la prossima volta.